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Editoriale

Finalmente in larghi settori dell’opinione pubblica cresce la consa­pevolezza che il nostro futuro è indissolubilmente legato alla qualità ambientale del pianeta. Il consenso riscosso, in tutta Europa, dalla coraggiosa direttiva adottata a Bruxelles sulla plastica monouso se­gnala l’esistenza di un sostegno senza precedenti dei cittadini dell’U­nione verso nuove e più ambiziose politiche ambientali. Le istituzio­ni europee e nazionali non hanno ormai più alibi. La indispensabile rivoluzione green che vogliamo urgentemente realizzare gode, adesso, del consenso della maggioranza degli europei. Un consenso che si ri­vela essere in crescita anche negli orientamenti delle forze produttive.

L’economia circolare, quello che serve. Un piano verde per l’Italia

L’economia circolare, la vogliamo veramente? Direi di sì. Dobbiamo dire di sì. È quello che serve per trasformare l’attuale modello economico, che punta al consumo delle risorse, in un modello che le risorse invece non soltanto le recupera ma prova anche a usarle in modo più razionale.
Oggi, la prima emergenza mondiale è rappresentata dai cambiamenti climatici. Una sfida per salvaguardare la vita del pianeta, per come l’abbiamo conosciuto finora. Una sfida che ognuno di noi, nel suo piccolo, può contribuire a vincere.

L’agenda per lo sviluppo sostenibile al 2030: Quale ruolo per l’Unione Europea e l’Italia?

Transizione ecologica e lotta alle diseguaglianze non sono solo le due sfide cruciali per assicurare un futuro sostenibile alle prossime generazioni, ma sono anche inscindibilmente connesse tra loro. Per capire quanto a fondo siano intrecciate basta considerare su quali fasce sociali si abbattono in maniera più violenta gli effetti dell’emergenza climatica e degli eventi climatici sempre più estremi, la cui frequenza è aumentata in modo allarmante.

Nodi e opportunità dell’economia circolare

Se ci si allontana dalla cronaca sulle emergenze rifiuti di Roma e Palermo, dalle polemiche su inceneritori e discariche, la situazione italiana nel percorso verso l’economia circolare appare piuttosto interessante da diversi punti di vista.
Innanzitutto perché il nostro paese, pur tra tante contraddizioni, è tra quelli più avanti in Europa per capacità di riciclo dei rifiuti prodotti e per i risultati di alcune filiere. Partiamo dai dati: attraverso sistemi di raccolta differenziata si intercetta ormai più della metà dei rifiuti urbani in Italia, con numeri in costante crescita.

L’innovazione obbliga

L’urgenza di un rapporto più equilibrato tra economia, società e ambiente è tema che percorre con crescente evidenza la discussione pubblica un po’ in tutto l’Occidente. La crisi del 2008 e la consapevolezza del raggiungimento di limiti ambientali e sociali oltre i quali il futuro delle società appare sempre più incerto hanno posto all’ordine del giorno la riflessione sull’esigenza di avviare una nuova stagione umanistica nelle società industriali.
Nel secolo breve a questa esigenza si era risposto con il concetto weberiano della “proprietà che obbliga”, espressione di un “paradigma manifatturiero” nel quale impresa e lavoro erano cardini di una capacità regolativa della società di mezzo, delle rappresentanze, del conflitto mediato dalla politica, portato storico della società di fabbrica.

L’impatto economico e sociale della trasformazione verde

Sul riscaldamento globale, ovvero sull’aumento della temperatura media del nostro pianeta, non ci sono dubbi: tutta la comunità scientifica è d’accordo. Negli ultimi cento anni c’è stato un aumento di circa 0,8 °C. Anche sull’effetto serra non ci sono divergenze di vedute. Si tratta di un fatto estremamente positivo, perché ha consentito lo sviluppo della vita sul nostro pianeta. Era stato notato e teorizzato dal matematico Fourier già nel 1828. Il problema è il suo eccesso. Le controversie nascono invece sull’origine del riscaldamento globale, ovvero se si tratti di un fenomeno ciclico legato a delle periodicità dovute a fenomeni solari e, più in generale, astronomici – ad esempio, negli ultimi mille anni ci sono state variazioni naturali come il periodo caldo medievale (IX-XIV secolo) e la piccola era glaciale (XV-XVII) – o piuttosto prodotto dall’attività umana (effetto antropico), a partire dall’industrializzazione, con una particolare accelerazione negli ultimi decenni.

La sfida urgente di uno sviluppo sostenibile

Gli impatti ambientali della globalizzazione di uno sviluppo basato sull’energia fossile e sull’elevato consumo di risorse naturali sono cresciuti rapidamente e si sono estesi all’intera biosfera, diventando un fattore limitante per le possibilità di ulteriore espansione economica. Nell’era della globalizzazione, per assicurare un benessere più esteso e inclusivo, è necessario un nuovo progetto di sviluppo: uno sviluppo ecologicamente sostenibile. Lo sviluppo sostenibile – come definito nel rapporto Brundtland, pubblicato nel 1987 in vista della Conferenza di Rio del 1992 – dovrebbe essere in grado di assicurare «il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri».

Il ruolo delle città nel contrasto al cambiamento climatico

Il cambiamento del clima non è più una questione che riguarda il futuro. Anzi, si potrebbe sostenere che è ormai cosa del passato. Come afferma Greta Thunberg – l’attivista sedicenne che ha avuto il merito di avviare quello straordinario movimento globale che ha preso il nome di Fridays for Future – la questione del nostro tempo non è più il climate change: quello che stiamo vivendo ora è invece una vera e propria crisi climatica.
Lo storico rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) – il foro scientifico delle Nazioni Unite che studia il riscaldamento globale –, uscito nel 2018, sostiene infatti che il globo terrestre è già più caldo di 1 °C rispetto all’epoca preindustriale, che gli impatti del clima mutato sono già visibili e che abbiamo solamente dodici anni per evitare la catastrofe climatica.

Biologico e biodinamico, il cuore del nuovo paradigma dell’agroecologia

La crescita dell’agricoltura biologica su scala globale è un fatto ormai acclarato; in base ai dati FiBL-IFOAM “The World of Organic Agriculture 2019” relativi al 2017, l’agricoltura biologica coinvolge nel mondo oltre 2,9 milioni di agricoltori in 181 paesi, per una superficie agricola di 69,8 milioni di ettari con un aumento del 20% rispetto al 2016 e del 102,6% rispetto al 2008. Nei 28 paesi dell’Unione europea si registrano oltre 305.000 produttori per 12,8 milioni di ettari coltivati, con un incremento del 3,5% del numero di produttori e del 6,4% della superficie agricola biologica rispetto all’anno 2016. L’Italia rientra tra i dieci maggiori paesi produttori di cibo biologico a livello mondiale: in Europa con i suoi 79.000 operatori biologici si colloca al primo posto per numero di occupati nel settore e con gli attuali 2 milioni di ettari, che rappresentano il 15,5% della superficie agricola del nostro paese, al secondo posto dopo la Spagna per superficie agricola destinata alle produzioni biologiche.

Le inarrestabili rinnovabili

Per quale motivo le rinnovabili hanno assunto, e assumeranno sempre più, una valenza strategica in campo energetico? Per capirlo bisogna partire dal processo di decarbonizzazione necessario per far fronte alla crisi climatica. Ci sono infatti fondamentalmente due strumenti per ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili: la riduzione dei consumi e il passaggio alle energie pulite.
L’obiettivo di contenimento dei gas climalteranti diventa sempre più decisivo nell’orientare gli investimenti in tutti i settori dell’economia. Nel 2014 l’Europa aveva deciso un taglio del 40% al 2030 rispetto ai livelli del 1990, ma l’accelerazione dell’emergenza climatica e la drastica riduzione dei costi delle tecnologie del solare e dell’eolico hanno imposto e al tempo stesso hanno permesso di essere più ambiziosi.

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