Il processo di riforma della PAC e le prospettive future

Di Felice Adinolfi Giovedì 26 Giugno 2008 19:15 Stampa
La Politica agricola comunitaria, nata in Europa dopo la seconda guerra mondiale per far fronte al fabbisogno alimentare, usa quali strumenti per il raggiungimento dei suoi obiettivi sostegni legati alla
produzione e meccanismi di regolazione del mercato e dei prezzi. La crisi dei prezzi alimentari in atto
fa interrogare l’Europa sui tempi e le modalità di un percorso di riforma della PAC, che vede confrontarsi
due visioni tradizionalemnte contrapposte: quella francese e quella britannica.

Dalla scarsità all’eccedenza. Una nuova stagione di politiche per l’agricoltura

La Politica agricola comunitaria (PAC) nasce alla fine degli anni Cinquanta come risposta alla necessità di ricostruire all’interno del territorio europeo, devastato dalla guerra, un potenziale produttivo idoneo a soddisfare i fabbisogni alimenatri della popolazione. In tale direzione la politica europea a sostegno del settore agricolo, al pari di quelle degli altri paesi, ha sviluppato meccanismi di forte incentivo alla produzione, raggiungendo brevemente il livello di autosufficienza alimentare per molti dei prodotti considerati strategici per l’alimentazione e le condizioni del periodo postbellico. La strumentazione utilizzata per il raggiungimento di questi obiettivi si è basata prevalentemente su sostegni legati alla produzione e su meccanismi di regolazione del mercato e dei prezzi. Così, l’offerta agricola ha continuato a crecere oltre i fabbisogni interni, garantita da meccanismi che la tenevano al riparo delle dinamiche di un mercato, tra l’altro, complessivamente ristretto e limitato proprio a causa delle diffuse politiche protezionistiche.

Si è in questo modo transitati dalla fase della scarsità a quella dell’eccedenza. Il sostegno alla produttività ha inoltre generato costi sociali e ambientali rilevanti, tanto da incrinare agli occhi dei cittadini europei l’immagine di quella che è stata la prima politica di integrazione economica sperimentata dall’Europa.

Ma gli enormi volumi di derrate alimentari portate all’ammasso, dietro corrispettivo agli agricoltori, sono stati solo l’eclatante manifestazione di una politica entrata in un circolo vizioso, la cui spesa era fuori controllo e che iniziava a essere generatrice di significative esternalità negative. Da quella situazione prese piede un’intensa riflessione che portò all’avvio del ciclo riformatore della PAC. Prima con la riforma MacSharry del 1992, poi con Agenda 2000 e sotto la spinta dei negoziati sul commercio internazionale, l’Europa, che viveva una fase intensa del suo processo di allargamento, ha iniziato un lungo lavoro finalizzato alla costruzione di un rinnovato paradigma di intervento. Riduzione delle garanzie di mercato, revisione dei meccanismi di sostegno alla produzione e maggiori risorse destinate alla realizzazione di benefici ambientali e alla competitività delle aree rurali. Nel solco tracciato da queste due riforme è poi intervenuta la riforma Fischler del 2003, che ha accelerato il cammino riformatore, sganciando produzione e sostegni e legando questi ultimi alla realizzazione di benefici collettivi da parte dell’agricoltore, attraverso l’introduzione del sistema della condizionalità (premio unico, sganciato dai livelli produttivi ed erogato a fronte di comportamenti positivi dell’agricoltore in tema di ambiente, benessere animale, sicurezza alimentare). Gli agricoltori europei sono così oggi più vicini ai mercati e i meccanismi di regolazione dei prezzi e dei mercati hanno ridotto, seppure lentamente, il loro impatto.

Dall’eccedenza alla nuova crisi alimentare. Le posizioni dominanti nel dibattito sul processo di riforma della PAC

Oggi, in una fase di intensa riflessione e dibattito sulle modalità di prosecuzione del percorso riformatore, ci troviamo di fronte ad una situazione che si è arricchita di elementi di straordinaria importanza, che segnano un tratto di forte discontinuità rispetto al recentissimo passato.

La crisi dei prezzi alimentari restituisce preoccupazioni da cui ormai ci sembrava essere lontani e amplifica la portata delle emergenze umanitarie a livello globale.

Ci si sta allora iniziando ad interrogare in Europa su come tempi e modalità del percorso di riforma possano essere compatibili con questo nuovo scenario. Una prima parziale risposta è venuta dalla riflessione che è scaturita nell’ambito della verifica sullo stato di salute della PAC (health check): il documento varato dal Parlamento europeo il 20 maggio scorso e le riflessioni del commissario europeo all’Agricoltura, Mariann Fischer Boel, che lo hanno accompagnato. L’eliminazione di alcuni vincoli alla produzione (messa a riposo obbligatoria, progressivo smantellamento delle quote latte), la riduzione dei sostegni alla produzione e l’ampliamento della portata delle politiche per lo sviluppo rurale e la competitività dell’agricoltura costituiscono opzioni che rispondono all’esigenza di favorire la liberazione delle energie produttive e sostenere l’offerta in un momento di prezzi crescenti. Si tratta di indicazioni che confermano la direzione intrapresa con la riforma Fischler e suggeriscono adattamenti al mutato scenario, arricchendo il dibattito in corso sul futuro della PAC, che dovrà risolversi entro il 2013 con il varo di una nuova riforma e quello, strettamente collegato, della ripresa dei negoziati sul commercio internazionale dei prodotti agricoli. Su questo terreno iniziano a prendere forma e a confrontarsi le due visioni che tradizionalmente si contrappongono all’interno dell’Unione europea: quella britannica, più spiccatamente orientata alla liberalizzazione dei mercati e alla eliminazione di qualsiasi fattore distorsivo dei meccanismi di regolazione degli scambi; e quella francese, maggiormente ancorata alla visione produttivistica e all’importanza strategica rivestita dalle misure di sostegno al settore.

La Francia, proprio alla luce del nuovo scenario, interpreta la PAC come un modello per favorire la sicurezza alimentare in ogni parte del mondo, sostenendo che la risposta alla crisi non sta nella liberalizzazione degli scambi. La posizione francese, espressa dal ministro Barnier, paventa il rischio che l’abolizione totale dei meccanismi di regolazione del mercato e lo smantellamento dei sostegni possa condurre alla chiusura di un modello di intervento che garantisce sicurezza e stabilità per una produzione strategica come quella alimentare. In questa visione si evoca l’attualità di alcuni degli originari obiettivi della PAC e si sostiene l’opportunità di esportare anche nei paesi meno sviluppati il modello europeo di sostegno al settore agricolo affinché contribuisca alla crescita del loro potenziale produttivo e alla loro autosufficienza alimentare.

Una posizione che nell’analisi della situazione attuale tende a marginalizzare il contributo delle politiche protezionistiche all’incremento dei prezzi e che punta molto sugli effetti positivi che possono essere prodotti dai paesi sviluppati attraverso la condivisione di modelli di intervento pubblico e nel sostegno all’ammodernamento delle agricolture dei paesi più poveri.

All’opposto la visione del Regno Unito, tradizionalemte critico verso l’elevato budget che l’UE destina alla spesa agricola e che sostiene la necessità di ridurre velocemente l’impatto delle misure a sostegno dei prezzi e dei redditi degli agricoltori. Secondo questa impostazione molte delle misure di sostegno attualmente operative generano effetti distorsivi sui mercati, spingono al rialzo i prezzi dei prodotti agricoli, penalizzando soprattutto i paesi più poveri. Di qui la necessità di eliminare misure che si ritengono superate rispetto all’attuale contesto, attribuendo quasi esclusivamente ai mercati il compito di regolare gli scambi e orientare le scelte produttive.

La ricerca di un nuovo equilibrio

L’attuale scenario spinge, quindi, a valutazioni diverse circa i tempi e le modalità di prosecuzione del percorso di riforma della PAC. Il punto di partenza è rappresentato dalla comune condivisione della validità dell’orizzonte tracciato con la riforma del 2003. Quindi, sostegno alle funzioni socioambientali dell’agricoltura e alla competitività del settore e delle aree rurali da un lato e progressiva riduzione dell’impatto dei sistemi di regolazione dei prezzi e dei mercati dall’altro.

Ma alla luce del nuovo scenario alcune opzioni vanno sicuramente aggiornate e la ricerca di soluzioni va individuata probabilmente al di là di questa tradizionale contrapposizione tra modelli di intervento produttivistici e politiche leggere, destinate esclusivamente a promuovere funzioni collettive dell’agricoltura e dello sviluppo rurale.

La politica agricola del futuro deve rispondere ad uno scenario più complesso ed essere in grado di fornire una strumentazione che nel medio-lungo periodo possa contribuire ad affrontare le nuove sfide. L’agricoltura europea dovrà essere più competitiva, ma anche più sostenibile e nella ricerca di questo trade off tra output economici e socio- ambientali, dovrà garantire il suo contributo alla soluzione dell’attuale crisi alimentare.

Questo impone una riflessione approfondita e aggiornata alla luce delle nuove dinamiche che determinano lo squilibrio tra domanda e offerta e il conseguente incremento dei prezzi.

Il disaccoppiamento degli aiuti ha portato già a importanti risultati, promuovendo un’agricoltura guidata dal mercato. Allo stesso tempo, la riduzione del sostegno ai prezzi e ai mercati ha favorito la crescita degli scambi e incrementato significativamente le relazioni commerciali con i PVS. Occore continuare su questa strada, ma senza perdere di vista la straordinarietà del momento, che impone cautela.

In tal senso si potrebbe non escludere la possibilità che lungo il percorso riformatore alcuni interventi possano essere più graduali di altri e che possa esserci spazio per interventi di regolazione dei mercati che possono essere attivati con intensità variabile per fronteggiare situazioni di allarme o di crisi.

Occorre riflette su modalità innovative di gestione del rischio per gli imprenditori agricoli, esposti alla elevata variabilità del clima e dei prezzi, utilizzare le risorse per lo sviluppo rurale per promuovere la competitività dell’offerta agricola, proseguendo nella valorizzazione del ruolo pubblico dell’agricoltura. Su queste basi e nella consapevolezza della straordinarietà di una situazione che richiede risposte urgenti, può essere costruita una prospettiva alternativa e non di compromesso rispetto alle due grandi posizioni che si confrontano sulla scena europea, di cui l’Italia potrebbe essere interpete, dando continuità al rinnovato protagonismo che i paesi mediterranei hanno avuto negli ultimi anni in sede europea, utile anche ad accelerare la chiusura di un ciclo troppo lungo e impervio di negoziati sul commercio internazionale.