Torino, la città che ha sfidato la crisi

Di Piero Fassino Lunedì 16 Marzo 2015 17:51 Stampa

Se per cento anni Torino è stata una realtà essenzialmente industriale e manifatturiera oggi, pur continuando a rappresentare una grande realtà produttiva, ha saputo darsi un profilo diverso e aprirsi a nuove vocazioni espressione della società e dell’economia della conoscenza: ricerca, innovazione, formazione, cultura. Forte dell’enorme trasformazione già messa in atto, la città ha affrontato la crisi e l’ha sfidata, convinta che nella capacità di produrre cambiamento e trasformazione stiano le opportunità di crescita, di progresso, di lavoro di una comunità.

Quando si pensa a Torino, per la maggior parte delle persone il pensiero corre immediatamente alla Fiat, alla sua classe operaia, all’identità industriale che per oltre un secolo ha segnato il profilo della città. Ed è certamente un’immagine che ha fondamento nella storia di una città che per oltre cento anni è stata la principale factory town italiana, simbolo del lavoro, diventata forte e grande grazie all’industria. Ma chi abbia l’opportunità di visitare Torino oggi dovrà constatare, non senza sorpresa, quanto la città abbia cambiato la sua identità e il suo profilo. Se per cento anni è stata una realtà essenzialmente industriale e manifatturiera – al punto che per lungo tempo è stata definita “città a una vocazione” – oggi si caratterizza per un profilo “plurale”: continua a essere una grande città industriale – e vogliamo che lo sia – ma al tempo stesso si è allargata a nuove vocazioni espressione della knowledge society e dell’economia della conoscenza: ricerca, innovazione, formazione, cultura. Insomma, negli ultimi venti anni è venuta crescendo una “nuova Torino”, che senza recidere le sue radici industriali – che anzi ha riqualificato a un livello di specializzazione più alto – ha saputo investire su nuove vocazioni. Torino è così divenuta sempre di più sede di istituti di eccellenza nella ricerca e nell’innovazione tecnologica, sottolineati dalla presenza dei centri di ricerca di grandi gruppi – General Motors, Fiat Chrysler, Telecom, Petronas, Reply, General Electric – nonché da incubatori di impresa che le hanno consentito di essere – con Milano e Bologna – una delle tre città italiane con il più alto numero di start up. Così come Torino è una delle realtà più impegnate nella realizzazione dei programmi smart city finanziati da fondi europei e nazionali.

Tale profilo si congiunge con un altro carattere su cui la città ha molto investito: Torino come sede universitaria e di alta formazione, reso possibile da due università di alta qualità – il Politecnico e l’Università degli studi, con centomila studenti (il 12% stranieri!) – e un sistema di centri di formazione di eccellenza: dall’ESCP – la Scuola internazionale di alta managerialità con sedi a Torino, Parigi, Berlino, Londra e Madrid – alla Scuola di alta formazione di studi militari, dal Centro internazionale di formazione dell’ILO (Organizzazione internazionale del lavoro) alla European Training Foundation.

Questo investimento sul sapere si è saldato a sua volta a un’altra scelta strategica: la cultura come fattore costitutivo del nuovo modello di sviluppo della città. Una scelta fondata sulla consapevolezza che nel mondo globale di oggi la competizione non è solo tra imprese, ma anche tra territori. E hanno più opportunità di crescita, di sviluppo, di attrazione di investimenti e di creazione di lavoro le città che si presentano come accoglienti, attrattive, con un’alta qualità del sapere e della vita. Investire in cultura non è dunque una scelta “aggiuntiva”, ma elemento costitutivo di una crescita qualitativamente ricca.

È questo approccio che spiega perché Torino investa in cultura ogni anno 100 milioni di euro, con un modello di partnership pubblica/privata particolarmente efficace. Un investimento culturale che ha puntato alla piena valorizzazione dell’ampio patrimonio architettonico, che la città eredita dall’essere stata per oltre quattrocento anni una capitale, e del suo patrimonio museale di valore nazionale e internazionale – dal Museo Egizio (il secondo al mondo) al Museo nazionale del Cinema, dal Museo del Risorgimento al Museo nazionale dell’auto, dalla Galleria Sabauda all’ampio patrimonio di fondazioni pubbliche e private dedicate all’arte contemporanea. A questo la città ha via via affiancato una programmazione di grandi eventi in ogni disciplina culturale: il Festival internazionale del jazz, il Salone internazionale del libro, il Torino film festival, Artissima, Mito, il Festival internazionale del cinema LGBT, Terra madre e il Salone del gusto. Il duplice riconoscimento UNESCO alle residenze sabaude come patrimonio dell’umanità e a Torino come capitale del design suggellano questo impegno.

È tale investimento diffuso e costante in cultura che ha trasformato Torino in una città turistica. Se questa dimensione era in passato delegata alle stazioni sciistiche della corona alpina, oggi Torino è meta turistica sempre più frequentata e riconosciuta, al punto da essere la città italiana con il più alto incremento di flussi turistici nel decennio 2004-14. Risultato a cui hanno dato un contributo decisivo le Olimpiadi invernali 2006 e le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia del 2011. Questa enorme trasformazione è stata possibile grazie ad alcuni “motori”. Il principale fattore propulsivo è stato la trasformazione urbana della città. Il cambiamento degli ultimi vent’anni, infatti, ha preso le mosse dalla grande crisi che investì Torino e il suo sistema economico nel decennio a cavallo degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, quando l’irruzione della globalizzazione nell’economia italiana, sconvolgendone assetti e competitività, provocò lo svuotarsi dalla produzione e dal lavoro di 10 milioni di mq di aree industriali. Chiusero gli stabilimenti Fiat del Lingotto, di Chivasso, di Rivalta e si dimezzò Mirafiori. Trasferirono altrove le loro produzioni le Officine Savigliano, la Michelin, la Teksid e altri grandi insediamenti industriali. E l’intero sistema delle medie e minori imprese fornitrici di grandi gruppi fu investito da un sommovimento non meno turbolento. Tant’è che in quello stesso decennio Torino passò da 1.200.000 a 900.000 abitanti! Un vero e proprio terremoto che portava la città e la sua classe dirigente a interrogarsi se Torino non fosse giunta alla fine della sua grande storia.

A quell’interrogativo la società torinese ha saputo dare risposta mettendosi in gioco attraverso un ambizioso programma di trasformazioni urbane che mutasse quei 10 milioni di mq di aree industriali da rischio a opportunità. E così, nel giro di due decenni, Torino ha messo in cantiere una massa impressionante di investimenti: la prima linea della metropolitana, il nuovo passante ferroviario e le sei linee del nuovo sistema ferroviario metropolitano, il teleriscaldamento, il termovalorizzatore, i campus universitari e le residenze studentesche, la corona verde, nuovi insediamenti residenziali e di housing sociale. A cui si sono aggiunti i nuovi impianti olimpici e la riqualificazione del patrimonio storicoarchitettonico, in primis la Reggia di Venaria, il Polo reale e il sistema delle residenze sabaude.

Un programma molto vasto di investimenti che naturalmente ha esposto la città a un significativo indebitamento, di cui talora si dà notizia in modo sbrigativo e superficiale. Sì perché va richiamata la differenza tra indebitamento per sfondamento da spesa corrente – fenomeno che Torino non conosce – e indebitamento da investimenti che, per quanto onerosi, contribuiscono a mobilitare capitali, creare lavoro, migliorare la città. E in ogni caso quell’indebitamento è stato oggetto in questi ultimi anni di un’azione di rientro che si sta perseguendo con determinazione e successo. Un secondo motore della trasformazione è stato proprio il background industriale di Torino. Per un verso il sistema industriale – sollecitato dalla crisi – ha messo in campo un processo di ristrutturazione che ha innalzato la qualità competitiva e la specializzazione tecnologica delle imprese; per altro verso è proprio la robusta intelaiatura industriale che ha favorito l’insediamento di attività di ricerca, di invenzione e di start up e la crescita di un sistema universitario e formativo di alta qualità e attrattività nazionale e internazionale.

In tale processo, l’integrazione tra Fiat e Chrysler e la nascita di FCA ha rappresentato una forte sollecitazione per tutto il sistema industriale. Con FCA è nato un player globale, operante su tutti i mercati e in tutte le fasce di prodotto, capace di reggere la competizione con i grandi produttori. Al tempo stesso il settore dei componenti e della fornitura – che a Torino significa centinaia di aziende e migliaia di occupati – è stato sollecitato a uscire dall’ombrello protezionistico del solo universo Fiat, per diventare fornitore dell’intero sistema automobilistico mondiale e delle sue principali marche.

Un terzo motore è stato la proiezione internazionale della città. Torino, prima per la sua storia di capitale, poi per essere stata il principale polo manifatturiero del paese, ha sempre coltivato una dimensione internazionale. Negli anni della trasformazione questo profilo è stato ulteriormente accentuato. Torino è oggi la seconda area di esportazioni italiane; la fusione tra Intesa e Sanpaolo ha dato luogo al più grande gruppo bancario italiano; le università operano in una rete di cooperazione accademica e di ricerca con oltre cinquecento università in tutto il mondo; musei e fondazioni culturali hanno promosso un sistema di relazioni strutturate con le principali istituzioni culturali internazionali, dal Museo D’Orsay all’Ermitage, dal Metropolitan al Covent Garden. La città è sede di un campus delle Nazioni Unite e di istituzioni europee, ha relazioni di partnership con oltre sessanta città nel mondo, ospita rappresentanti consolari di cinquanta paesi.

Un quarto motore è stato il sistema di welfare che a Torino esprime livelli di offerta superiori alle medie nazionali. Per 46.000 bambini al di sotto dei sei anni operano settecento servizi di ogni tipo. Il 37% dei bambini torinesi frequenta l’asilo nido (contro una media nazionale del 19%!). Oltre settecento sono inoltre i servizi socioassistenziali offerti a famiglie, persone fragili, portatori di disabilità, persone sole. Un sistema robusto che – nonostante le minori risorse di cui oggi dispongono gli enti locali – è stato salvaguardato grazie a un forte contributo della sussidiarietà sociale e a originali forme di partenariato pubblico/privato.

E, infine, ha giocato un ruolo significativo la capacità di gestire la trasformazione con una efficace pianificazione strategica e una governance collegiale che ha coinvolto tutti i principali stakeholders della società torinese: istituzioni, banche e loro fondazioni, imprese e categorie professionali, camere di commercio, università, istituzioni culturali. Prima il Piano regolatore adottato nel 1995, poi i due Piani strategici 2001 e 2006 – Torino è stata la prima città italiana a dotarsi di tale strumento – hanno offerto un quadro strategico di medio periodo entro cui ogni scelta è stata programmata e realizzata.

Giunto a questo punto, il lettore potrebbe essere indotto a pensare che Torino non abbia sofferto della crisi di questi anni. Ma non è così. La più alta densità industriale ha esposto il sistema produttivo a una crisi di cui sono manifestazione i più alti livelli di cassa integrazione, percentuali di disoccupazione giovanili preoccupanti, riduzione di reddito per molte famiglie, precarietà giovanile. Torino non è un’isola. E ha vissuto sulla propria pelle tutte le conseguenze della crisi economica e sociale che dal 2008 attanaglia l’Italia.

Ma una differenza c’è: se la crisi che si manifesta a Torino non è dissimile da quella che vive l’Italia, Torino tuttavia non è “piegata” dalla crisi. La società torinese ha reagito e l’enorme trasformazione messa in campo è stata la risposta di una città che la crisi l’ha guardata negli occhi e l’ha sfidata. Questa scommessa di una città che nella crisi si trasforma e crea così le energie e le opportunità per rinascere non è solo ciò che è accaduto ieri. È anche la strada di oggi e dei prossimi anni.

La città ha elaborato il terzo Piano strategico, che delinea obiettivi e strumenti per la Torino del 2025. E nuovi ambiziosi progetti sono stati varati: la seconda linea della metropolitana; il Piano di mobilità sostenibile; la trasformazione e riqualificazione della zona nord della città (la cosiddetta “Variante 200”); la cittadella sportiva della Continassa; la Città della Salute; nuovi campus universitari e poli di residenze studentesche; il Centro Congressi; l’Energy Center; il Centro internazionale di tecnologie sanitarie; il raddoppio del Centro di biotecnologie; il recupero del Palazzo di Torino Esposizioni; il nuovo Centro amministrativo della città.

Un programma che richiede risorse adeguate per reperire le quali la città ha avviato un’ampia iniziativa di promozione e attrazione rivolta a investitori nazionali e internazionali, anche dotandosi di un’Agenzia metropolitana di sviluppo. Così come è venuto espandendosi in ogni settore – dalle infrastrutture al welfare, dalla cultura ai progetti smart city – il ricorso a partnership pubbliche e private che allarghino il perimetro e le dimensioni delle risorse disponibili per lo sviluppo della città.

Un tale impianto richiede di pensare e ideare il futuro di Torino in spazi più grandi. La relazione di complementarietà con Milano è cresciuta in ogni campo e i collegamenti ferroviari ad alta velocità integrano sempre più le due città come poli di una grande area intermetropolitana di scala globale. L’intensificazione delle relazioni con Genova apre Torino a una proiezione mediterranea, densa di nuove opportunità. La realizzazione della TAV consentirà di collegare Torino in tre ore sia con Roma che con Parigi. E, infine, l’istituzione della Città metropolitana offre l’opportunità di pensare e perseguire uno sviluppo integrato di tutta la grande conurbazione che gravita intorno alla città con dimensioni di scala più adeguate alla competizione globale.

Insomma, si può ben dire che Torino è metafora di come possa trasformarsi una città nel tempo dell’economia globale e di come nella capacità di produrre cambiamento e trasformazione stiano le opportunità di crescita, di progresso, di lavoro di una comunità.