La transizione istituzionale ha accompagnato una più vasta evoluzione sociale e politica rimuovendo vecchie anomalie: l’unità ideologica della sinistra intorno a un’egemonia comunista e il suo riflesso speculare dell’unità elettorale dei cattolici nella DC, sistemi elettorali destinati esclusivamente a fotografare e non a trasformare le opinioni in decisioni, un livello troppo elevato di centralismo nel rapporto centro-periferia. Ne sono però sopravvissute altre e se ne sono formate di nuove, poco sostenibili in un quadro europeo. Sul piano più elevato, quello costituzionale, l’anomalia più evidente è la persistenza di due camere entrambe titolari di un rapporto fiduciario.
Giuliano Amato È stato scritto da più parti che il tema della laicità rischia di essere il vero pomo della discordia su cui può infrangersi l’unità necessaria al Partito Democratico. Sono convinto anch’io che è un pomo di discordie possibili, ma lo è forse per ragioni diverse da quelle che usualmente si riconducono al dibattito sulla laicità e quindi al tema dei rapporti tra Stato e Chiesa, tra istituzioni civili e istituzioni religiose.
Ignazio R. Marino Ritengo anch’io che il nodo della laicità nella costituzione di un partito nuovo sia centrale e che oggi viviamo in un’epoca storica nella quale i rapporti tra Stato e Chiesa, soprattutto in un paese come il nostro, in cui questi rapporti sono regolati dal Concordato, di fatto costituiscono una situazione della quale si debba tener conto con serietà, rigore ed equilibrio.
Il processo di privatizzazione delle imprese di proprietà pubblica, avviato in Italia nei primi anni Novanta, è diventato un caso di studio e un riferimento a livello internazionale, per la dimensione delle vendite, nel mondo inferiori solo a quelle del Giappone e del Regno Unito, ma anche per l’efficace sequenza delle vendite e le procedure trasparenti L’avvio delle privatizzazioni fu imposto dal grave deterioramento dei conti delle aziende a partecipazione statale, soprattutto l’IRI e l’EFIM, in una fase in cui anche i conti dello Stato erano in condizioni non più sostenibili, dopo oltre un decennio di elevati disavanzi che avevano fatto lievitare il debito pubblico oltre il 120% del PIL.
La riforma dei servizi infrastrutturali ha recentemente avuto un ruolo centrale nelle politiche economiche di tutti i paesi avanzati. Con vari gradi, in ogni paese si è sviluppata una crescente insoddisfazione causata dallo stato delle cose e dalla struttura storica prodottasi nel corso del secolo scorso. Le riforme che ne sono conseguite, pur con caratteristiche ampiamente differenti, in particolare tra gli Stati Uniti e i paesi europei, hanno avuto un denominatore comune: il progressivo ritirarsi dello Stato dal controllo diretto sulle decisioni in diversi settori. In questo saggio verranno presi in considerazione i principali trend comuni in alcuni paesi ad economia avanzata, le differenze nei processi di riforma e si discuteranno alcune riforme di particolare significato e dense di conseguenze per l’esperienza italiana. Infine, si cercherà di rispondere alla domanda proposta nel titolo alla luce di alcuni sviluppi recenti.
Il percorso di liberalizzazione dei servizi pubblici ha avuto alterne fortune. A periodi in cui sembrava che liberalizzazione e privatizzazione dovessero rappresentare il fulcro di una nuova politica economica, si sono alternati periodi in cui le difficoltà incontrate o i dubbi sull’effettivo beneficio conseguito dal consumatoreutente dalle liberalizzazioni già avviate hanno sensibilmente frenato o comunque rallentato il processo in corso.
Sul finire degli anni Settanta, ripercorrendo l’evoluzione del capitalismo italiano nel dopoguerra, Guido Carli, allora presidente della Confindustria, attribuiva alla sottovalutazione del tema della concorrenza e degli strumenti più adatti a favorirne il libero dispiegarsi nei mercati uno dei fattori ritardanti significativi, che avevano segnato lo sviluppo del paese.
Le relazioni dell’India con l’Unione europea sono più generalizzate e più produttive di quelle che la legano a qualsiasi altro attore globale. Negli ultimi due anni l’India e l’UE si sono impegnate nel compito rivoluzionario di trasformare le relazioni intessute nei precedenti quarantacinque anni in una partnership strategica, in un rapporto stabile e fondato su basi ampie, su valori condivisi di democrazia, pluralismo, legalità e rispetto dei diritti umani. Il primo ministro Manmohan Singh e il suo interlocutore finlandese, Matti Vanhanen, hanno riconosciuto l’importanza dei progressi compiuti verso questo obiettivo durante il vertice di Helsinki del 13 ottobre 2006, il settimo dei summit tra India e Unione europea svoltisi dal 2000 a oggi.
Cina e India sono vicini di casa. Per la Cina, il 2006 ha rappresentato il ventesimo anno di crescita economica ininterrotta, con un andamento medio del 7,9%. Per l’India vale la pena citare l’articolo di Gurcharan Das, apparso recentemente su «Foreign Affairs»,1 in cui si afferma che «l’economia indiana ha registrato una crescita annua del 6% tra il 1980 e il 2002, e del 7,5% tra il 2002 e il 2006, tale da renderla la quarta al mondo per dimensioni, e si appresta a superare il Giappone, collocandosi così al terzo posto». La Cina, nel perseguimento dei propri obiettivi generali di politica estera, ha dato la massima priorità alle azioni diplomatiche con i paesi confinanti e da un paio d’anni sostiene di voler stabilire rapporti di buon vicinato stabili e reciprocamente vantaggiosi con tutti i paesi con cui confina, e si sa quali straordinari risultati abbia ottenuto.