Le sfide attuali della rivoluzione digitale

Di Antonio Pilati Martedì 09 Febbraio 2010 20:28 Stampa
Il sistema della comunicazione, rimodellato dalla rivoluzione digitale avviata nel 1981 (anno del lancio del personal computer), vive grandi mutamenti. Le reti TV e TLC diventano multifunzionali, offrono un’enorme scelta di prodotti e sempre più competono fra loro. Ma la vera sfida arriva dai motori di ricerca (come Google), che danno facile e rapido accesso ai depositi di conoscenze di tutto il mondo.

Nell’agosto 1981 IBM lancia il personal computer (due milioni di pezzi venduti in un anno) e la tecnologia digitale fa il suo ingresso nel mercato di massa. Da allora la vita economica e le operazioni organizzative sono trasformate: in quanto strumento operativo che si applica alla gestione delle conoscenze (analisi, concatenazione, scambio, stoccaggio), la tecnologia digitale si rivela universale e dirompente. Universale in quanto una dinamica cognitiva – qualunque sia il modo in cui è organizzata e distribuita – funge da guida strutturante per ogni attività umana; dirompente in quanto un’amplissima latitudine di ambiti operativi si assoggetta ai moduli standardizzati del calcolo digitale e acquista, grazie alle sue doti di velocità e potenza, crescente efficacia.

Per via di queste caratteristiche, l’innovazione digitale costituisce una vera e propria rivoluzione che influenza e indirizza tutti i più importanti fenomeni dell’ultimo trentennio: dall’espansione della finanza allo sviluppo della genetica, dai mutamenti dell’organizzazione industriale (outsourcing, zero scorte, riduzione dei livelli gerarchici) alla revisione dei sistemi distributivi fino al grande slancio della globalizzazione. Al pari della prima (1760-1830) e della seconda rivoluzione industriale (1870-1900), anche la rivoluzione digitale si forma attorno a un piccolo nucleo di macroinvenzioni: una tecnologia del silicio che nel tempo aumenta di potenza in modo esponenziale, un codice combinatorio che consente una straordinaria varietà di applicazioni, un sistema di reti per la connessione di crescente flessibilità. Attraverso progressivi affinamenti questo nesso tecnico si articola in una grande varietà di applicazioni, incrementa la produttività dei processi di lavoro, modifica le abitudini di consumo.

Il sistema della comunicazione è un target privilegiato dell’innovazione digitale. Non solo tutte le sue componenti forniscono prodotti cognitivi, ma anche ogni sua porzione operativa è suscettibile di essere razionalizzata in chiave digitale: un esempio tipico è la distribuzione che, nei prodotti a stampa (siti internet, teletrasmissione) come nella musica (downloading, iTunes) o nella televisione (reti di trasmissione digitali), è stata completamente rimodellata. Forse solo nella finanza, anch’essa concentrata su creazione, gestione e scambio di conoscenze (transazioni), la rivoluzione digitale ha prodotto negli ultimi vent’anni una trasformazione altrettanto grande in quanto è riuscita a realizzare tre condizioni di straordinaria importanza: connettere in modo sistematico e istantaneo tutti gli operatori del mondo; introdurre crescente complessità di prodotto; creare modelli per la pianificazione delle operazioni (valutazione del rischio inclusa) sempre più sofisticati.

Questo statuto peculiare differenzia il sistema della comunicazione e la finanza dagli altri campi di applicazione della rivoluzione digitale. Mentre in singole aree operative, come l’organizzazione aziendale o i sistemi di distribuzione, gli effetti si sono nel tempo stabilizzati, comunicazione e finanza vivono tuttora un’intensa dinamica evolutiva: la loro capacità produttiva è in costante espansione, continua a crescere il tempo sociale che riescono ad assorbire, aumenta la forza di attrazione per i settori collegati o contigui. L’innalzamento della conoscenza a principale fattore produttivo, che la rivoluzione digitale predispone e incentiva, trova nei due settori un fondamentale motore di sviluppo.

Nel sistema della comunicazione, in particolare, il mutamento sta accelerando e gli assetti di mercato e di potere evolvono con grande velocità. Per comprendere le attuali linee di tendenza, è utile ricapitolare le tre fasi (congegni stand alone; reti dedicate, ovvero specializzate su una data funzione; reti multifunzionali caratterizzate da una grande varietà di applicazioni) che si sono succedute nella rivoluzione digitale. Ciascuna fase ha propri e peculiari caratteri operativi, modelli di business, tipi di consumo, nessi fra le diverse attività, schemi di competizione.

La prima fase caratterizza gli anni Ottanta e vede affacciarsi sui mercati di massa, sulla scia del personal computer, una serie di congegni che, sfruttando la crescente potenza di calcolo dei chip, perfezionano con migliore qualità e maggiore stoccaggio di dati (oltre a minori costi) funzioni già esistenti o ne generano di nuove: nel 1982 Philips e Sony lanciano il compact disc, che in breve sostituisce il disco di vinile; nel 1984 è introdotto il CD rom che combina in un nuovo formato testi, suoni e immagini, mentre Nintendo immette sul mercato il primo videogioco digitale. In questa fase, l’innovazione digitale è ancora limitata, locale: molti lavori (in settori come editoria, design, ingegneria, statistica) acquistano efficienza grazie alla crescente potenza di calcolo, ma i progressi sono concentrati in ambiti specializzati, non reagiscono uno con l’altro. Si generano più conoscenze, se ne fa un uso più produttivo, ma la loro circolazione è ancora segnata dai vincoli della tecnologia analogica e i settori tradizionali della comunicazione restano divisi. Il fattore trainante dell’espansione è la crescita esponenziale della potenza operativa che Gordon Moore, uno dei fondatori di Intel, sintetizza in forma di legge in un articolo del 1965: in un chip ogni anno si raddoppia la densità dei componenti e quindi la capacità di calcolo e di memoria. Questo nesso descrittivo è convalidato sia per il periodo 1959-75 (nei termini stabiliti dall’articolo) sia per l’epoca successiva (ma con tempi di raddoppio allungati a 18 mesi fino al 2000 e a 24 mesi per gli anni seguenti). Alla fine degli anni Ottanta la capacità di calcolo e di memoria che si è accumulata eccede i limiti sociali – organizzazione delle imprese, assetto delle attività ad alta intensità cognitiva – che ne definiscono le condizioni di impiego e ormai ne comprimono il potenziale di efficacia.

La seconda fase si impernia su due distinti fattori che ben presto cumulano la rispettiva efficacia: le reti di telecomunicazioni, prima quelle fisse poi quelle mobili, passano alla tecnologia digitale (lo standard GSM è definito come norma europea nel 1992), seguite ben presto dalle trasmissioni televisive via satellite (DirecTv è lanciata dalla General Motors nel 1994); sono creati software che, una volta divenuti standard, facilitano la gestione, la ricerca e lo scambio di informazioni fra computer collegati in rete. Nel 1990 Tim Berners-Lee elabora il protocollo http che abilita a scambiare documenti da un computer all’altro e il linguaggio html per creare testi idonei a essere trasferiti: è la data di nascita del World Wide Web (www), ovvero della prima piattaforma che consente un facile e veloce interscambio di documenti. Nel 1993 compare Mosaic, il primo browser a interfaccia grafica che permette di navigare entro la rete realizzando una ricerca semplice e intuitiva di testi. Questo grappolo di innovazioni congiunge due traiettorie del progresso tecnico da sempre distinte, quella del calcolo e quella della trasmissione, e ciò sgancia la connessione sociale dai vincoli che in precedenza la stringevano: diventa indipendente dal luogo (mobilità), azzera la distanza (sempre meno è un fattore di costo), supera le restrizioni di contenuto (testi, suoni e immagini si possono scambiare con la stessa prontezza della voce). Si inaugura l’epoca della connessione vivente e incondizionata che crea nuovi mercati (l’industria del mobile, i collegamenti internet) e incentiva potentemente la globalizzazione: la telefonia mobile cresce rapidamente nei paesi a basso reddito dove le sue reti leggere sono costruite con meno tempo e costi delle reti fisse, mentre lo sviluppo degli scambi commerciali, favorito da internet, agevola l’ascesa dei paesi emergenti. Sul piano industriale la seconda fase sancisce in Europa e in Giappone la fine del monopolio nella telefonia fissa, l’ingresso di molti ex monopolisti nella telefonia mobile e la nascita di operatori che diventano forti sfruttando le nuove chances di mercato (Vodafone, Sky). Le telecomunicazioni passano dal monopolio alla concorrenza (oligopolistica) e la televisione sviluppa con il satellite la dimensione pay che stabilizza un nuovo filone di ricavi (a fianco di canone e pubblicità). Il panorama competitivo si arricchisce (aiutano il design normativo e l’enforcement dei regolatori), ma i singoli mercati mantengono un’elevata concentrazione con il predominio di poche imprese verticalmente integrate che, soprattutto nelle telecomunicazioni, si ritagliano ingenti margini.

La situazione muta radicalmente, con il terzo periodo della rivoluzione digitale, nei primi anni del nuovo secolo, sotto la spinta di due fattori a forte e prolungata incidenza. Tutte le reti aumentano la propria capacità (effetto della legge di Moore) e diventano multifunzionali: le reti mobili portano immagini e video, il satellite introduce modalità interattive, le reti televisive terrestri passano al digitale (in ritardo rispetto alle telecomunicazioni). Inoltre si moltiplicano le applicazioni che, soprattutto sul web, consentono di indirizzare i flussi di scambi cognitivi secondo obiettivi specializzati. Si tratta di due avanzamenti tecnici di grande rilievo, che provocano importanti ricadute economiche. Cinque fra queste applicazioni rivestono un valore cruciale: aumenta in grande misura il volume delle conoscenze che circolano e sono memorizzate in rete; crescono di conseguenza sia gli usi che si rendono disponibili ai consumatori sia i servizi che le reti possono veicolare; migliora l’economia dei gestori di rete che possono ripartire su più prodotti i costi fissi relativi all’infrastruttura; l’integrazione verticale non è più una formula quasi obbligata, ma la varietà dei servizi erogabili rende vitali anche attività di nicchia; le barriere all’ingresso si abbassano, grazie ai due sviluppi precedentemente citati, in tutti i settori della comunicazione. Questi mutamenti strutturali condizionano i modi di consumo, le forme della competizione, le strategie degli operatori.

Sui modi di consumo incide l’eccezionale risultato prodotto dall’aumento della potenza di memoria dislocata in rete e dalla crescente sofisticazione delle applicazioni: si tratta dell’accesso, reso agevole e universale, ai più diversi depositi di sapere accumulati in passato (il progetto Google di digitalizzare tutti i testi fuori o ai margini del copyright) o formati nel presente (magazzini come iTunes o teche a scala mondiale come Google News). Il consumatore, così, non solo massimizza il numero dei contenuti che può raggiungere (è un vantaggio che già deriva, anche se in forme diverse, dall’aumento di capacità delle reti digitali), ma migliora anche le condizioni di scelta: non è più vincolato dalle preselezioni degli editori (confezione dei CD, impaginazione dei giornali, palinsesti televisivi) e dai loro orari di diffusione, ma può catturare il contenuto cercato senza filtri, nei tempi e nei modi preferiti. L’efficacia delle applicazioni web, che rende più facile per i singoli contenuti apparire in vetrina, genera disintermediazione, la quale a sua volta estende la libertà organizzativa. Ne risulta trasformato il tempo sociale della comunicazione: flettono i grandi numeri (diffusione stampa, audience televisiva, biglietti dei cinema), esplodono i prodotti di nicchia, si infittisce la coda lunga dei titoli. Il pubblico si frammenta in platee differenziate, diminuiscono le centrali sociali capaci di creare un’identità condivisa, la riduzione dei filtri editoriali facilita la creatività individuale, così come il solipsismo o il fanatismo. Anche la pubblicità evolve con il mutamento dei consumi: la caduta dell’audience, che riduce il peso negoziale degli editori, valorizza il ruolo di chi, come i motori di ricerca, può seguire i percorsi di consumo dei sin- goli e quindi, grazie a profili numerati, mirare con precisione l’advertising.

La competizione, che è sempre volta a conquistare tempo mentale, si intensifica e si disloca su più livelli. Dal semplice al complesso, il primo livello include la competizione tra contenuti (o servizi) acquistabili singolarmente, uno per uno: la canzone su iTunes, il film in pay per view, l’articolo on line, il game o il software scaricati dalla rete. Al secondo livello c’è la competizione tra marchi editoriali che combinano contenuti (palinsesti TV, quotidiani, periodici, consolles con il proprio set di game) o marchi TLC che assemblano servizi. Al terzo livello si svolge la competizione tra piattaforme, ovvero infrastrutture deputate ad assemblare contenuti e servizi di vario tipo e nella maggior parte dei casi a organizzare i rapporti con il cliente finale (gestione delle richieste, consegna degli acquisti, billing): in prospettiva funzionano come strumenti escludenti che concentrano in sé un’ampia gamma di servizi e offrono al cliente un mondo completo, dalla telefonia al video agli strumenti di pagamento. Di fatto quest’ultimo livello riassume anche quelli precedenti e assorbe la quota maggiore di investimenti.

Questo scenario competitivo differenzia in modo marcato le strategie degli operatori. Le imprese di nicchia, che aumentano di numero sfruttando le minori barriere d’ingresso, dipendono dalla filiera di attività organizzata dalle piattaforme e agiscono in una dimensione specializzata (fornitura di contenuti o servizi). I gestori delle piattaforme, che derivano per lo più dai tradizionali operatori integrati in verticale, hanno configurazioni e strategie consimili e si trovano sempre più spesso in diretta concorrenza fra loro: offrono servizi largamente fungibili, hanno una vocazione onnivora verso il cliente, puntano tutti ad aumentare sia il numero dei servizi venduti al cliente finale sia il loro valore. La telefonia mobile amplia la gamma d’offerta, i quotidiani si sforzano di dare un prezzo agli articoli diffusi in rete, molti broadcasters spostano il baricentro strategico dalla pubblicità, che la frammentazione dell’audience continua a erodere, ai contenuti pay. L’affollamento strategico aumenta la selezione e favorisce le concentrazioni (contano le dimensioni di scala e aumenta l’impegno finanziario) con la conseguente ascesa di gruppi a scala globale.

Ci sono infine gli organizzatori della connessione sul web, come Google, Apple o Yahoo, che da qualche tempo vivono una contrapposizione frontale con i gestori delle piattaforme tradizionali. Gli organizzatori web detengono uno straordinario punto di forza: hanno creato le infrastrutture operative che realizzano l’accesso ai depositi di sapere esistenti. Ciò offre loro grandi vantaggi: possono aggregare a tema gruppi e individui; raggiungere contenuti creati in prima battuta per altre piattaforme o mezzi di diffusione dando loro una seconda vita che si aggiunge a quella originaria; generare un’enorme massa di informazioni sugli utenti che derivano dalle tracce dei vari scambi resi possibili e si rivelano di straordinaria utilità per mirare i target pubblicitari. Questa dinamica, che porta molti clienti a Google e simili, produce una doppia pressione competitiva, a monte e a valle. Gli operatori TLC perdono parte del reddito derivato dai servizi offerti in rete che costituiscono la fonte primaria per remunerare gli investimenti sull’infrastruttura fisica; i fornitori di contenuti vedono ridursi gli spazi di mercato per lo sfruttamento dei prodotti e i clienti pubblicitari. È il grande tema di scontro dei prossimi anni e anche la chiave per intuire chi uscirà meglio dalla selezione di imprese che si sta avviando.