Un nuovo paradigma per una società in mutamento

Di Massimo Bray e Gianluca Giansante Giovedì 29 Aprile 2010 15:44 Stampa

Mentre la sinistra ha pagato lo scotto della sua incapacità a formulare una narrazione e una identità nuove, Berlusco­ni ha saputo, anche grazie a un imponente controllo della TV, costruire e adeguare il linguaggio alla scena politica e culturale del paese, con un’efficace comunicazione di sim­boli e valori che ne hanno accentuato i tratti edonistici e in­dividualisti. Oggi, per la sinistra la sfida può giocarsi nel-l’ambito dell’elaborazione di una cultura politica che risco­pra il valore del cittadino come individuo e le sue aspettative, ma anche attraverso la presenza sul territorio e una mag­giore attenzione alle nuove forme di comunicazione.

 

 Inizia a farsi strada l’idea che il successo di Berlusconi non possa essere spiegato soltanto facendo riferimento alle categorie del populismo o del conflitto di interessi, ma che sia indicatore di un mutamento più grande avvenuto nella società italiana negli ultimi decenni. Le interpretazioni date sinora hanno minimizzato il fenomeno Berlusconi, descrivendolo come un’anomalia, un vulnus nel sistema politico italiano. L’effetto è stato quello di non permettere un’adeguata comprensione delle ragioni del suo successo e dunque di evitare qualsiasi riflessione autocritica di più ampia portata nel centrosinistra italiano.
Le elezioni del 2008, tuttavia, hanno reso evidente il deficit di comprensione, l’incapacità di leggere il mutamento in atto: il partito di Berlusconi si è rivelato la forza maggiormente in grado di dare rappresentanza alle istanze dell’elettorato, mentre le forze politiche riformiste hanno dimostrato una drammatica difficoltà di lettura del cambiamento.
Ci troviamo di fronte a una mutazione che investe in pieno la società e della quale il centrosinistra (ma non solo) ha sottovalutato la portata. Essa secondo Paolo Mancini, «rappresenta, estremizzando, la fine di quel mondo a cui per decenni hanno appartenuto i politici e le strutture politiche italiane, rappresenta la fine di miti, identificazioni simboliche, visioni del mondo».1 Il successo di Berlusconi è dovuto quindi a un’evoluzione della società italiana che il 2008 ha portato a compimento, sancendo la fine della politica dell’Ottocento e del Novecento.
Si tratta di un’interpretazione che coglie due elementi chiave: innanzitutto la trasformazione vissuta dalla società italiana negli ultimi trent’anni e in secondo luogo la necessità di comprendere senza pregiudizi le ragioni del successo del centrodestra firmato Berlusconi.

Una società in movimento

Per comprendere l’affermazione di Berlusconi è necessario, a parere di chi scrive, prendere in considerazione il contesto più ampio in cui si è delineata. In gioco vi sono fenomeni storici, politici, sociali, mediatici. Non si intende qui entrare nel dettaglio di ciascuno; è invece sufficiente evocarli richiamando alcune parole chiave.
Innanzitutto, bisogna considerare il contesto storico-politico: la fine della guerra fredda e del blocco politico in Italia, la “morte delle ideologie” e la conseguente apertura di un mercato elettorale, la crisi dei partiti tradizionali e la liberazione di spazi di “offerta politica”.
Un ruolo di primo piano è stato svolto anche dal crescente allontanamento dei cittadini da forme di coinvolgimento politico tradizionale: si pensi alla cosiddetta crisi dei partiti, ovvero alla diminuzione della partecipazione alle attività di militanza dei partiti di massa.
Una terza dimensione da tenere in considerazione riguarda lo sviluppo di un rapporto fra politica e cittadini mediato in “entrata” e in “uscita”. Con la prima espressione intendiamo riferirci alla crescente importanza attribuita ai sondaggi come strumento di conoscenza della società e come elemento che contribuisce a determinare in modo non irrilevante le strategie politiche dei leader.
Allo stesso tempo dobbiamo tenere conto dei cambiamenti nei modelli di rappresentazione della politica. Emerge in primo luogo il fenomeno della “mediatizzazione della politica”2: i comunicatori politici devono adeguarsi alle regole, agli obiettivi, alle logiche di produzione dei media.3 I politici devono quindi negoziare con i media i tempi, i formati, i linguaggi e perfino i contenuti.4
Infine, due ulteriori fattori devono essere considerati: la personalizzazione e la spettacolarizzazione della politica.
L’interazione dei fenomeni delineati in precedenza genera un nuovo scenario nel rapporto fra cittadini e politica. Da una parte troviamo un fruitore di politica sempre meno interessato e attento, sempre meno coinvolto dalle forme e dai linguaggi tradizionali della politica. Dall’altra ci sono mezzi di rappresentazione – la televisione innanzitutto, ma non solo - che privilegiano la semplificazione, la rapidità e l’immediatezza.

L’ascesa di Berlusconi

Berlusconi è riuscito a inserirsi con efficacia in questo contesto: il suo linguaggio è particolarmente adatto allo scenario delineato, così come la sua proposta politica.
Da una parte egli è in grado di trovare nuove forme di comunicazione, dall’altra è capace di instaurare un dialogo con quella parte della società sensibile ai propri valori. Ha saputo raccogliere e farsi interprete della forte richiesta di libertà individuale, dapprima latente e in seguito sempre più evidente nella società italiana. Ha proposto la rottura di schemi istituzionali che ha descritto come ostacoli antiquati rispetto ad una storia nuova, dinamica, felice e, soprattutto, libera.
È stato in grado di costruire una narrazione politica capace di sintetizzare e promuovere i propri valori. In tal modo ha contribuito ad accentuare i tratti edonistici e individualisti della società italiana con un’efficace comunicazione dei propri simboli politici: individualismo senza confini e ottimismo militante.
Alla razionalità del centrosinistra Berlusconi ha sostituito l’emotività delle scelte politiche. Dalla legge finanziaria del 1992 ai provvedimenti di rigore economico del governo Prodi nel 2006, le scelte del centrosinistra sono apparse “tecnocratiche” e incapaci di rispondere alle richieste di una società insicura e preoccupata per il proprio futuro.
Berlusconi, al contrario, in questi ultimi quindici anni ha inseguito e allo stesso tempo anticipato i sogni degli italiani proponendo un’offerta politica costruita attraverso un mix di sondaggi e marketing televisivo che ha avuto come cartina al tornasole la popolarità del leader.
La casa è il bene a cui gli italiani sono maggiormente affezionati? Propone allora l’abolizione dell’ICI, la tassa su un bene che «nessuno può permettersi di toccare». La sua immagine si nutre di promesse e sogni e non ha più rilievo il fatto che non ci sia corrispondenza fra programmi e realtà, che i sogni si dimostrino illusioni, perché viene meno anche la capacità del centrosinistra di svolgere una critica politica efficace.
Berlusconi dimostra di possedere la capacità di spostare continuamente l’attenzione, rimuovere la memoria e anticipare i desideri, proponendo il progetto di un paese felice, dove tutto è possibile, dove i sogni di tutti sono realizzabili. E se, per farlo, occorre rimuovere alcuni ostacoli, questo sarà fatto all’insegna della volontà popolare: bisogna eliminare i vincoli amministrativi e paesaggistici per chi vuole ingrandire la propria casa e trasformarla in una piccola villa hollywoodiana; abolire i vincoli del diritto per chi ha deciso di investire quello che si deve allo Stato come tassazione nell’acquisto di una barca, di una seconda, terza o quarta casa, in viaggi esotici, in settimane bianche, in soggiorni da sogno nelle “Spa” (uno dei neologismi più affermati); bisogna togliere i vincoli parlamentari per chi ha deciso di governare il paese come l’amministratore delegato di un parco giochi tematico. Non è importante se i sogni e la realtà non coincidono, se le promesse verranno mantenute o si dimostreranno un’eterea illusione.
Il sogno berlusconiano, infatti, si avvera solo per pochi. Se la sua proposta politica appare vantaggiosa per alcuni (ad esempio per chi spera nei condoni edilizi), per una fetta più ampia dell’elettorato non offre che svantaggi. Tuttavia, la sua capacità di “far sognare” il pubblico che lo segue proietta anche le classi medie e basse in un presente onirico aproblematico. Nell’epoca della politica mediatizzata la capacità di regalare simboli paga più dell’abilità amministrativa dei tecnocrati.

Il declino del centrosinistra

Mentre Berlusconi guadagnava consensi, il centrosinistra si chiudeva progressivamente nel fortino delle conquiste costituzionali, evidenziando la difficoltà di ascoltare la società e di mantenere vivo il dialogo politico.
Con la fine delle “grandi narrazioni” il centrosinistra ha perso la capacità di dare ordine al fluire caotico della realtà e di organizzare in un unicum intelligibile le proprie idee e la propria azione politica, che di conseguenza è apparsa ai cittadini sempre più distante e meno comprensibile.
Una serie di errori si sono susseguiti, errori di natura politica e dovuti ad un deficit di innovazione; bisogna ammetterlo e partire da qui.
Se è vero che la rielaborazione in chiave liberale della tradizione socialista sembrava indispensabile e necessaria, è altrettanto innegabile che la sinistra italiana doveva affrontare un compito ben più arduo: risolvere la crisi della socialdemocrazia - che appare planetaria - e fonderla con le tradizioni politiche cattoliche, che costituiscono una delle specificità del contesto nazionale.
Non riuscendo ad attualizzare il suo paradigma interpretativo, il centrosinistra ha pensato che copiare quello che sembrava dominante fosse la soluzione migliore. Nel tentativo di inseguire il consenso ha finito per promuovere valori che non gli appartenevano, procurandosi ferite culturali e politiche.
Nella scuola e nella sanità – per fare solo un paio di esempi - si è piegato troppo spesso alla forza apparentemente imbattibile dei modelli privatistici, a discapito di un servizio pubblico di qualità accessibile a tutti indipendentemente dalle condizioni economiche e sociali.
Una rinascita del centrosinistra, dunque, non può che scaturire da una comprensione delle ragioni della sua crisi e da una presa di coscienza profonda della necessità di una trasformazione dell’azione politica nel segno della continuità dei valori condivisi.

Un cambio di paradigma

Il centrosinistra deve trovare prassi nuove per interagire con il pubblico nuovo della politica. Deve individuare forme inedite per comunicare con un elettorato sempre meno coinvolto, attraverso i canali mediatici che - come detto in precedenza - non sono adatti all’espressione di ragionamenti complessi con linguaggi complessi. È necessario trovare modalità nuove che, pur conservando la validità politica e culturale del pensiero riformista, riescano a favorire il dialogo con una società radicalmente diversa rispetto a quella che ha visto l’affermazione dei partiti di massa.
Occorre costruire un’identità e una narrazione politica in grado di coinvolgere i cittadini in un’azione politica in linea con i valori della tradizione riformista italiana.
Per farlo è necessario un cambio di paradigma che sposti il baricentro dell’attività politica dal partito al cittadino. Un partito che voglia adattarsi ai cambiamenti dello scenario sociale deve mettere al centro della propria iniziativa politica non se stesso e la propria sopravvivenza né temi genericamente astratti. Deve invece riscoprire il gusto della proposta e della mobilitazione concreta, dell’impegno in iniziative che possano migliorare la vita dei cittadini.
Mettere al centro le persone significa spostare il fulcro del partito dal centro al territorio, elaborando proposte e sviluppando idee e progetti a livello micropolitico, con l’obiettivo di contribuire al miglioramento della vita dei cittadini nelle città e nei piccoli paesi.
Significa uscire dai circoli: non si può attendere che i cittadini vadano al partito; è il partito che deve andare dai cittadini. Significa riportare la discussione in piazza, con proposte su temi cari alla cittadinanza, a favore di iniziative concrete e con l’obiettivo di seguirne l’iter fino alla realizzazione finale.
La sfida della politica riformista è una rivoluzione innanzitutto del pensiero, dunque del linguaggio come strumento per la creazione di una relazione profonda con i cittadini.
Se è evidente che ci troviamo di fronte ad un pubblico sensibile a nuove forme di azione politica bisogna dunque trovare nuove modalità di comunicazione e di creazione del consenso.
Bisogna domandarsi come sia possibile relazionarsi con un uditorio nel quale cresce il disinteresse verso le complessità che caratterizzano la politica.
Nello scenario attuale, parlare di socialdemocrazia o di socialismo in un dibattito pubblico può non essere la scelta più efficace. Se può essere interessante per un nutrito gruppo di addetti ai lavori, lo è decisamente meno per il pubblico contemporaneo. Si tratta di formule che hanno caratterizzato una politica e una società che non esistono più. Questo significa che bisogna rinunciare a parlarne? Affatto, il riformismo deve invece essere capace di declinare le idee e i valori della propria politica con formule e linguaggi nuovi, che enfatizzino le dimensioni concrete dei fenomeni rispetto a quelle astratte. Bisogna ripartire dai problemi della società e da proposte tangibili per la loro soluzione, e allo stesso tempo essere capaci di definire un nuovo vocabolario della sinistra e nuove forme di comunicazione in linea con lo spirito del tempo.
Occorre portare il cambiamento di paradigma fino in fondo, anche mitigando lo stile comunicativo complesso con l’utilizzo di linguaggi più adatti alle modalità di ricezione del pubblico. Ad esempio ponendo enfasi sugli aspetti narrativi del discorso, per agevolare la comprensione del punto di vista riformista sulla realtà politica.
È utile citare due esempi a proposito. Il primo è rappresentato dallo spot che Obama ha fatto diffondere a tre giorni dalle elezioni presidenziali. L’infomercial, o spot informativo, raccontava le storie di alcuni cittadini americani per illustrare le gravi carenze del sistema sanitario e generare consenso intorno a una proposta di riforma. Un modello altrettanto interessante arriva dalla Germania. Si tratta di un documentario dal titolo eloquente: “2030. La rivolta degli anziani”, o meglio, per la precisione, di una docu-fiction, un documentario che sfrutta i linguaggi narrativi della serie televisiva. Ambientato nel futuro, racconta la storia di un gruppo di anziani, ultrasessantenni, con pensioni talmente basse da essere costretti a delinquere per sopravvivere.
Lo stile narrativo porta lo spettatore a riflettere su cosa potrebbe accadere se non si riformassero da subito le pensioni. Proietta nel futuro una realtà attuale e mostra gli effetti di un ulteriore rinvio dell’azione. Riesce in questo modo a comunicare, con uno stile semplice e appassionante, questioni complesse. Mostra come l’allungamento della vita media, lo spostamento dell’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e la precarizzazione dell’esperienza professionale, se non inserite in una riforma strutturale delle pensioni, possano creare seri problemi sociali. Non è solo un modo diretto di comunicare, ma uno strumento concreto per sensibilizzare l’opinione pubblica.
È una delle tante dimostrazioni dei risultati di un nuovo approccio alla comunicazione che mette l’accento sulle narrazioni e sulle emozioni, ovvero sull’uso di linguaggi che massimizzano gli effetti persuasivi del discorso, pensati per adattarsi alla modalità di comprensione del pubblico.
Si tratta di un’operazione di ampia portata: elaborare una relazione fra il contesto sociale e l’azione riformista è un compito che richiede l’avvio di una profonda riflessione culturale, prima ancora che politica. Implica la capacità di riconoscere la natura dei fenomeni in gioco: di tenere in considerazione i fattori sociali, storici ed economici nella loro interrelazione complessa. Comporta una profonda capacità di ricerca finalizzata a una lettura profonda del cambiamento intervenuto nella società.
È questa la sfida principale del riformismo oggi in Italia: la ricerca di nuove modalità di azione che permettano di coniugare costruzione del consenso e amministrazione dello Stato, democrazia e politica.

Sfatare un “mito”: la rete ci salverà


Appare necessario a chi scrive, infine, restituire la corretta dimensione a una questione che alimenta il dibattito sul futuro del centrosinistra italiano.
È opinione diffusa che, se Berlusconi è riuscito ad affermarsi (anche, ma non solo) grazie a una singolare sintonia e ad uno “straordinario” utilizzo del sistema di comunicazione televisivo5 – riuscendo a formare, attraverso la televisione, il senso comune e i modelli di vita degli italiani – un nuovo scenario si aprirà per il centrosinistra grazie alla diffusione di internet come mezzo di informazione e di socializzazione della politica. La rete può costituire – si ritiene – il mezzo per superare il dominio della televisione: ciascuno potrà costruire il proprio palinsesto e non sarà “succube” di quanto viene imposto dai direttori delle reti televisive. Il modello di riferimento analizzato da più parti è quello di Obama che - si sente ripetere - deve gran parte del successo elettorale raggiunto proprio al ruolo giocato dal web.
Si tratta di un’analisi che coglie alcuni elementi cruciali, ad esempio la difficoltà di imporre un monopolio sulla rete e la grande apertura nell’accesso alla comunicazione sul web. Tuttavia eccede nell’attribuire rilevanza al nuovo strumento. Innanzitutto perché antepone il mezzo al messaggio, ovvero presuppone che un cambio nel medium possa - da solo - influire positivamente sulla capacità di persuasione del discorso. In tal modo si inverte il rapporto corretto di ogni strategia della comunicazione che presuppone innanzitutto una decisione su quanto si vuole comunicare - a chi e per ottenere quali effetti - e solo successivamente la scelta dei mezzi da utilizzare e la declinazione del messaggio secondo i formati più idonei per ciascun medium. Non è possibile pensare che basti cambiare strumento; in gioco c’è molto di più, cioè la ridefinizione di una modalità comunicativa e di gestione del consenso.6
Inoltre bisogna osservare con maggiore attenzione l’esempio addotto, quello di Obama, e ricordare che l’attuale presidente degli Stati Uniti è riuscito a vincere una competizione molto difficile di certo grazie a un uso virtuoso di internet ma non solo per merito di questo.
La capacità di Obama è stata anzitutto quella di ridefinire una cultura politica – quella dei democratici americani – delineando temi e proposte politiche di rottura con la storia passata.
Obama ha rappresentato una decisa inversione di rotta sul fronte della politica internazionale e di quella interna. Uscendo dall’unilateralismo ha avviato una politica di disimpegno dall’Iraq, un ripensamento della strategia di lotta al terrorismo, un impegno per il rispetto dei diritti umani. La forza con la quale, nel pieno di una delle più gravi crisi economiche vissute dagli Stati Uniti, ha saputo ridisegnare il ruolo dello Stato sociale, con la decisione di promuovere la più importante riforma del sistema sanitario mai realizzata, la scelta di investire ingenti capitali in ricerca e innovazione, in forme di sviluppo industriale non tradizionali – il caso delle energie rinnovabili - dimostrano la ricerca di un percorso che restituisce agli Stati Uniti una nuova leadership del cambiamento. Nello stesso tempo, non si può dimenticare il ruolo fondamentale che ha giocato la copertura positiva che Obama ha ricevuto su quotidiani, settimanali e televisioni di tutto il mondo. Né si può sottovalutare, ancora, il peso della pubblicità televisiva, di cui è un esempio mirabile lo spot informativo citato in precedenza. Come tutte le spiegazioni monocausali, quella che privilegia il ruolo della rete nella comprensione della vittoria di Obama tralascia una serie di fattori di primaria importanza. E, paradossalmente, non riesce a cogliere il ruolo che ha giocato internet. L’efficacia della rete non è stata quella di permettere la diffusione del messaggio politico con costi minimi a milioni di persone ma quella di consentire il coinvolgimento attivo degli utenti, che potevano – solo per fare due esempi - scaricare materiale informativo oppure trovare altri attivisti nella propria zona con i quali confrontarsi e organizzare iniziative. In sintesi, la vittoria di Obama può essere spiegata facendo riferimento a una felice coincidenza di fattori: oltre a quelli di contesto e storici si possono aggiungere un’efficace proposta politica, un’inedita abilità comunicativa e la capacità di sfruttare la specificità di ciascun medium, inclusa la rete.
Senza comprendere questo punto non è possibile capire quale sarà il futuro del web nella politica. Chi crede che internet sia una televisione libera a basso costo nella quale inviare messaggi uno-a-molti come avviene oggi con la stampa non ha compreso le potenzialità del mezzo né può pensare di avere successo nella nuova politica del XXI secolo.



1 P. Mancini, Ancora berlusconate. E se non si trattasse di populismo?, Paper presentato al XXIII Convegno annuale della Società italiana di scienza politica-SISP, 2009, disponibile su www.sisp.it.
2 G. Mazzoleni, W. Schulz, “Mediatization” of Politics: A Challenge for Democracy?, in “Political Communication”,3/1999, pp. 247-61.
3 D. L. Altheide, R. P. Snow, Media Logic, Sage, Beverly Hills 1979.
4 D. Dayan, E. Katz, Media Events: The Live Broadcasting of History, Harvard University Press, Cambridge 1992.
5 R. Simone, Il mostro mite. Perché l’Occidente non va a sinistra, Garzanti, Milano 2008.
6 Senza dimenticare la diversa rilevanza dei due mezzi sul pubblico: sicuramente più forte per quello televisivo, meno per il web al quale ci si accosta con un atteggiamento critico e seguendo percorsi tendenzialmente più autonomi.