Sanità e sussidiarietà

Di Federico Spandonaro Venerdì 27 Marzo 2009 20:23 Stampa

Perché introdurre in un quaderno sulla sanità il te­ma della sussidiarietà? La risposta a questa do­manda può assumere diverse angolazioni: si può richiamare la sussidiarietà come valore, che affon­da le sue radici nel pensiero antico, e allo stesso tempo configura un modo per perseguire l’effi­cienza; si può argomentare che rappresenta un principio giuridico-politico a cui non è stata dedi­cata adeguata discussione sulle concrete modali­tà di realizzazione in sanità; e infine, sulla sussi­diarietà pesa una ambivalenza che percorre tutta la legge 833/78 di istituzione del Servizio sanita­rio nazionale (ora regionalizzato).

Perché introdurre in un quaderno sulla sanità il tema della sussidiarietà? La risposta a questa domanda può assumere diverse angolazioni. In primo luogo, si può richiamare la sussidiarietà come valore, che, come evidenziato nel contributo di Venturi, affonda le sue radici nel pensiero antico, e allo stesso tempo configura un modo per perseguire l’efficienza; e si noti che in mancanza di una riflessione approfondita sull’importanza e i contenuti che tale principio deve assumere in sanità, se ne rischia la banalizzazione, riducendolo a una mera disputa fra pregi e difetti del settore pubblico e quello privato. In secondo luogo, si potrebbe argomentare che rappresenta un principio giuridico-politico assunto tanto nella Costituzione europea, quanto nell’articolo 118 di quella italiana, a cui non è, però, seguita adeguata discussione sulle concrete modalità di realizzazione in sanità.

In terzo luogo, perché sulla sussidiarietà pesa una ambivalenza che percorre tutta la legge 833/78 che ha istituito il Servizio sanitario nazionale (ora regionalizzato).

Infatti, in tale norma sembra per un verso di poter leggere una promessa di sussidiarietà verticale, ove all’articolo 1 si prevede la concorrenza regionale all’attuazione del SSN, poi compiuta sia con i processi di aziendalizzazione degli anni Novanta, sia con il federalismo; e anche una forma (debole) di sussidiarietà orizzontale, ove (sempre all’articolo 1) si prevede il contributo del volontariato.

Ma, nella stessa legge, l’attribuzione della gestione unitaria della tutela della salute alle USL (articolo 10), e anche la previsione che «le unità sanitarie locali provvedono ad erogare le prestazioni» (articolo 19), sembrano andare in direzione opposta; l’ambiguità di fatto si risolve (contro il principio di sussidiarietà) quando – fra l’altro – all’articolo 25 si esplicita che di norma l’assistenza è erogata da personale, ambulatori e ospedali pubblici.

L’ambivalenza si conferma nel fondamentale articolo 63, il quale sancisce l’universalità della tutela prevedendo l’obbligatorietà dell’assicurazione; l’articolo contempla, infatti, l’assicurazione presso il SSN «per chi non abbia obblighi di legge all’iscrizione presso un ente mutualistico di natura pubblica». Sembra legittimo chiedersi se in tale articolo possa leggersi il disegno di uno Stato che con il SSN agisce sussidiariamente rispetto a corpi intermedi (sebbene in qualche modo pubblicamente riconosciuti), ovvero se ci si stia semplicemente limitando a sancire l’obbligatorietà per tutti di contribuire al finanziamento del SSN.

Come è noto, gli eventi hanno di fatto determinato una evoluzione verso un sistema di erogazione pubblica in sostanziale monopolio: con lo scioglimento degli enti mutualistici, lo Stato (con il SSN) ha assunto il ruolo di unico garante, ma anche di unico erogatore, della tutela sanitaria.

Affrontando il tema da una prospettiva diversa (ma strettamente legata alle precedenti), il concetto di programmazione sanitaria, assunto a base di funzionamento del SSN, si presta a interpretazioni diverse: come sinonimo di regolamentazione (pubblica) del settore, sembra del tutto coerente con l’idea di sussidiarietà; ma se assume il significato di gestione dei servizi, rischia evidentemente di negare tale principio.

Questo rischio lo si vede concretizzarsi, ad esempio, nell’istituto della convenzione con gli erogatori privati, configurata storicamente come una semplice facoltà del settore pubblico di cedere attività ritenute proprie a istituti privati. Il d.lgs. 502/92, superando il convenzionamento con l’istituzione dell’accreditamento istituzionale, sembrava invece aver voluto riaffermare il principio della sussidiarietà dell’intervento statale in tema di erogazione, sancendo il diritto degli istituti privati (subordinato a accettazione delle tariffe pubbliche e a, non ben definiti, requisiti ulteriori di qualità) a prestare servizi in nome e per conto del SSN. Ma, già nel 1999, il legislatore (d.lgs. 229/99) ha nuovamente spostato il timone, subordinando il tutto a ulteriori accordi contrattuali, che di fatto ripristinano la semplice facoltà del SSN (poi dei Servizi sanitari regionali) di utilizzare gli istituti privati, quando ciò fosse ritenuto coerente con la programmazione (qui da intendersi sostanzialmente come rispetto di vincoli economico-finanziari).

Alla vigilia di nuove modifiche dell’assetto istituzionale in senso federalista, diviene quindi fondamentale capire quale sarà la rotta che si vorrà seguire, ma principalmente quale il contenuto reale che si vorrà dare (nel futuro, anche prossimo) al principio di sussidiarietà.

Infine, a giustificazione dell’idea di dedicare un approfondimento alla realizzazione del principio di sussidiarietà in sanità, si può ricordare che i ruoli e le relazioni, all’interno di un sistema sanitario che è sempre più complesso, sono molteplici: una complessità che è anche una ricchezza, purché governata con regole chiare ed esplicite. La fondamentale natura pubblica della tutela in campo sanitario richiede, infatti, una assoluta trasparenza sulla visione di sistema adottata, e quindi del ruolo che i vari attori possono/devono assumersi, nell’ambito di un interesse pubblico generale: è indubbio che la sussidiarietà, intesa come modalità di relazione fra Stato e mercato, permea in modo profondo il sistema.

Sembra quindi utile ribadire, come si evince dal contributo di Claudio De Vincenti e Andrea Tardiola, che il federalismo è un atto di sussidiarietà verticale, come anche lo è (in una corretta interpretazione) l’aziendalizzazione approfondita da Francesco Longo. Ulteriori esempi di possibile realizzazione di una moderna sussidiarietà orizzontale sono inoltre i rapporti fra aziende pubbliche e private (con l’accreditamento), le opportunità di partecipazione del non profit e in generale del terzo settore analizzati da Fabio Monteduro e Teresa Petrangolini. Nelle Regioni, che hanno tra i loro compiti quello della gestione della sanità, si sono articolate con modelli differenti. Qui si approfondiscono quello lombardo e quello toscano, con un’analisi del diverso meccanismo di funzionamento proposta da Roberto Formigoni e da Vinicio Biagi.

Con le chiavi di lettura sopra richiamate, si rimanda quindi alla lettura dei contributi che seguono, sperando di poter concorrere alla apertura di un dibattito su un tema rimasto per troppo tempo inopportunamente negletto.