La rivista - Italianieuropei

Chiamateci emigranti

Il fenomeno è quello che viene comunemente definito “fuga di cervelli”. La realtà è quella dei tanti giovani colleghi scienziati e ricercatori che dopo un lungo e valido percorso formativo in Italia hanno lasciato il paese per la drammatica assenza di opportunità professionali di lungo termine. Negli ultimi anni, migliaia di giovani scienziati sono stati costretti a trasferirsi in altri paesi europei o ad abbandonare del tutto il proprio lavoro di ricercatori a causa delle scarse possibilità di accedere a una posizione permanente in ambito accademico.

Una generazione di outsider

Rispetto alla situazione di disagio che vivono in Italia le nuove generazioni, siano essi lavoratori, disoccupati o NEET, genitori, donne, stranieri, giovani provenienti da contesti socioeconomici svantaggiati, le politiche intraprese continuano a mostrarsi poco lungimiranti, forse perché non adeguatamente supportate da un’analisi approfondita dei fenomeni su cui si intende intervenire. Indagare le ragioni che portano i giovani a diventare degli outsider rispetto alla stabilità economica, alla stabilità del lavoro, alla possibilità di compiere scelte di vita e alle tutele del welfare, diventa quindi presupposto essenziale per la definizione di misure di intervento che siano davvero efficaci.

Vite rimandate

Negli anni della crisi, tra i giovani italiani è aumentata la percentuale di coloro che si sentono soggettivamente deprivati. Il dover contare sulla famiglia di origine per proteggersi dalla vulnerabilità nel mercato del lavoro, più che una strategia di investimento per migliorare le proprie chances, costituisce una pausa forzata, una sospensione alla messa a punto di strategie di vita personali autonome. Solo con l’accesso a una occupazione stabile che dia un reddito decente è possibile superare le difficoltà nella transizione allo status adulto e risolvere le criticità nei percorsi di vita, restituendo così nuovi gradi di libertà alle giovani generazioni.

Riattivare i giovani per rimettere in moto l’Italia

L’Italia povera di giovani si trova anche con giovani sempre più poveri. Non bastano politiche standard di attivazione, che sono già state messe in campo dagli ultimi governi, per contrastare il fenomeno. Servono altre policy in grado di far sentire il giovane responsabilmente inserito in un percorso di miglioramento della propria condizione. L’obiettivo è quello di (ri)convertire il giovane da spettatore passivo di un presente senza prospettive a soggetto attivo nel progettare la propria vita: in grado di trovare il proprio posto nel mondo, prima ancora che un posto di lavoro.

Il Jobs Act: una cura inefficace per una diagnosi errata

La mobilità del mercato del lavoro in Italia è davvero così limitata? L’evidenza empirica smentisce l’idea che prima della riforma del Jobs Act il mercato del lavoro italiano fosse rigido e porta a dubitare che il suo principale problema fosse la segmentazione fra iper-tutelati e non garantiti. A un’attenta lettura dei dati esso appariva “liquido” piuttosto che rigido o segmentato. Per questo motivo gli obiettivi di limitare la varietà contrattuale per ridurre le diseguaglianze e migliorare le condizioni di chi lavora con contratti flessibili sarebbero dovuti essere raggiunti partendo dal basso, cioè eliminando le forme contrattuali maggiormente penalizzanti e meno protette, invece che dall’alto, cioè indebolendo il contratto a tempo indeterminato, come si è invece fatto nel Jobs Act.

Saperi in cerca di impiego. La sovraistruzione dei laureati in Italia

Il rischio di sovraistruzione, cioè di ottenere un posto di lavoro per il quale non è necessario il titolo di studio posseduto, non può essere attribuito a un eccesso di laureati né a livelli di reddito esageratamente alti. Il problema, piuttosto, è che il sistema produttivo italiano continua a esprimere una domanda complessivamente modesta di lavoro istruito. Esso non è stato in grado, fino a oggi, di trarre giovamento dalle condizioni favorevoli rappresentate da una crescita ancora sostenuta del numero di laureati e dal costo relativamente basso del lavoro qualificato. Quali misure bisogna allora mettere in campo per invertire questo fenomeno che coinvolge ormai una quota non trascurabile di persone qualificate anche nel nostro paese?

Giovani e lavoro: un approccio di genere

Nel quadro del generale calo dell’occupazione registrato in conseguenza della crisi economica, particolarmente difficile appare la situazione delle donne, che non solo registrano un tasso di disoccupazione maggiore rispetto ai colleghi maschi pur in presenza di un uguale o migliore percorso formativo, ma quando occupate sperimentano condizioni peggiori di quelle degli uomini in ciascuna delle dimensioni legate all’attività lavorativa: peggiore l’inquadramento contrattuale, più lungo il periodo di permanenza nella precarietà, più basso il livello delle retribuzioni, particolarmente difficile la conciliazione degli impegni familiari con quelli lavorativi.

Le seconde generazioni dell’immigrazione tra esclusione e partecipazione

In una fase storica in cui le questioni migratorie sempre più vengono considerate, narrate e gestite in una chiave puramente emergenziale, riflettere sulle dinamiche di inclusione ed esclusione dal circuito della cittadinanza può costituire una modalità efficace di immaginare il volto della società italiana nel lungo periodo. Per questo motivo diviene prioritario ripensare in maniera strutturata l’impianto complessivo del nostro sistema in materia di cittadinanza a partire dalla legge 91/1992, nata già obsoleta e inadeguata a rispondere alle esigenze di una società in piena trasformazione che sin dagli anni Settanta aveva invertito il suo trend migratorio, divenendo un paese di immigrazione.

Voucher e lavoro accessorio in Italia. Perché è necessario uno schema di reddito minimo

Introdotto per la prima volta nel 2003 allo scopo di favorire l’emersione di sacche di lavoro nero, il lavoro accessorio ha conosciuto un vero e proprio boom in questi ultimi anni, venendo applicato non solo agli impieghi saltuari in agricoltura, come in origine, o ai servizi alla persona, come avviene in Francia, ma anche al commercio, al settore del turismo e dei servizi. La particolare declinazione che esso ha avuto in Italia fa sì che il lavoro accessorio (e lo strumento attraverso cui esso concretamente si realizza, il voucher) presenti alcuni importanti elementi di criticità in merito alla qualità del lavoro creato, più esposto rispetto ad altri settori al problema dei bassi salari. È questa la ragione per cui il dibattito sulla riorganizzazione del sistema dei voucher nel nostro paese non può essere separato da una riflessione più ampia e, per molti versi ormai imprescindibile, sul reddito minimo garantito.

Per un welfare a misura di giovani

Il mercato del lavoro italiano presenta una drammatica carenza di lavoro, in particolare per i più giovani, e la persistente presenza di precarie forme di inquadramento contrattuale. È questo il quadro d’insieme di cui è necessario tenere conto per immaginare forme di welfare più avanzate e adeguate alle esigenze delle nuove generazioni quali, ad esempio, una misura universalistica di assicurazione contro la disoccupazione o un reddito di inclusione sociale. Rilevante, da questo punto di vista, è la risoluzione approvata dal Parlamento europeo lo scorso gennaio in materia di diritti sociali.

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