Antonio Massarutto

Antonio Massarutto

insegna Economia pubblica all’Università di Udine.

Rifiuto

«Qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi»: è questa la definizione legale del termine “rifiuto” ai sensi della direttiva quadro 2008/98, dalla quale discendono obblighi e responsabilità per il detentore, chiamato a gestire i propri scarti nel rispetto di regole sempre più stringenti, per evitare o almeno limitare i danni che essi potrebbero causare all’ambiente.
In natura non funziona così: gli scarti di ogni processo biologico diventano alimento per altri, in un ciclo senza fine il cui motore è l’energia che riceviamo dal Sole. Solo gli scarti di homo sapiens diventano rifiuti, materiali che nessuno vuole, e per la cui eliminazione dobbiamo anzi sostenere elevati costi economici.

Viaggio al termine della "munnezza"

La valorizzazione dei rifiuti urbani, che in Italia è ancora lontana dal realizzarsi pienamente, prevede non soltanto la raccolta differenziata, ma anche degli impianti in cui trattare i materiali e, soprattutto, un mercato finale in cui collocarli, secondo il principio, sempre più diffuso a livello europeo, della responsabilità integrata. L’abbandono della discarica richiede una politica di disincentivo al suo uso, che potrebbe essere condotta, ad esempio, attraverso una tassazione sufficientemente elevata.

Bruciare o riciclare? Anatomia di un falso dilemma

Un dibattito sulla gestione dei rifiuti che voglia essere lucido e imparziale deve partire innanzitutto da alcune considerazioni di ordine tecnico, sociale ed economico che sfatino i falsi miti impugnati dalle due posizioni dominanti: quella favorevole agli inceneritori e quella per il massiccio ricorso al riciclo. L’analisi dei dati dimostra come l’unica soluzione percorribile sia l’integrazione delle due soluzioni, per limitare al massimo lo smaltimento in discarica, il vero “nemico” da combattere.