Contenimento e confronto: come affrontare l'Iran

Di Joseph Cirincione e Andrew Grotto Giovedì 27 Marzo 2008 14:31 Stampa

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha intimato all’Iran di sospendere tutte le attività di arricchimento dell’uranio a partire dal 24 maggio 2007. Il mancato rispetto della risoluzione ONU, per la terza volta da parte dell’Iran, dimostra la determinazione di Teheran a portare avanti il proprio programma nucleare. È necessario che il Consiglio di sicurezza reagisca alla sfida iraniana in modo deciso, per ottenere il rispetto della legalità internazionale e assolvere al mandato previsto dalla Carta delle Nazioni Unite di promuovere la pace e la sicurezza internazionale.

Il Consiglio di sicurezza, tuttavia, è forte solo se lo sono i paesi che lo compongono: quando il Consiglio è unanime, è forte; se è diviso, s’indebolisce. Sostenere l’unità del Consiglio di sicurezza dovrebbe essere un obiettivo primario della strategia statunitense ed europea nei confronti dell’Iran. Questo obiettivo può essere raggiunto più facilmente attraverso una strategia di «contenimento e impegno», che tenti di mettere all’angolo l’Iran mediante pressioni diplomatiche ed economiche, offrendo al contempo un’opportuna via di uscita, che consenta al paese di salvare la faccia.

Francia, Germania, Regno Unito e i loro partner dell’Unione europea hanno adottato questa strategia circa quattro anni fa, quando ebbe inizio la disputa con l’Iran in merito al suo programma di arricchimento dell’uranio. L’Amministrazione Bush, invece, ha preferito perseguire una strategia che prevede il cambio di regime. Negli ultimi sei anni, il governo statunitense ha avuto diverse opportunità per contenere, e forse persino interrompere, i programmi che potrebbero mettere in grado l’Iran di dotarsi di armamenti nucleari ma, piuttosto che negoziare, Washington ha preferito puntare alla sostituzione del regime clericale al potere. Tutti questi tentativi sono falliti.

Negli ultimi diciotto mesi, però, gli Stati Uniti hanno cominciato a rendesi gradualmente conto che forse l’approccio europeo poteva essere quello giusto. La maggioranza dei funzionari statunitensi sembra ora comprendere quanto sia importante mantenere l’unità all’interno del Consiglio di sicurezza. Non è chiaro, tuttavia, se vi sia un’idea precisa su come questa unità vada sostenuta se o, più realisticamente, quando la sfida iraniana inizierà a seminare da più parti il dubbio che l’Iran non accetterà mai alcun compromesso, aprendo in tal modo la strada a un accordo con Teheran che potrebbe compromettere la pace e la sicurezza internazionali.

Ecco, dunque, come gli Stati Uniti potrebbero rafforzare l’unità del Consiglio di sicurezza e aumentare al massimo le possibilità di mettere fine, attraverso negoziati, al programma iraniano di arricchimento dell’uranio.

Uno scenario in cui vincono tutti La difficoltà principale che, a livello diplomatico, devono affrontare gli Stati Uniti, i loro partner – UE, Russia e Cina – e l’Iran riguarda l’elaborazione di un compromesso che consenta a tutte le parti in causa di considerarsi vincitrici. Qualsiasi negoziato che abbia successo non può prescindere da questo risultato. Ciò comporta l’accettazione, da parte degli Stati Uniti, degli obiettivi legittimi dell’Iran, quali l’aspirazione al rispetto, all’indipendenza e alla sicurezza, nonché ad avere voce in capitolo nelle questioni regionali. Washington dovrebbe disporsi ad accettare un compromesso tattico e a breve termine, per poter raggiungere l’obiettivo strategico di convin- cere l’Iran a rinunciare alle armi nucleari e ad accettare i relativi controlli.

Uno strumento utile a tale scopo è proprio la proposta già elaborata

dall’Unione europea a metà del 2006. L’UE acconsentirebbe a rinnovare i negoziati senza porre condizioni, come chiede l’Iran, ma con l’accordo che quest’ultimo sospenda immediatamente le attività di arricchimento dell’uranio, per un periodo limitato, in modo da permettere agli Stati Uniti di unirsi al tavolo negoziale. Con ogni probabilità, la sospensione iniziale non potrebbe durare che pochi mesi. In questo periodo, qualora emergesse con chiarezza la possibilità di una conclusione soddisfacente di un negoziato che ponga fine alla sfida nucleare, i paesi occidentali potrebbero prendere in considerazione la possibilità di permettere alcune parziali attività nella struttura pilota di Natanz, con un limitato numero di centrifughe e un periodo di tempo prestabilito in cui consentirne il funzionamento. Il tutto dovrebbe essere accompagnato da un programma di accurate ispezioni, per prevenire il rischio di operazioni segrete.

Né l’Iran, né gli Stati Uniti, né gli altri membri del Consiglio di sicurezza – in particolare la Francia e il Regno Unito – sarebbero contenti di una soluzione che, anche solo per un anno o poco più, permettesse un numero seppur limitato e accuratamente monitorato di attività. Non si può non essere d’accordo. Non si vuol rendere permanenti neanche in minima parte le capacità di arricchire o rielaborare l’uranio da parte dell’Iran. Tuttavia occorre trovare un compromesso per avere il tempo di negoziare il blocco definitivo di queste attività.

Un tale approccio sembra essere l’unico in grado di fornire gli strumenti concreti per avviare un percorso che possa convincere l’Iran a interrompere il suo programma. La ragione è semplice: in questo momento sembra impossibile che qualunque politico iraniano accetti l’idea di una sospensione a tempo indeterminato del programma di arricchimento. Questo accordo offrirebbe una via di mezzo: nessuna sospensione indefinita ma neanche il permesso di agire in modo permanente. È un compromesso utile a salvare la faccia, prendere tempo e permettere alla più ampia strategia del «contenimento e impegno» di dispiegarsi pienamente.

La pressione sull’Iran aumenta Perché questo piano dovrebbe funzionare adesso, mentre non è stato possibile attuarlo l’anno scorso? Anzitutto, la pressione in Iran per superare l’impasse è maggiore oggi di quanto non fosse a metà del 2006. Allora, l’atteggiamento combattivo e ostile a qualsiasi compromesso del presidente Ahmadinejad sulla questione nucleare aveva riscosso un certo sostegno popolare in Iran e nella regione. Agli occhi delle élite politiche iraniane, la strategia di Ahmadinejad stava producendo risultati: il paese aveva sino ad allora evitato la censura del Consiglio di sicurezza e, nel contempo, era andato avanti nei piani di arricchimento dell’uranio.

Le sanzioni contenute nella risoluzione del dicembre 2006, pertanto, hanno sorpreso molti iraniani, convinti che l’Iran sarebbe sfuggito alla condanna delle Nazioni Unite. Il Consiglio di sicurezza si è dimostrato più coeso di quanto si aspettassero. La risoluzione è stata un aspro monito e ha impedito ad Ahmadinejad di dipingere lo scontro in atto come una battaglia solo tra Iran e Stati Uniti. La fiducia degli investitori nel paese è precipitata, causando una crisi finanziaria che ha colpito tanto i circoli al potere quanto il ceto medio e l’elettorato povero che avevano dato il voto ad Ahmadinejad per le sue promesse di maggiore prosperità. Di conseguenza, la popolarità del presidente è in calo, mentre un numero crescente di politici, da quelli più pragmatici a quelli più intransigenti, critica le sue scelte politiche.

Bisogna inoltre aggiungere che la sospensione del programma di arricchimento segnerebbe solo l’inizio, e non la conclusione, del negoziato. Qualora l’Iran sospendesse il programma, avrebbe soddisfatto le richieste del Consiglio di sicurezza. La maggioranza dei paesi toglierebbe le sanzioni e i contatti diplomatici attorno al programma nucleare iraniano non avverrebbero più sotto l’ombra del Consiglio di sicurezza. Le parti dovranno quindi discutere nei minimi dettagli come potrà procedere il programma nucleare iraniano.

Lineamenti per un accordo Tutte le parti coinvolte nell’attuale confronto concordano sul fatto che l’Iran abbia il diritto di costruire propri reattori a energia nucleare. Il disaccordo risiede sul modo di limitare, all’interno del paese, le tecnologie per arricchire l’uranio e riprocessare il plutonio (che possono essere usate anche a scopi militari) e sul percorso diplomatico che può, con maggiori probabilità, produrre un esito positivo.

Esistono quattro possibili strade, che non necessariamente si escludono a vicenda, per negoziare le restrizioni al programma nucleare dell’Iran: a) raggiungere una sospensione permanente dei programmi di arricchimento e di riprocessamento dell’uranio; b) permettere un numero limitato di operazioni di arricchimento sul suolo iraniano e sotto severo controllo; c) costruire una struttura multinazionale o internazionale per l’arricchimento dell’uranio, con la partecipazione iraniana e sotto stretto controllo; d) creare un sistema di approvvigionamento di combustibile nucleare, garantito a livello internazionale, per assicurare forni- ture all’Iran e ad altri paesi anche in caso di fallimento del mercato o di spaccature in politica estera (con l’eccezione dei casi di violazione degli accordi di non-proliferazione).

La prima strada è certamente quella preferibile. L’Iran potrebbe ricevere l’uranio dalla Russia, come aveva originariamente accettato di fare nei contratti per la costruzione del reattore di Bushehr, e rimandare sempre in Russia le barre esauste per lo smaltimento. Questo è anche il progetto economicamente più conveniente, poiché rimuove le principali ragioni di preoccupazione sul programma atomico, riducendo fortemente il rischio che l’Iran faccia il «salto» nucleare. L’Iran, però, insiste nell’affermare che non accetterà mai questa ipotesi.

La seconda è molto problematica. Consentirebbe ai tecnici iraniani di acquisire conoscenze crescenti sul processo di arricchimento, con il rischio che quelle capacità e quei tecnici vengano trasferiti in strutture coperte; ciò potrebbe portare infine allo sviluppo di una struttura completa per l’arricchimento dell’uranio, come gli iraniani in effetti stanno pianificando di fare a Natanz. I principali vantaggi di questa ipotesi sono la probabilità che alcune parti in causa, compreso l’Iran, possano essere d’accordo, e la maggior semplicità di realizzazione.

La terza via rischia anch’essa di fornire all’Iran l’accesso alle più avanzate tecnologie per le centrifughe nucleari. Inoltre, se le strutture fossero impiantate in Iran, il governo del paese potrebbe a un certo punto impossessarsene. Sebbene le proposte in merito a una simile struttura prevedano elaborati meccanismi di autodistruzione per le centrifughe e scatole nere collegate alle tecnologie sensibili, il rischio permane. L’Iran potrebbe accettare questo compromesso, specialmente se la struttura fosse collocata sul suo territorio. Ma molto probabilmente gli Stati Uniti non acconsentirebbero – e, a dire il vero, non dovrebbero acconsentire – alla costruzione di strutture simili, anche se furono proprio loro a promuoverle ai tempi dello scià. Washington potrebbe accettare la costruzione di un tale impianto in Russia, come suggerito da quest’ultima e da altri paesi, o in altro luogo della regione, sebbene anche questa soluzione rischierebbe di far accrescere le competenze e le esperienze iraniane nel campo dell’arricchimento dell’uranio. L’Iran ha comunque già respinto questa proposta. La quarta strada, una banca di combustibile nucleare, è la più interessante, dal momento che potrebbe non solo risolvere la questione iraniana, ma stabilire un modello in grado di tappare quelle falle degli attuali accordi di non-proliferazione che consentono di acquistare i mezzi per produrre materiale per le bombe. I difetti del Trattato di non-proliferazione risalgono agli inizi dell’era nucleare; superarli durante un negoziato con l’Iran porterebbe ad un doppio risultato. Il direttore della Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), Mohammed El Baradei, ha proposto la creazione di tale banca sotto il controllo dell’Agenzia, il che garantirebbe, ai paesi che rinunciano all’arricchimento dell’uranio e rispettano gli obblighi previsti dagli accordi di non-proliferazione, l’approvvigionamento di combustibile nucleare da usare nei reattori.

Inoltre, la Nuclear Threat Initiative (NTI), un’organizzazione non profit americana impegnata nella riduzione dei rischi di proliferazione nucleare, si è recentemente assicurata una donazione di 50 milioni di dollari di aiuti, per finanziare questo progetto, da parte del miliardario Warren Buffett. Il copresidente della NTI, Sam Nunn, un ex senatore americano, nell’annunciare il finanziamento, lo scorso 19 settembre 2006, ha affermato: «Riteniamo possibile realizzare questo meccanismo, perciò dobbiamo avviare interventi pratici e urgenti in questa direzione». Alcuni membri del Congresso, guidati dal deputato californiano Tom Lantos, presidente dell’House Committee on Foreign Affairs, stanno studiando i mezzi legislativi per stanziare fondi destinati a questa banca. Bisogna guardare con favore a questi tentativi. Può essere infatti possibile porre fine alle attività di arricchimento e riprocessamento dell’uranio da parte dell’Iran (prima ipotesi), ma solo se si persegue la strada della soluzione su scala regionale prevista dalla quarta ipotesi e se si predispongono meccanismi internazionali stabili per «contenere e affrontare » l’Iran. L’Iran va spinto in un angolo, ma occorre anche offrirgli una via d’uscita accettabile.

Un approccio complessivo con obiettivi specifici La strategia del «contenimento e confronto» poggia su quattro linee principali: il coinvolgimento economico, le iniziative politiche e di sicurezza, le misure finalizzate alla non-proliferazione, le basi per un contenimento dell’Iran qualora i negoziati fallissero. Ci sono poi molte componenti singole che attraversano queste questioni, ma in questa sede se ne analizzeranno principalmente due: gli incentivi economici e la banca del combustibile nucleare. Il coinvolgimento economico renderebbe necessaria una maggiore duttilità rispetto al modo in cui gli Stati Uniti pensano al loro potere economico. Essi dovrebbero continuare a sostenere le sanzioni unilaterali e multilaterali contro la vendita di tecnologie nucleari e missilistiche sensibili all’Iran, oltre che contrastare la vendita o il trasferimento a questo paese di armi pesanti. Tuttavia, per ribaltare la valutazione iraniana del rapporto costi/benefici, Washington dovrebbe individuare alcuni incentivi economici che possano interessare in modo trasversale tutte le diverse fazioni politiche, che coinvolgano il popolo iraniano e lo rendano consapevole della posta in gioco, che siano interessanti per i partner internazionali e che, infine, lascino qualche risorsa da utilizzare nelle future trattative con l’Iran. Tutto ciò richiede capacità di elaborazione fuori dall’ordinario. Per gli Stati Uniti e i loro partner, una possibilità può essere rappresentata, per esempio, dal sostegno agli investimenti nelle strutture di raffinazione del petrolio in Iran. L’Iran importa più di un terzo del carburante dai mercati internazionali e poi paga un sussidio per ridurne il prezzo a 34 centesimi di dollaro al gallone. Il parlamento iraniano, attualmente guidato dall’ala intransigente dei conservatori, ha minacciato di tagliare questi sussidi a causa dell’enorme peso che rappresentano per il bilancio del paese e della pressione inflattiva che esercitano sull’economia. Questa minaccia ha provocato dure reazioni da parte della popolazione, poiché a essere maggiormente colpite sarebbero le tasche dei semplici cittadini.

L’Iran importa una quantità così alta di carburante a causa di capacità di raffinazione interne molto carenti. Il paese perde circa 5,5 miliardi di dollari all’anno solo per le fuoriuscite di petrolio. Gli Stati Uniti potrebbero avanzare questa loro proposta presentandola come un passo verso la fine delle restrizioni americane e dell’opposizione agli investimenti stranieri nel settore petrolifero iraniano. La scricchiolante industria petrolifera iraniana è un elemento di vulnerabilità a medio-lungo termine: l’Iran ricava circa i due terzi delle entrate dall’esportazione di petrolio e qualsiasi diminuzione significativa potrebbe avere un impatto molto duro. Il governo iraniano usa queste entrate per tenere buona una popolazione recalcitrante finanziando misure come, ad esempio, i costosi sussidi al carburante. Questa ipotesi ha il pregio di poter interessare, in modo trasversale, tutti gli schieramenti politici interni iraniani. I pragmatici e i riformisti ne valorizzerebbero le potenzialità rappresentate dall’investimento estero. Molti sostenitori della linea dura ne apprezzerebbero l’impatto a lungo termine che potrebbe avere sui sussidi al carburante, a cui generalmente essi si oppongono. Entrambe le fazioni guarderebbero con favore alla maggiore indipendenza energetica. Inoltre, questa proposta potrebbe creare divisioni nel fronte più intensigente, tra coloro che si oppongono agli investimenti stranieri e coloro che osteggiano i sussidi, mentre darebbe ai pragmatici e ai riformisti l’opportunità di dimostrare al popolo iraniano che gli investimenti esteri possono aiutare l’economia del paese in modo concreto. Infine, stabilendo un legame tra il futuro del settore petrolifero iraniano e le sue ambizioni nucleari, gli Stati Uniti potrebbero col tempo creare un potente contrappeso, all’interno del governo iraniano, per contrastare le politiche che potrebbero danneggiare il nuovo e prezioso afflusso di aiuti tecnici e finanziari.

Gli incentivi potrebbero coinvolgere maggiormente il popolo iraniano nel dibattito sul programma nucleare del loro paese. Questa è una leva importante per Washington, dal momento che la preoccupazione quotidiana del cittadino comune in Iran è l’economia interna, non l’energia atomica. I prezzi del carburante sono un elemento da sempre presente nel dibattito politico e un grande problema economico per gli iraniani, pertanto una proposta relativa alla raffinazione del petrolio potrebbe evidenziare, agli occhi del cittadino medio (per il quale la questione nucleare non è la preoccupazione quotidiana) che il programma di arricchimento dell’uranio altro non è che un costo per lo sviluppo economico del paese.

È vero che il presidente Ahmadinejad ha sfruttato le preoccupazioni dei suoi concittadini sulla situazione economica per giustificare il programma di arricchimento, presentandolo come un fattore primario di sviluppo per l’economia e non per l’apparato militare. La sua strategia ha funzionato: mentre gli iraniani tendono ad opporsi a un programma di riarmo nucleare, nello stesso tempo sono inclini a sostenere il programma di arricchimento nucleare. Gli Stati Uniti e i loro partner dovrebbero vedere con favore un dibattito interno all’Iran impostato in questi termini, dal momento che l’economia iraniana è debole e si è ancor più indebolita sotto la presidenza di Ahmadinejad. La forte opposizione ad Ahmadinejad scaturisce in modo significativo dalla sua scadente gestione del problema nucleare e dagli effetti di quest’ultima sull’economia, visto che i pragmatici, i riformisti e persino i conservatori tradizionalisti cominciano a dubitare della saggezza delle sue decisioni politiche.

Adottando un simile approccio potrebbero aumentare le probabilità di sostegno alla strategia complessiva di contenimento e confronto, da parte della Cina e della Russia. Entrambi i paesi hanno importanti relazioni economiche con l’Iran, in particolare nel settore petrolifero. È probabile che le riconsiderino a seconda della decisione iraniana di abbandonare o meno il programma di arricchimento dell’uranio. Inoltre, entrambi i paesi hanno incontrato difficoltà a intervenire nel settore petrolifero iraniano a causa del divieto – presente nella costituzione del paese – per il capitale straniero di possedere infrastrutture petrolifere e a causa delle lotte interne tra le diverse fazioni iraniane. Questo approccio può limitare questi ostacoli e dare maggior potere ai fautori di tali investimenti.

Complessivamente, una politica di incentivi – o di altri elementi dalle caratteristiche analoghe – potrebbe potenzialmente mutare le valutazioni iraniane sui costi e i benefici della questione nucleare. Essa segnala anche la volontà da parte degli Stati Uniti di rispondere agli interessi iraniani, qualora l’Iran rispondesse ai loro. Questo potrebbe essere il primo passo verso la risoluzione degli altri contenziosi aperti tra Washington e Iran.

Gli Stati Uniti devono investire, allo stesso tempo, in una nuova struttura diplomatica connessa alla sicurezza e alla non-proliferazione, in Medio Oriente ma non solo. Appoggiare la creazione di una banca del combustibile nucleare può essere una delle opzioni. Essa potrebbe tornare utile per tre scopi, tra loro legati.

In primo luogo, potrebbe offrire un valido argomento a coloro che, all’interno dell’élite governativa iraniana, sostengono che l’Iran dovrebbe essere pronto ad abbandonare il programma di arricchimento dell’uranio in cambio di incentivi, per controbattere a quelli che giustificano il programma di arricchimento adducendo il pretesto della sicurezza energetica. In secondo luogo, la spinta verso una banca del combustibile potrebbe rendere politicamente più impegnativa, per i vicini arabosunniti dell’Iran, la ricerca di una propria capacità produttiva comprendente l’intero ciclo del combustibile – una prospettiva poco probabile sul breve periodo, ma più preoccupante sul medio e lungo termine. Infine, una riserva di combustibile nucleare potrebbe funzionare come primo passo verso impegni più complessivi e ambiziosi di prevenzione di un impiego distorto delle tecnologie nucleari.

Non ci illudiamo che sia facile raggiungere un accordo negoziale con l’Iran. Tuttavia, piuttosto che coltivare la falsa speranza che l’imposizione di misure coercitive possa costringere il paese alla capitolazione, può essere opportuno adottare una strategia di contenimento e confronto che unisca le pressioni determinate dalle sanzioni, dall’isolamento diplomatico e dal congelamento degli investimenti a compromessi concreti e rassicurazioni praticabili sulla sicurezza, tutti elementi che possono incoraggiare l’Iran ad intraprendere un percorso esente da armi nucleari. Non esistono garanzie di successo, ma senza questo tentativo abbiamo di fronte solo la certezza di un fallimento.1

[1] L’articolo è tratto dalla relazione, di recente pubblicata dagli autori: J. Cirincione, A. J. Grotto, Contain and Engage: A New Strategy for Resolving the Nuclear Crisis with Iran, Center for American Progress, Washington 2007. Il testo integrale della relazione è consultabile all’indirizzo www. americanprogress.org.