Tutte le iniziative

Un nuovo welfare per la reindustrializzazione

I sistemi di welfare che si sono sviluppati nel Novecento erano basati su presupposti di crescita stabile che ne hanno determinato le caratteristiche principali. La crisi, le trasformazioni economiche e produttive in atto – dalla globalizzazione alle innovazioni tecnologiche, ai cambiamenti demografici – hanno fatto venir meno tali principi fondanti, rendendo necessario e urgente, in tutti i settori, ma soprattutto in quello manifatturiero, un adeguamento del welfare che coniughi l’universalità delle regole novecentesche con l’esigenza di adattare gli istituti di sicurezza sociale a un contesto in continuo mutamento e a forme di lavoro sempre più diversificate e flessibili. In particolare, si dovrebbero prevedere delle regole volte a incoraggiare il ricambio generazionale, ad ammortizzare i rischi connessi alle trasformazioni industriali e ad accompagnare i lavoratori nei periodi di transizione. Una politica del lavoro e del welfare adeguata deve però essere anche coerente e organica, caratteristiche delle quali sono privi gli ultimi provvedimenti italiani in materia.

Oltre il lavoro, il diritto al reddito

La crescita della disoccupazione e della precarietà deve far riflettere anche sul nostro modello di welfare che ha ancora un carattere novecentesco, ma deve invece adeguarsi alle nuove dinamiche del mercato del lavoro.

Uno Stato sociale che tuteli i giovani

Il dibattito sulla riforma del welfare per i giovani affronta la questione in chiave di lotta intergenerazionale o come contrapposizione tra i giovani, outsiders rispetto al sistema di welfare, e gli insiders ipertutelati. In esso manca completamente una visione riformatrice di ispirazione socialdemocratica incentrata sulla lotta ai problemi principali che toccano le giovani generazioni: precariato, diseguaglianza e sottoccupazione. Per contrastare questi fenomeni si rivelerebbero utili interventi che agiscano sulla distribuzione delle risorse prima dell’ingresso nel mondo del lavoro e che favoriscano la “defamilizzazione” e la “decommodificazione” della transizione giovanile.

Social investment tra dinamismo europei e immobilismo italiano

Negli ultimi decenni si è sviluppata una visione del welfare come forma di investimento sociale, un welfare che non serva soltanto a proteggere l’individuo dal mercato, ma anche a favorirne l’inserimento e la capacità di rimanervi, finendo così per sostenere la crescita economica. Si tratta di un passaggio, davvero innovativo, a un’economia della conoscenza che valorizzi il capitale umano e di conseguenza la coesione sociale e l’occupazione. Purtroppo il nostro paese, che ha seguito nell’ultimo ventennio una logica di tagli alle spese e di scarsa modernizzazione del proprio sistema di welfare, appare da questo punto di vista in forte ritardo,“congelato”, e sono sempre più gravi le difficoltà che ormai affliggono le famiglie meno abbienti e le medie e piccole imprese.

La lotta alla povertà: proposte e questioni aperte

L’aumento della povertà causato dalla recessione e dalla crescita delle diseguaglianze è, nel nostro paese, aggravato dalla scarsa capacità redistributiva del sistema fiscale e dalla inadeguatezza delle politiche di contrasto all’indigenza. Il sistema di welfare italiano, che per dimensioni è prossimo alla media europea, è infatti fortemente sbilanciato a favore di vecchiaia e sanità e manca di strumenti di sostegno al reddito ispirati a un principio di universalismo selettivo. Per tentare di colmare questa lacuna è stata recentemente elaborata la proposta di istituire un Sostegno per l’inclusione attiva, che garantirebbe universalità della misura, condizionalità e dimensione individuale. Purtroppo, i vincoli di bilancio e i timori di indebolire tutele già esistenti hanno finora impedito di applicare quella che allo stato attuale rimane soltanto una proposta.

Welfare e Mezzogiorno: caratteristiche antiche e problemi nuovi

Sebbene il sistema di welfare italiano si presenti fortemente unitario e centralizzato, le diseguaglianze nei livelli di sviluppo tra Nord e Sud e, soprattutto, la fragilità del mercato del lavoro nelle Regioni meridionali condizionano fortemente l’impatto e il funzionamento delle politiche sociali in questa parte del paese. Da ciò scaturisce un welfare che nel Mezzogiorno presenta tratti del tutto peculiari, per quanto concerne sia il tipo di prestazioni offerte, sia le caratteristiche dei beneficiari e le dinamiche sociali e familiari che contribuisce a innescare. Si tratta di una specificità in negativo, difficile da superare senza una crescita robusta che consenta di definire un equilibrio economico e sociale alternativo.

La non universalità degli ammortizzatori sociali in Italia

Sebbene abbia contribuito a razionalizzare le forme di tutela dei lavoratori, la riforma del 2012 non offre coperture per quelle categorie di lavoratori e di disoccupati che già in precedenza erano fuori dal sistema degli ammortizzatori sociali, ovvero chi, tra i dipendenti, non rispetta i requisiti contributivi di accesso alle indennità, i lavoratori parasubordinati e autonomi, i giovani in cerca di prima occupazione. Offre quindi una protezione parziale e solo contro i rischi di licenziamento dei lavoratori dipendenti, senza alcuna tutela contro tutti i possibili eventi da cui deriva la disoccupazione. Siamo ancora lontani dall’avere un sistema di ammortizzatori sociali e tutele di welfare effettivamente universale.

Nella crisi, ancora e più welfare state

Sebbene la crisi abbia evidenziato la sua superiorità su quello anglosassone, oggi il modello sociale europeo subisce l’attacco di un capitalismo a caccia di nuove occasioni di profittabilità, che individua nell’ambito dei beni pubblici, sociali e comuni su cui insiste il welfare state. Si tratta di una fase nuova dell’aspro e annoso conflitto tra pubblico e privato, che si incardina oggi sulle tante contraddizioni della debole ripresa economica che si prospetta, prima tra tutte quella che ne farà una jobless recovery, una ripresa senza occupazione. Sarebbe invece necessario un intervento politico straordinario trainato dal motore pubblico per creare direttamente lavoro e imprimere così uno slancio all’economia. Un New Deal europeo che rovesci il paradigma dominante: non rilanciare la crescita per generare lavoro, ma creare lavoro per rilanciare la crescita.

Il welfare state come volano di sviluppo economico e sociale

Tutti i paesi sviluppati hanno fatto registrare, dall’inizio della crisi, un aumento delle spese per la protezione sociale. Invece di considerare questo fenomeno come fisiologico e quindi da non contrastare, si è reagito con scelte di rigore e con proposte di riforma che vanno in senso contrario rispetto a quello che ha guidato la costruzione del welfare state in Europa e che, piuttosto che migliorarla, hanno aggravato la situazione. Il recupero di un’ispirazione non liberista potrebbe, al contrario, contribuire sia al superamento della crisi sia a realizzare un sistema di protezione che torni a essere fattore di progresso sociale.

La funzione preziosa del welfare state

Le gravi conseguenze della crisi finanziaria scoppiata nel 2008 hanno fatto sembrare a molti il modello sociale europeo incompatibile con le esigenze di risanamento delle finanze pubbliche e di competizione internazionale imposta dalla globalizzazione. Le analisi degli economisti hanno tuttavia dimostrato non solo che non vi è nesso tra maggiore spesa sociale e minore crescita economica, ma che in società più diseguali si vive peggio e si produce meno ricchezza. D’altronde, la spesa sociale assolve, oltre a quella redistributiva, anche una funzione assicurativa indispensabile per incoraggiare a sostenere dei rischi e incentivare l’intraprendenza. Nell’attesa, purtroppo prevedibilmente ancora lunga, che si possa finalmente avviare un welfare europeo, è quindi bene preservare con forza i sistemi di protezione sociale nazionali.

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