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Un salto di qualità per l’Europa

Stretta tra l’ostilità di Trump e il rinnovato attivismo russo, l’Europa si trova ad affrontare uno scenario allarmante in cui nazionalismo, protezionismo e politica di potenza tendono confusamente a soppiantare il tentativo di realizzare una governance multilaterale e condivisa della globalizzazione. Purtroppo, non pare esservi sin qui una visione strategica comune su come il Vecchio continente debba reagire alla nuova situazione internazionale. Si prefigura come via di uscita l’ipotesi di un’Europa a più velocità, di una pluralità di cooperazioni rafforzate che potranno svilupparsi sulla base di diversi raggruppamenti di paesi. È però essenziale che tale processo abbia una guida forte, che passa innanzitutto attraverso una rinnovata collaborazione tra Germania e Francia.

Le integrazioni differenziate: una formula già sperimentata

Le integrazioni differenziate e tutto quello che a esse è connesso non costituiscono certamente un inedito nella cornice del cammino dell’Unione europea. Al rinnovato interesse per questo tema hanno contribuito sia il riferimento agli effetti devastanti della crisi economica e finanziaria che da anni ha investito l’Europa, deprimendo tutti gli indicatori essenziali, sia la constatazione che a fronte di tale crisi le divergenze tra gli Stati membri sul futuro del progetto comune europeo restano evidenti e profonde. Il rilancio del metodo delle integrazioni differenziate costituirebbe un valido espediente pragmatico non certo per dividere o escludere ma per scongiurare ulteriori processi di dissoluzione dell’Unione europea.

Integrare la differenza. Incognite e possibilità dell’Europa plurale

La parola d’ordine, in questa nuova e difficilissima fase della vita dell’Unione europea, è “integrazione differenziata”. Un ossimoro che segna un cambiamento radicale nel discorso relativo al processo di integrazione del continente, che non punterebbe più, come avvenuto finora, verso obiettivi comuni e il traguardo della condivisione della sovranità, ma si adagerebbe sugli effimeri vantaggi di una diversificazione strutturale della dinamica europea. Di questo disallineamento, e della conseguente, oggettiva difficoltà di “recuperi” futuri, è difficile rallegrarsi. Soprattutto perché in tal modo non si offrirebbe una soluzione definitiva ed efficace ai dilemmi e alle crisi che attanagliano l’Unione.

Europa differenziata: istruzioni per l’uso

Discussa ormai da tempo nel dibattito accademico e intellettuale, l’ipotesi di un’integrazione europea “a più velocità” pare ormai ampiamente accettata anche nei circoli della politica e della diplomazia del Vecchio continente e risulta essere, oggi, la strada potenzialmente più battuta per il rilancio del processo di integrazione europea. Pur non trattandosi di un fenomeno nuovo, l’integrazione differenziata si presenta con caratteristiche diverse dal passato: non più come il frutto di una differenziazione in negativo, esito del rifiuto di alcuni Stati membri di aderire a determinate iniziative, ma come il nuovo paradigma dell’integrazione europea, una strategia pragmatica per sanare alcune inefficienze istituzionali della UE e generare nuovi beni pubblici sovranazionali. Sono però molte le questioni che l’attuazione di questo processo di integrazione solleva: chi includere tra i “pionieri” e per fare cosa? Attraverso quali strumenti realizzare l’integrazione differenziata? Quale tipo di coordinamento mettere in atto tra i nuclei di integrazione avanzata e i rimanenti Stati membri dell’Unione europea?

La governance dell’area euro: un passaggio cruciale per l’Europa a diverse velocità

Dopo la grande paura dell’affermazione dei movimenti populisti e antieuropei, viviamo una fase di attesa per quella che potrebbe essere una controffensiva europeista. Sembrano esserci, adesso, le condizioni per aprire un ciclo di rilancio del processo di integrazione. Ma cosa significa oggi rafforzare l’Unione europea e, soprattutto, come farlo? Una prima intesa sembra essere stata raggiunta almeno tra Francia, Germania e Italia circa il modo di procedere, ossia attraverso l’ipotesi di un’Europa a velocità differenziate. Una formula che, però, se può risultare valida nel campo della difesa o per le politiche di immigrazione, è impraticabile per quanto riguarda il fronte della governance dell’euro. Qualunque rilancio dell’area dell’euro potrà avvenire solo garantendone la coesione interna e intervenendo con decisione per aumentare la resilienza dell’eurozona e sostenere la crescita, superando le divergenti performance tra i paesi dell’area dell’euro e realizzando una crescita inclusiva che vada a vantaggio di molti e non, come avvenuto finora, di pochi privilegiati.

Il perimetro della cooperazione per la sicurezza

Nel mondo sempre più interconnesso in cui viviamo diventa cruciale rafforzare i collegamenti tra sicurezza interna ed esterna. Lungo questo binario si sta muovendo l’Italia nell’ambito del più generale approccio europeo concretizzatosi nella Strategia globale per la politica estera e di sicurezza dell’UE. Strategia che si pone obiettivi ambiziosi in materia di difesa e sicurezza, per perseguire i quali è stato approvato, nel dicembre 2016, un piano di attuazione che propone una revisione annuale coordinata della spesa per la difesa, una migliore risposta rapida dell’UE mediante il ricorso a gruppi tattici, nonché una nuova cooperazione strutturata permanente (PESCO) unica per gli Stati membri che intendono assumere maggiori impegni per la sicurezza e la difesa. A ciò si affianca la cooperazione internazionale di polizia, che rappresenta, nelle attuali contingenze, uno degli strumenti di maggior rilievo nella lotta alla criminalità organizzata transnazionale e al terrorismo di matrice politica e religiosa.

La PESCO, verso una svolta nell’integrazione militare europea?

Esiste già un meccanismo di integrazione differenziata in materia di difesa: la PESCO, Cooperazione strutturata permanente, che consente ai paesi membri dell’Unione europea che intendono farlo di progredire in maniera più intensa e spedita verso una maggiore e più profonda cooperazione in ambito militare. Uno strumento che prevede precisi requisiti di accesso, l’assunzione di impegni vincolanti in termini di capacità militari e nelle operazioni ritenute più impegnative e la possibilità, aperta a tutti gli Stati membri, di aderire anche in un secondo momento. Non mancano quindi gli elementi istituzionali per avanzare nel percorso di integrazione europea in materia di difesa e sicurezza. L’esito concreto di questo processo si lega piuttosto all’effettiva capacità e alla reale volontà degli Stati membri di sfruttare appieno l’attuale finestra di opportunità e dare concretezza a queste disposizioni.

La crisi del Labour

Il Partito Laburista inglese condivide con gli altri partiti socialisti del continente europeo una crisi che ha in realtà origini comuni: l’abbandono del pensiero tradizionale della sinistra a favore della promozione del libero mercato, dell’individualismo, delle privatizzazioni e della deregolamentazione in ambito economico. Questo allontanamento dalle origini ha fatto perdere al Labour una parte importante del sostegno delle classi lavoratrici, soprattutto dopo che la crisi finanziaria internazionale del 2008 ha reso manifesta la fragilità del modello di sviluppo economico proposto. La difficoltà a individuare e proporre una ricetta alternativa credibile e una leadership affidabile fa sì che oggi, pur di fronte a un governo conservatore estremamente debole, il Partito Laburista abbia poche possibilità di tornare presto al governo del paese.

La rinuncia a riformare il capitalismo: alla radice della crisi della sinistra scandinava

Anche nei paesi nordici le socialdemocrazie sono in difficoltà, pressate non tanto dalle forze liberal-conservatrici, anch’esse in crisi, quanto dalla crescita del consenso per i partiti della nuova destra. Ciò può essere imputato alla loro rinuncia a perseguire parte del proprio compito storico: riformare il capitalismo riducendone le irrazionalità, costringere le imprese alla competitività affermando diritti e salari forti, perseguire la mobilità del lavoro ma verso l’alto e ottenere così, alla fine, maggiori livelli di eguaglianza. Restituire centralità alla questione sociale e al tema della riforma dell’economia consentirebbe, perciò, di recuperare alle forze socialdemocratiche una parte considerevole del loro tradizionale consenso.

Crisi del PSOE, crisi della Spagna

La situazione politica spagnola è sicuramente emblematica dello stato di crisi strutturale e identitaria in cui la politica, assieme alle forze che se ne sono fatte tradizionalmente interpreti, si è inviluppata inesorabilmente. Soprattutto il PSOE rischia di pagare un prezzo elevato incalzato com’è dalla pressione di formazioni di ispirazione populista come Podemos. La crisi economica, che la ripresa del PIL degli ultimi due anni non sembra aver fatto superare, continua a rendere sempre più incerta la condizione dei ceti medi; lo stesso si può dire dei giovani, le cui prospettive non appaiono affatto promettenti. E delle loro esigenze, delle loro speranze, delle loro aspettative né il PSOE né altre formazioni tradizionali sono in grado di farsi interpreti.

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