Italianieuropei in India

Di Italianieuropei Martedì 12 Aprile 2011 17:49 Stampa
Italianieuropei in India Foto: Robyn Jay

Italianieuropei, insieme a una delegazione di fondazioni progressiste europee guidata dalla Foundation for European Progressive Studies, si è recata a New Delhi per incontrare politici, giornalisti, diplomatici e accademici indiani e cercare di capire meglio le profonde trasformazioni che caratterizzano l’India contemporanea.

Il Vecchio Continente e la rampante India quasi condividono un motto. “Unity in diversity” recita lo slogan del subcontinente, paese nel quale differenze religiose, etniche e linguistiche (sono 23 le lingue maggiori parlate in India, mentre oltre 20 mila sono i dialetti) convivono, più o meno, pacificamente. “United in diversity” è invece il motto dell’Unione europea che, al contrario dell’India, deve ancora imparare a gestire le sue diversità e la sua varietà di anime. Eppure l’integrazione europea, per quanto spesso di difficile comprensione in India e nonostante il fatto che il governo indiano preferisca tradizionalmente affidarsi a rapporti bilaterali con il mondo esterno, è guardata con grande interesse a Delhi in quanto possibile strumento, democratico e pluralista, per superare le tensioni e le fratture che dividono i paesi della regione asiatica.

La Fondazione Italianieuropei, insieme a una delegazione di fondazioni progressiste europee guidata dalla Foundation for European Progressive Studies, si è recata a New Delhi per incontrare politici, giornalisti, diplomatici e accademici indiani e cercare di capire meglio le profonde trasformazioni politiche, economiche e sociali che caratterizzano l’India contemporanea e le ragioni per le quali le relazioni fra l’Unione europea e l’India stentano a decollare, a dispetto degli interessi e dei valori comuni (l’Accordo per il libero scambio fra India e Unione europea dovrebbe auspicabilmente giungere a compimento, dopo anni di faticosi negoziati e molte battute d’arresto, questa primavera).

Malgrado l’India costituisca oggi un riconosciuto attore globale, l’UE ha troppo spesso trascurato le relazioni con questo paese, preferendogli la Cina, con grande sconcerto da parte di New Delhi, che risente e guarda con perplessità a questa predilezione accordata all’eterna rivale Pechino. La percezione che gli indiani hanno dell’Unione europea è che troppo spesso Bruxelles tende «a predicare» quale sia il giusto atteggiamento da tenere in questioni quali la protezione dei diritti umani o il lavoro infantile (che peraltro non viene considerato come un aspetto dei diritti umani, quanto come una questione connessa allo sviluppo economico e sociale del paese). Temi verso i quali gli indiani sono tutt’altro che insensibili, ma nei confronti dei quali rifiutano lezioni da parte dell’Occidente. Dopo duecento anni di dominio coloniale, ci ha detto schiettamente Shashi Tharoor, membro del Parlamento e noto autore e opinionista, gli indiani sono «allergici verso coloro i quali pretendono di dirci come dobbiamo comportarci. Gli europei dovrebbero capire che condividiamo gli stessi obiettivi perché vogliamo raggiungerli, non perché ci viene detto di raggiungerli».

Nonostante la robusta crescita economica – che si aggira intorno all’8% – e le indubbie potenzialità, l’India, la “shining India” come fu definita qualche tempo fa, è ancora lontana dai traguardi cinesi. Solo una minima parte della popolazione ha tratto beneficio dal boom economico e la sempre maggiore diffusione dei telefoni cellulari non è un indice affidabile della crescita. La situazione economica delle classi più povere, infatti, non migliora con il medesimo ritmo e il 75% circa degli indiani continua a vivere nelle aree rurali, che spesso non sono ancora raggiunte da servizi essenziali, quali l’elettricità. Il mercato interno indiano non è ancora del tutto unificato e alcune regioni del subcontinente soffrono di una grave arretratezza. L’istruzione, la sanità, la drammatica carenza di infrastrutture, il bisogno crescente di risorse energetiche costituiscono, insieme alla sicurezza (interna ed esterna), le principali preoccupazioni per il governo indiano, che – negli ultimi venti anni circa, in seguito al relativo declino dei due maggiori partiti, il Partito del Congresso e il Bharatiya Janata Party (BJP) – è sempre stato costituito da coalizioni.

L’endemica corruzione che affligge il paese, le difficoltà nell’avviare un programma di riforme coerente (spesso dovute alle dinamiche di coalizione) e le crescenti aspettative della popolazione non sono però sufficienti a far temere delle rivolte sociali e non cosituiscono una minaccia per la democrazia, sostiene H. K. Dua, membro della Rajya Sabha, la Camera alta del Parlamento indiano. Il sistema democratico indiano, insomma, è solido e ben radicato.

La condivisione di valori, dunque, dovrebbe rappresentare un saldo punto di partenza per le relazioni fra l’UE e l’India. Tuttavia, l’Unione non è sempre ritenuta un partner credibile quando a prevalere è la Realpolitik, e la mancanza di una visione comune da parte degli Stati membri su questioni che per l’India sono essenziali – si pensi ad esempio all’aspirazione a un seggio presso il Consiglio di Sicurezza dell’ONU – indebolisce la capacità contrattuale europea in molte aree negoziali. L’Unione europea, ancora una volta, rischia di perdere un’occasione importante per rafforzare le relazioni con un partner che giocherà un ruolo sempre più significativo negli scenari economici e internazionali di domani.

 

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