Gianni Cuperlo

Gianni Cuperlo

deputato del Partito Democratico dal 2006 al 2018, è membro della direzione nazionale del PD.

Rappresentanza e formazione delle classi dirigenti

Com’era quella cosa del buscar el levante por el ponente…? Ecco, dovendo scegliere il punto di partenza direi così: per troppo tempo abbiamo creduto sensato supplire a un deficit della rappresentanza con un surplus di governabilità. In soldoni, la fragilità della democrazia dipendeva da una debolezza del potere esecutivo, rafforzando il secondo avremmo consolidato i pilastri della prima. Teoria corredata e correlata all’infinita stagione del riformismo di stampo elettorale, istituzionale, costituzionale. Nella prima versione con l’esito drammatico di piegare a più riprese le regole alla convenienza in transito (ieri l’auspicio dell’iper-maggioritario, oggi la preghiera della restaurazione proporzionale), negli altri due casi con risultati modesti e talora fallimentari.

Era un altro mondo

Penso che tutto sta a vedere dove ti capita di nascere. Dove e quando ovviamente. E pure in quale quartiere e condominio e famiglia, ma questo volendo, riguarda il dopo. Nel senso che se vieni al mondo a New York e hai vent’anni l’11 settembre 2001 ci sono buone probabilità che la tua vita da quel giorno in avanti non sia più la stessa. E non è solo il trauma di assistere in diretta al crollo di due torri che avevi sempre considerato eterne. È proprio che paura, sentimenti, la stretta allo stomaco di scoprire che tremila persone uguali a te ieri sera cenavano tranquille e oggi non ci sono più, ecco basta quello a darti il senso che nulla tornerà com’era. Vale per quella tragedia, ma lo stesso credo valga per ogni bolognese dopo il 2 agosto o per i milanesi che cinquant’anni fa, era il 12 dicembre 1969, si trovarono precipitati nell’incubo delle stragi.

Combattere sul fronte delle idee

«L’analisi Alfredo. L’analisi è tutto». C’era come una nota dolente nel ricordo che Reichlin faceva a volte dell’ammonimento di Togliatti. Credo fosse perché lo aveva sempre considerato la bussola per qualunque politica, per qualsiasi strategia, e negli ultimi anni lo addolorava il distacco della classe dirigente da quella semplice verità. Per forza di cose la formula ci torna a mente ora, a qualche mese dall’insediarsi del nuovo “potere”, e accade per parecchie ragioni, non ultimo il fatto che senza quella premessa ogni discorsosul dopo, compresa la riunificazione della nostra metà del campo, rischia di rimanere sospeso in un limbo. E allora partiamo dai numeri perché spesso parlano. Dieci anni fa il Partito Democratico raccolse 12 milioni di voti. Cinque anni dopo 8 milioni e mezzo. Il 4 marzo ci hanno votato 6 milioni di italiani. Se in un decennio dimezzi il consenso vuol dire che una parte del tuo mondo ha perso fiducia in te.

Le radici della sconfitta

La sconfitta non ha precedenti. Per la sinistra nel suo complesso è il dato peggiore nella storia dell’Italia repubblicana. La cartina del paese riprodotta per giorni, quello stivale bicolore, non si vedeva dai tempi del referendum Monarchia-Repubblica. Colpisce la mobilità del consenso. Il 40% delle europee 2014 tradotto nel 18% di ora. Una caduta verticale che si colloca nel solco di una regressione costellata di tappe. Oltre 12 milioni i voti raccolti da Veltroni alle politiche del 2008. Un terzo in meno quelli di Bersani cinque anni fa. Poco più di sei quelli del 4 marzo. Nel mezzo elezioni regionali finite male, nell’esito e prima ancora nell’indice di partecipazione come in Emilia a fine 2014. Le sconfitte a Torino, Roma, Genova. A Napoli l’esclusione dal ballottaggio per la seconda volta di seguito. E sullo sfondo i 19 milioni di No al referendum costituzionale.

Il mondo dopo la destra

Nonostante la crisi abbia rimesso in discussione le certezze del paradigma neoliberista e la fiducia nella sua infallibilità, la sinistra, sia europea che italiana, è ancora in cerca di un modello alternativo. Di un nuovo patto tra Stato, mercato e società, e quindi, in definitiva, di un diverso equilibrio tra economia e democrazia.

PD e PdL: il soggetto conta più della sceneggiatura?

Si può individuare, a meno di scelte di parte, un discorso politico che possa essere considerato il più importante della storia italiana? Partendo da questo interrogativo, si può avviare un’analisi dei toni e dei contenuti della campagna elettorale appena conclusa di PD e PdL. Se il PD ha puntato sulla scelta di andare da solo, su un programma curato e leggibile e sull’evidenziazione delle fratture culturali presenti nello schieramento avverso, la campagna elettorale del PdL si è caratterizzata per l’accentuazione dei segni di continuità tra il governo uscente e la proposta veltroniana, per una nuova svolta tremontiana e per una variazione nei toni e nei messaggi.