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I rischi dell'invecchiamento diseguale

La riforma di dicembre 2011 ha omogeneizzato di fatto l’età di ritiro di tutti i lavoratori senza tenere adeguatamente conto dell’eterogeneità degli individui rispetto alla possibilità di proseguire l’attività lavorativa e alla loro aspettativa di vita. Le ricadute negative di questo nuovo assetto, che accresce il rischio di disoccupazione in età avanzata e avvantaggia chi già ha goduto di uno status socioeconomico più agiato, rischiano di essere considerevoli sia dal punto di vista dell’efficienza del sistema che della sua equità. Andrebbero perciò introdotte riforme complementari nel settore del welfare, nel mercato del lavoro e nel sistema produttivo tali da offrire ai lavoratori più maturi effettive garanzie di occupabilità.

Invecchiare e rimanere attivi. Una promessa o una minaccia

La nostra società vive il paradosso di valorizzare la vecchiaia nel segno della sua capacità attiva e di svalutare al contempo i giovani,
che non riescono più ad accedere ai posti di lavoro e ai centri decisionali. Eppure questo tipo di approccio, evidentemente biopolitico
perché considera gli anziani solo dal punto di vista biologico, trascura le specificità di ogni individuo e nasconde una logica economica
di ottimizzazione e problem solving che penalizza chi non riesce a mantenersi dinamico e giovanile. L’invecchiamento attivo è
senz’altro positivo se serve a superare la passività propria del vecchio welfare burocratizzato, ma coglie nel segno solo laddove spinga l’anziano all’autodeterminazione e all’inventiva e non a corrispondere a un’immagine tanto stereotipata quanto fasulla di riuscita, salute ed efficienza a tutti i costi.

"Anziano a chi?". Le nuove età della vita

Da un secolo e mezzo circa a questa parte l’aspettativa di vita delle nuove generazioni è superiore di alcuni anni rispetto a quella dei genitori, tanto che oltre la metà di quanti nascono oggi raggiungerà la soglia dei 100 anni. Le stagioni che hanno subito una maggiore dilatazione sono quelle della giovinezza e, più recentemente, dell’anzianità, che viene ormai suddivisa dai demografi in tre fasi. Quella dei 60 anni diventa così la parte della vita potenzialmente più soddisfacente. Occorre allora attrezzarsi per godere delle opportunità che essa offre e minimizzarne i rischi e, soprattutto, mantenersi attivi il più a lungo possibile.

I numeri della longevità in Italia

L’aumento della longevità e la diminuzione della natalità hanno reso l’Italia uno dei paesi più vecchi d’Europa e del mondo. I divari regionali, con un Mezzogiorno ancora caratterizzato da una minore presenza di anziani, si vanno attenuando sensibilmente, tanto che è prevista nel futuro una accelerata senilizzazione del Sud. Ancorché l’anzianità sia divenuta sempre più una condizione soggettiva, dipendente da molteplici fattori, individuali, culturali e di contesto, il nostro paese non sembra essersi attrezzato dal punto di vista sanitario e pensionistico ad affrontare i nuovi scenari che le analisi demografiche prospettano. Il futuro, con la riduzione delle possibilità finora centrali di autogestione familiare dei bisogni più gravi della terza età, si presenta quindi piuttosto problematico, e divengono sempre più urgenti un ripensamento strategico e reale della struttura di offerta sanitaria e socio-assistenziale e, soprattutto, il sostegno alla diffusione di azioni oggi residuali, come la prevenzione, in primo luogo quella basata sullo stile di vita e volta a mantenere buone condizioni di salute anche in età anziana.

La terza età: luci e ombre

La riduzione della mortalità (invecchiamento dall’alto) e la riduzione della natalità (invecchiamento dal basso) hanno fatto dell’Italia uno dei paesi al mondo in cui la portata dell’invecchiamento è più forte. L’allungamento delle aspettative di vita e il conseguente aumento del numero degli anziani non costituiscono di per sé un fattore negativo, ma sono associati nel nostro paese a una riduzione delle classi di età più giovani e sollevano problemi quali l’età di uscita dall’occupazione e il pensionamento, il welfare e l’erogazione di servizi fondamentali. Questioni che si inseriscono in una situazione in cui il peso della spesa pensionistica diventa per lo Stato sempre più gravoso.

Un'Italia difficile tanto per i giovani quanto per i vecchi

La crisi dello sviluppo che stiamo attraversando dipende, oltre che da evidenti dinamiche economiche e finanziarie, anche dagli squilibri che investono i rapporti tra generazioni, che ormai si contendono sempre di più gli spazi sociali e lavorativi. Come conseguenza, la mobilità professionale, specie nei settori di maggiore responsabilità, è bloccata e i giovani rimangono ai margini della vita attiva. Il paradosso di questo fenomeno, definito in maniera impropria “gerontocrazia”, è che gli anziani tendono a rifiutare la loro condizione e a rincorrere, in una sorta di mimetismo giovanile, un’immagine innaturale e falsificata che penalizza quanti di essi sono soli, non autosufficienti o poveri. Simili contraddizioni richiedono delle politiche di segmento, cioè personalizzate a seconda delle specifiche circostanze, in grado di promuovere una longevità attiva intesa come possibilità di vivere piacevolmente la terza età.