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L’iperdemocrazia dei gazebo

Affidate come sono a una gestione “fai da te”, le primarie sono un espediente inefficace per rinvigorire i partiti e migliorare le procedure di selezione dei candidati. Rischiano anzi, al contrario, di svuotare ulteriormente, in nome di una malintesa idea di partecipazione, la funzione e il senso della politica organizzata.

 

Il partito nell’era della disintermediazione

Quale forma partito può rispondere alle nuove istanze nell’era della progressiva disintermediazione? Può farlo solo un soggetto che sappia riconoscere la crisi dei partiti in tutta la sua problematicità e ade­guarsi ai mutamenti sociali, senza negarli; che accetti di non essere più l’unica forma di partecipazione politica e che sappia, in ragione di ciò, aprirsi a chiunque voglia contribuire a renderlo strumento ef­ficace per la determinazione della politica nazionale. Non un partito debole, ma un partito che, forte della sua capacità di essere comunità disponibile a diverse e flessibili dimensioni di coinvolgimento, con un progetto condiviso e partecipato, interpretato da una leadership democraticamente legittimata, sappia proporre politiche per il paese, nell’interesse di tutti.

Il partito che sceglie da che parte stare

La crisi ha fatto riemergere in Italia una drammatica questione so­ciale. Nuove linee di frattura tagliano trasversalmente la società, sepa­rando inclusi ed esclusi di un modello di sviluppo sempre più oligar­chico e parassitario. Di fronte a questa scelta di campo, come si colloca il Partito Democratico? In quale parte decide di giocare la sua partita? La forza del PD sta oggi nell’aver rigettato l’idea che si possa parlare alla società come a un tutto indistinto per scegliere invece con chia­rezza di stare dalla parte giusta della linea, dalla parte degli esclusi.

Il voto europeo: le ragioni di un successo straordinario - di Massimo D'Alema

Il risultato di domenica ha dimostrato che il PD può catalizzare sia il voto degli elettori che vogliono il cambiamento, sia una fetta importante di voto moderato, di chi vuole fare argine al caos, all’instabilità politica e alla violenza verbale. Questi gli ingredienti di un successo straordinario che rappresenta un patrimonio da spendere con intelligenza nel governo e nelle istituzioni del nostro paese e in quelle europee.

Editoriale 1/2014

Con l’elezione di Matteo Renzi a segretario del Partito Democratico si è aperta una stagione nuova della politica italiana. La grande partecipazione popolare alle primarie e il vasto consenso raccolto dal sindaco di Firenze offrono un’opportunità di riscatto democratico del paese, dopo un ciclo segnato dal declino economico e da una progressiva paralisi dello stesso sistema istituzionale.

Crisi finanziaria internazionale e politica italiana

Se è ormai chiaro che la gestione politica della persistente crisi finanziaria è divenuta compito primario delle banche centrali e delle grandi istituzioni finanziarie internazionali e, soprattutto, dipende dai complessi rapporti di queste con l’ipertrofico e instabile sistema della finanza globale, quale può essere il concreto rapporto tra questa situazione globale e la politica dell’Italia?

Congresso PD: affrontare il nodo delle ragioni della sconfitta elettorale

Dal dibattito che sta segnando l’avvicinamento del Partito Democratico al congresso viene regolarmente rimossa una questione cruciale: il PD ha perso le elezioni, e se non vuole trasformare questo nel proprio destino farà bene ad aprire la discussione sul perché ciò è accaduto. Il congresso dovrebbe partire proprio da qui.

La sinistra senza popolo

Se l’attuale centrosinistra, almeno a parole, si definisce erede delle tradizioni popolari della prima Repubblica, nella realtà dimostra invece di avere perso il contatto con le trasformazioni in atto nella società e soprattutto con le istanze dei ceti più popolari. Da quando si è prodotto questo distacco, la sinistra ha cominciato a etichettare come antipolitica e populismo ciò che non rientrava nelle sue categorie di analisi, nascondendo così, innanzitutto a se stessa, la sua più grande e inaccettabile anomalia: l’essersi trasformata in un riformismo senza popolo. Fino a quando vogliamo continuare lungo questa strada? Come superare gli ostacoli che impediscono alla sinistra di fare popolo?

La sinistra, il partito aperto e i suoi nemici

I tratti distintivi dei partiti di massa novecenteschi non sono più applicabili alla società attuale. I partiti non hanno più una dottrina assoluta e onnicomprensiva da offrire per la soluzione dei complessi problemi del mondo di oggi, mentre, dal canto loro, gli elettori, sempre più padroni di autonomi strumenti di informazione e critica, sono poco disponibili a identificarsi con i partiti. Per rispondere all’esigenza di una partecipazione più ampia imposta dalla politica contemporanea si è scelto, al momento della sua fondazione, di dare al Partito Democratico i tratti di una struttura aperta, con efficaci regole di democrazia interna e con una leadership pienamente legittimata attraverso la scelta degli elettori e per ciò stesso contendibile.

Dal romanticismo alla strategia: idee per un partito rinnovato

Da ormai vent’anni l’autorappresentazione della società civile si affianca, in Italia, all’affermazione dell’assunto neoliberista secondo il quale la conoscenza necessaria a governare si trova nelle mani di pochi. Questa conoscenza è invece, oggi più che mai, assai diffusa, e può offrire un contributo determinante nel restituire centralità al partito politico e al ruolo di mediazione che esso è ancora in grado di offrire. Perché ciò avvenga è però necessario un partito dai forti elementi identitari, con convincimenti robusti e condivisi, che sappia mettere in rete le sue esperienze migliori e ristabilire un rapporto solido con l’associazionismo locale, dimostrazione tangibile che c’è ancora tanta voglia di fare politica.

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