L'adesione di Bulgaria e Romania all'Unione europea: rischi e opportunità

Di Salvatore Monni Alssandro Spaventa Venerdì 29 Febbraio 2008 21:05 Stampa
Dell’ingresso di Romania e Bulgaria, avvenuto lo scorso primo gennaio e che ha portato a ventisette i paesi membri dell’Unione europea, si è parlato in questi mesi soprattutto in relazione ai timori di eventuali flussi migratori di massa e alle conseguenze che questi ultimi avrebbero in termini di sicurezza per i cittadini. Insomma sembrerebbe che la storia si sia fermata alla Dacia senza peraltro ricordare quanto questa provincia romana fosse fiorente. Il fenomeno è ovviamente più complesso. I nostri rapporti con questi due grandi paesi dell’Europa centro-orientale non solo non sono esclusivamente legati ai flussi migratori, ma ad essi ci legano, oltre che dei forti legami di carattere storico culturale,1 importanti relazioni commerciali.  

La Romania, in particolare, rappresenta uno dei maggiori partner commerciali per l’Italia. Con gli scambi nei settori del tessile, calzaturiero, automobilistico e minerario siamo per la Romania il paese leader sia in termini di esportazioni (21,4%) che di importazioni (17,2%)2 riuscendo in questo caso a superare rispettivamente Germania e Francia. Per avere un’idea più completa basti ricordare che il volume totale degli scambi commerciali della Romania con il nostro paese è complessivamente pari a 5,16 miliardi di euro, con un saldo negativo di 55 milioni di euro. Rilevanti risultano essere anche le attività imprenditoriali italiane presenti in questo paese: al 30 giugno 2006 risultavano registrate in Romania ben 20.128 società miste romeno-italiane, la maggior parte delle quali piccole e medie imprese, ma non solo. Tutte queste imprese, localizzate prevalentemente nell’area nord-occidentale, hanno un notevole impatto sull’occupazione locale. In particolare, nella provincia di Timisoara sembrano riprodurre un vero e proprio modello distrettuale italiano (Tabella 1).


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Anche con la Bulgaria, pur in misura minore rispetto alla Romania, le relazioni commerciali risultano particolarmente sviluppate, tanto che l’Italia è oggi il primo paese di destinazione delle esportazioni bulgare. In questo paese acquistiamo prevalentemente metalli, calzature, articoli di abbigliamento, prodotti chimici e petroliferi. Non solo, l’Italia rappresenta anche il terzo paese per importazioni dopo Germania e Russia. Se poi consideriamo che gli scambi con la Russia risentono particolarmente delle importazioni di gas naturale, si può anche dire che il nostro paese rappresenta per la Bulgaria il secondo mercato anche in termini di importazioni. Complessivamente il volume di scambi commerciali con la Bulgaria a fine giugno 2006 era di 1.344,9 milioni di euro, collocando l’Italia al terzo posto dopo la Russia e la Germania e con un saldo attivo pari a circa 115,7 milioni di euro.3 Per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri l’Italia si colloca al settimo posto per capitale investito, con una presenza di piccole e medie imprese, da sole o in joint venture con imprese bulgare, assai diffusa sul territorio (Tabella 2).

 

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Le conseguenze per i Paesi dell’Unione Europea L’entrata di Romania e Bulgaria nell’Unione europea ha sollevato alcuni timori già prima di divenire realtà, in parte per gli stessi motivi che avevano destato preoccupazione al momento dell’allargamento ai dieci paesi europei avvenuto nel 2004. Gli elementi in questione sono soprattutto due: il dirottamento dei fondi strutturali e di coesione e la crescita dell’immigrazione. Tra i due paesi, a spaventare di più è probabilmente quest’ultima. Per avere un quadro completo dei possibili effetti dell’entrata dei due paesi dell’Europa orientale, tuttavia, è opportuno considerare anche altri due fattori: gli effetti sul processo di delocalizzazione produttiva e le possibilità di mercato offerte dai due nuovi Stati membri.

Sul versante dei fondi strutturali, Bulgaria e Romania saranno destinatarie di un cospicuo ammontare di risorse, non tale tuttavia da mutare in modo particolare i nuovi equilibri venutisi a creare dopo l’entrata dei primi dieci paesi dell’allargamento, e in particolare della Polonia. Ai quindici paesi membri prima del 2004 continua ad essere riservato quasi il 49% degli oltre 347 miliardi di euro disponibili, mentre il restante 51% viene suddiviso tra i dieci paesi che hanno aderito nel 2004, Romania e Bulgaria. Nei prossimi sette anni Bruxelles verserà complessivamente 20 miliardi di euro alla Romania e 7 miliardi alla Bulgaria. In tutto, meno dell’ammontare che spetterà all’Italia, quasi 29 miliardi di euro. L’effettivo versamento inoltre dipenderà dalla capacità dei due paesi di presentare progetti credibili, il che alla fine porterà probabilmente ad un ridimensionamento delle somme erogate (Tabella 3).

 

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Più complessa la situazione per quel riguarda i flussi migratori dai due nuovi Stati membri verso l’Europa. Se da un lato è infatti possibile prevedere un aumento del numero degli immigrati nei quindici Stati membri pre 2004, dall’altro è meno facile prevedere quale sarà l’impatto sui singoli paesi. Illuminante a riguardo è quanto è avvenuto a seguito dell’allargamento del 2004. I flussi in totale sono risulta- ti minori del previsto, ma la loro distribuzione è stata molto ineguale tra paesi con legislazioni aperte e quelli con legislazioni chiuse. Secondo un’analisi svolta da Herbert Brucker,4 i paesi «aperti» hanno registrato flussi tripli rispetto alle previsioni, mentre quelli «chiusi» hanno registrato la metà degli arrivi previsti. Legislazioni restrittive applicate in alcuni paesi hanno determinato la crescita di flussi verso i paesi più aperti. La distribuzione dei flussi provenienti da Bulgaria e Romania dipenderà quindi in gran parte dal tipo di legislazione presente in ciascun paese. A riguardo, inoltre, occorre tenere conto del fatto che il trattato di adesione di Romania e Bulgaria consente di imporre alcune limitazioni alla libera circolazione dei lavoratori per un periodo transitorio dopo il 1° gennaio 2007. Per i primi due anni ciò potrà avvenire sulla base delle legislazioni nazionali e di eventuali accordi bilaterali. Al termine di questo primo periodo ogni Stato dovrà comunicare alla Commissione se intende continuare ad applicare restrizioni alla libera circolazione o meno. Alla fine di tale periodo, restrizioni potranno essere applicate solo in caso di gravi perturbazioni del mercato del lavoro e solo per ulteriori due anni. A partire dal 2014, quindi, vi sarà piena libertà di circolazione dei lavoratori provenienti da Bulgaria e Romania.

Tra gli effetti derivanti dall’entrata dei due paesi nell’Unione europea sono da considerare anche quelli sul processo di delocalizzazione produttiva e sulle possibilità di mercato per le imprese europee. Sul primo versante l’entrata darà luogo probabilmente a due effetti contrastanti. Da un lato, una crescita delle delocalizzazioni dovuta all’apertura delle frontiere e alla progressiva armonizzazione con il quadro europeo che renderà il processo più semplice e conveniente. Romania e Bulgaria vedranno rafforzarsi così la tendenza a divenire, nel contesto dell’Unione europea, le aree di produzione per i settori a minor contenuto tecnologico e a minore intensità di capitale, così come la Repubblica Ceca e la Slovacchia sono divenute le aree di produzione per l’automotive e l’elettronica. E non è detto che tale processo sia limitato ai settori tradizionali: vi sono segnali di un crescente interesse proprio delle aziende europee del settore dell’elettronica, delle telecomunicazioni e dell’automotive.

Dall’altro, tuttavia, l’entrata nella UE acuirà la tendenza già in atto alla crescita del costo del lavoro. Ciò avverrà a causa sia della dimi- nuzione dell’offerta di manodopera dovuta all’aumento dell’emigrazione verso gli altri paesi europei sia della tendenza, seppur lenta, a riallinearsi verso standard contributivi e salariali europei. Il risultato netto di tali spinte contrastanti sarà probabilmente comunque la prosecuzione, se non una crescita, dei processi di delocalizzazione, grazie anche all’utilizzo di manodopera cinese presente in loco.

Sul secondo versante l’entrata di Bulgaria e Romania comporterà una crescita delle possibilità di mercato per le imprese europee sia grazie alla maggiore integrazione, sia grazie alla progressiva crescita del reddito e al miglioramento del tenore di vita che tale integrazione comporterà.5 Già oggi il 56% dello scambio commerciale della Bulgaria e il 65% di quello della Romania avviene con paesi europei e tale proporzione è destinata a crescere. Contemporaneamente crescerà il numero di esercizi commerciali e di megastore di catene europee, sia gestiti direttamente che in franchising, e la presenza di operatori dei servizi soprattutto nei settori della finanza e del credito, delle telecomunicazioni e dell’energia.

Le clausole di salvaguardia:

L’ordinamento giuridico dell’Unione europea prevede normalmente misure di salvaguardia volte a garantire la corretta attuazione delle politiche europee in tutti gli Stati membri. Esse includono le procedure d’infrazione, misure relative alla politica della concorrenza, misure riguardanti la gestione dei fondi europei nonché meccanismi di controllo riguardanti vari ambiti tra cui il mercato interno. Oltre a tali strumenti tradizionali, il trattato di adesione di Bulgaria e Romania prevede tre misure per far fronte ad eventuali difficoltà che dovessero sorgere in seguito all’adesione. Esse possono essere invocate fino al 31 dicembre 2009 e sono: - una clausola di salvaguardia economica di carattere generale (articolo 36); - una clausola specifica riguardante il mercato interno (articolo 37); - una clausola specifica in materia di giustizia e affari interni (articolo 38). La prima permette agli Stati membri (vecchi e nuovi) di chiedere l’autorizzazione alla Commissione ad adottare misure di protezione per risolvere eventuali difficoltà economiche derivanti dall’adesione (protezione di alcuni settori). La seconda clausola, riguardante il mercato interno, può essere invocata nel caso che Bulgaria e Romania non dovessero dare piena attuazione alla normativa sul mercato interno (soprattutto riguardo a concorrenza, energia, trasporti, telecomunicazioni, agricoltura, tutela dei consumatori e della salute), laddove tale mancanza abbia effetti transnazionali e rischi di recare un grave pregiudizio al funzionamento stesso del mercato interno. Infine, in caso di carenze gravi o di rischio imminente di carenze gravi nel recepimento o nell’attuazione delle norme europee in materia di riconoscimento reciproco delle sentenze in campo penale o civile (ad esempio riguardo procedure di insolvenza, procedimenti in materia matrimoniale e di responsabilità dei genitori, procedimenti per il recupero dei crediti non contestati o il mandato d’arresto europeo), la Commissione, previa consultazione degli Stati membri, può adottare misure di salvaguardia. Il trattato di adesione prevede, inoltre, misure transitorie che riguardano settori specifici nei quali la Bulgaria e la Romania o gli attuali Stati membri sono autorizzati a non applicare integralmente la legislazione e la normativa europea per un periodo di tempo limitato dopo l’adesione. Tra tali settori quello di maggiore rilevanza è quello riguardante la libera circolazione dei lavoratori.

Fonte: Commissione europea

Le conseguenze per l’Italia Le conseguenze per l’Italia dell’entrata di Bulgaria e Romania nell’Unione europea ricalcano quelle già esposte per l’Europa nel suo complesso, con tuttavia alcune differenziazioni.

Per quanto riguarda la ripartizione dei fondi europei si è gia detto sopra. Qualche parola in più invece merita la questione dei flussi migratori. Già prima dell’entrata l’Italia rappresentava, dopo la Spagna, il primo paese di destinazione per gli emigranti dei due paesi. Nel 2004 i residenti provenienti dai due paesi balcanici erano 199 mila, saliti nel 2005 a 264 mila. È facile prevedere che tale tendenza non si affievolirà nel 2007 e negli anni a venire. Facendo ricorso al regime transitorio previsto dai trattati di adesione sopra descritto, il governo ha appena approvato una parziale apertura per i lavoratori bulgari e romeni prevedendo libero accesso per colf e badanti.

L’apertura immediata vale anche per il lavoro dirigenziale, agricolo e turistico-alberghiero, di assistenza alla persona, edilizio e metalmeccanico e per il lavoro stagionale. Tale regime, che copre un fabbisogno reale del mercato del lavoro italiano, e la maggiore chiusura di molti degli altri mercati di destinazione tra cui quello inglese, irlandese e tedesco, favoriranno una maggiore spinta verso il nostro paese. Parzialmente diversa è la situazione anche per quanto riguarda i processi di delocalizzazione produttiva. Romania e Bulgaria, ma soprattutto la prima, sono dalla metà degli anni Novanta la principale destinazione dei processi di delocalizzazione delle imprese manifatturiere italiane, soprattutto quelle di Veneto e Lombardia. Si tratta di imprese operanti in settori tradizionali come il tessile, l’abbigliamento, i prodotti in pelle, le calzature e l’arredamento che hanno progressivamente appaltato parte o tutti i loro processi produttivi a imprese locali attraverso contratti di subfornitura. Come nel caso più generale dell’Europa, l’entrata e la progressiva integrazione dei due paesi favorisce ulteriormente tale processo. Tuttavia, per il tipo di pro- dotti a maggiore intensità di lavoro, le imprese italiane sono più sensibili ai rialzi del costo della manodopera; inoltre, grazie al fatto di aver delocalizzato in gran parte attraverso la gestione di contratti di subfornitura, e non attraverso investimenti diretti, esse sono in grado di spostarsi con minori costi e maggiore facilità. Se perciò la tendenza al rialzo del costo del lavoro dovesse consolidarsi come previsto, è possibile che parte di esse decidano di spostare la produzione in paesi ritenuti più convenienti, ma con caratteristiche simili, come l’Albania. Infine, simili a quanto già descritto per l’Europa nel suo complesso saranno gli effetti dell’integrazione economica e commerciale dei due nuovi Stati membri nell’Unione europea. Come le imprese degli altri paesi, anche quelle italiane potranno trarre vantaggio dall’aumento della domanda dei consumatori sia per quanto riguarda i beni che i servizi. Già oggi l’Italia, come abbiamo già ricordato, è il primo paese di provenienza delle importazioni romene e il terzo, dopo Germania e Russia, di quelle bulgare. Tale dato, pur essendo condizionato in misura rilevante dal flusso di materie prime e semilavorati destinato ai subfornitori delle imprese italiane, evidenzia ottime possibilità per il futuro, sia sul versante dei prodotti manifatturieri che su quello dei servizi, come sottolineato dai recenti investimenti di Unicredit ed ENEL.

Alcune considerazioni L’entrata di Romania e Bulgaria rappresenta probabilmente l’ultimo allargamento dell’Unione europea per i prossimi dieci anni. La Turchia e gli altri paesi dei Balcani dovranno probabilmente aspettare a lungo, infatti, prima di riuscire a soddisfare i requisiti per l’adesione e che il clima politico risulti maturo per un ulteriore allargamento. L’Europa deve ancora riuscire ad assestarsi dopo l’ondata del 2004-07 e deve riprendere il processo di revisione del suo ordinamento dopo la bocciatura della costituzione del 2005.

L’ingresso dei due paesi chiude quindi una fase e avviene con un orizzonte temporale sufficientemente lungo per poter permettere il compiersi del processo di integrazione e il raggiungimento di un punto di equilibrio. Equilibrio che riguarderà anche gli aspetti affrontati nei paragrafi precedenti, ovvero: una riduzione e stabilizzazione dei flussi migratori, e forse il ritorno in patria di parte degli emigrati; il compiersi del processo di ristrutturazione dell’industria europea, con il trasferimento nell’Europa centro-orientale della produzione manifatturiera; l’integrazione e la crescita economica di Bulgaria e Romania. Il processo di transizione verso tale equilibrio non si presenta particolarmente agevole, ma neanche gravido di minacce. Il crescere dei flussi migratori e la delocalizzazione provocheranno problemi e tensioni sul mercato del lavoro di alcuni dei paesi dell’Europa a quindici, ma solo fino ad un certo punto. Entrambi i fenomeni, infatti, sono in corso ormai da molti anni, particolarmente per quanto riguarda l’Italia, e, almeno per il secondo, il grosso in realtà ha già avuto luogo. Nel complesso l’entrata di Bulgaria e Romania sembra comportare più opportunità che rischi, almeno dal punto di vista economico, e segna un ulteriore passo verso la riunificazione del Vecchio continente sotto un’unica bandiera: un processo che si potrà dire compiuto solo con l’entrata dei paesi dei Balcani (e magari della Norvegia).

[1] La Dacia, appunto, adottò la lingua dei conquistatori romani e ancora oggi la Romania rimane l’unico paese ortodosso di lingua latina.

[2] ICE, Scheda paese Romania, Roma 2006.

[3] ICE, Scheda paese Bulgaria, Roma 2006.

[4] H. Brucker, EU Enlargement: the Consequences of Migration Diversion for EU-Labour Markets, presentazione tenuta alla Fondazione Rodolfo De Benedetti il 28 Novembre 2006 nell’ambito del seminario «Migration Policies in Europe before the New Enlargement».

[5] Attualmente Romania e Bulgaria hanno il reddito pro capite più basso dell’Unione europea, circa un terzo della media della UE a venticinque.