Colf e "badanti": una storia infinita?

Di Raffaella Sarti Giovedì 08 Ottobre 2009 19:26 Stampa

In Italia, per la cura degli anziani e della casa ha prevalso il “modello colf e badanti”. Mentre per decenni, nel Nove­cento, il personale domestico sembrava destinato a un ine­sorabile declino, l’offerta di lavoratori provenienti dall’este­ro ha contribuito a ribaltare la situazione. Oggi si assiste pertanto a uno stridente contrasto tra la retorica anti-im­migrazione di una parte delle forze di governo e l’interes­se (e la disponibilità) della popolazione ad aprire la propria casa a colf e “badanti” immigrate/i.

 

 

 

5luglio 2009: Carlo Giovanardi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla famiglia, chiede una regolarizzazione per colf e “badanti”: da tre giorni è stato approvato il pacchetto sicurezza, che prevede il reato di clandestinità. Quando entrerà in vigore, l’8 agosto, le lavoratrici domestiche prive di permesso o carta di soggiorno potranno essere incriminate di tale nuovo reato. La proposta di Giovanardi suscita reazioni molto dure: «non se ne parla», sostiene – a quanto riportano i giornali – il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli; «nessuna sanatoria», proclama il ministro dell’Interno Roberto Maroni.1 Ciononostante in capo a quattro giorni la proposta viene accolta e il governo comincia a lavorare alle sue modalità di attuazione.2

La vicenda ha un sapore di déjà vu. Ripropone, in effetti, una storia già vista. “Immigrazione, il testo del governo. Espulsioni facili, niente sanatoria. Stralciata quella (prevista) per le colf. Bossi durissimo: ‘La gente non vuole immigrati’”: questo si poteva leggere su “la Repubblica” otto anni fa, il 14 settembre 2001. Ma, nei mesi successivi, tra roventi polemiche, si finì per consentire la sanatoria, prima solo a colf e “badanti”, poi anche ai lavoratori dipendenti (articolo 33 della legge 189/02; decreto legge 195/02). E nell’ambito della sanatoria furono presentate circa 700.000 domande di regolarizzazione, di cui poco meno della metà (340.000 circa) da parte di lavoratrici e lavoratori domestici. All’epoca in Italia i domestici iscritti all’INPS si aggiravano intorno ai 250.000.3 Nel 2003 erano più di 542.000.4Per certi versi quest’anno il copione è stato simile: esponenti della Lega (ma anche del Popolo delle Libertà) hanno tassativamente escluso l’ipotesi di regolarizzazione, ma la regolarizzazione è “passata”. Il copione tuttavia questa volta è apparso già rodato, e il tutto si è svolto in pochi giorni, a fronte dei mesi di polemiche che avevano preceduto la regolarizzazione del 2002. E questo nonostante il Viminale ipotizzi tra le 500.000 e le 750.000 domande di regolarizzazione al termine del mese durante il quale esse potranno essere presentate (1-30 settembre). 5 I primi due giorni di apertura non paiono giustificare questa previsione,6 che chi scrive ritiene essere eccessiva, se non altro perché il pacchetto non ha inasprito le pene per chi impiega colf e badanti irregolari (che alle famiglie costano meno) e perché non sono mancate rassicurazioni addirittura da parte esponenti del governo (il ministro Ignazio La Russa, in particolare, il 6 luglio, in un’intervista a “Il Mattino”, da un lato rifiutava l’ipotesi della regolarizzazione, dall’altra assicurava che non ci sarebbe stata «alcuna caccia a colf e badanti» irregolari, precisando che «chi lavora non ha nulla da temere»).7 Ma staremo a vedere, i giochi sono ancora aperti.

Quello che qui importa è che le politiche di rigore e chiusura sul fronte dell’immigrazione si scontrano regolarmente con il problema “colf e badanti”. Le porte delle nostre case – del nostro spazio più intimo e privato – alla fine risultano le più difficili da chiudere per legge alla penetrazione di quegli immigrati che, secondo vari esponenti della Lega e di una parte della destra, gli italiani proprio non vorrebbero. Tant’è vero che restano aperte. E chi vi entra – se è irregolare – non solo corre raramente il rischio di avere per questo dei problemi con la giustizia, ma ha anche maggiori possibilità di regolarizzare la propria posizione rispetto a chi lavora in altri settori.

Negli ultimi anni, questa sfasatura tra la retorica contro l’immigrazione e la crescente presenza di immigrati nella nostra sfera più intima ha assunto tratti quasi paradossali. Si inserisce, tuttavia, in una tradizione di lungo periodo. La prima regolarizzazione di lavoratori immigrati effettuata in Italia, nell’ormai lontano 1979, non riguardava proprio le colf?8 Nel 1991, in deroga alla legge Martelli, una circolare (restata in vigore fino al 1995) non stabiliva forse che potessero entrare e lavorare regolarmente in Italia i soli cittadini extracomunitari che avessero fatto richiesta di autorizzazione al lavoro – prima di immigrare – «per la instaurazione di un rapporto di lavoro domestico in Italia», con divieto di «prestare per un periodo di due anni attività lavorativa subordinata» in un settore diverso da quello dei servizi domestici?9 Nel 2002 la sanatoria non è forse stata inizialmente prevista per colf e badanti, e solo in un secondo momento allargata ai lavoratori dipendenti? I decreti flussi degli ultimi anni non hanno forse riservato quote crescenti di ingressi regolari nel nostro paese – fino al 70% nel 2008 – a colf e badanti?10 E non c’è adesso questa nuova sanatoria a loro riservata? I dati più aggiornati relativi ai lavoratori domestici impiegati regolarmente si riferiscono al 2007 e ci danno un totale di 597.000 lavoratori, di cui 464.000 stranieri (77,7%). Le stime degli impiegati nel settore variano: la più recente è probabilmente quella del CENSIS, che ne valuta il totale in 1 milione e mezzo di persone. Se questa stima è corretta, gli impiegati in nero (non necessariamente stranieri, tanto che l’attuale regolarizzazione non riguarda solo gli immigrati) sarebbero circa 900.000.11

È opportuno a questo punto fare un balzo indietro di circa un secolo. Oggi si discute di bibliche fiumane di colf e “badanti” che arrivano in Italia. Le si fa entrare nelle proprie case ben contenti che ci sia qualcuno che, relativamente a buon mercato, si prenda cura delle persone anziane, lavi i pavimenti, pulisca i bagni, rifaccia i letti. Un secolo fa, molte famiglie delle classi medie e alte si disperavano perché stava diventando sempre più difficile trovare domestici minimamente affidabili, o addirittura trovarne tout court. Le ragazze preferivano andare a lavorare in fabbrica, dove si sentivano più rispettate e avevano orari certo pesanti ma definiti. Discussioni salottiere, conferenze, articoli di giornale, inchieste, poderosi studi erano dedicati alla crisi del personale domestico. In tutt’Europa, così come in America, si discuteva febbrilmente del problema, ora rimpiangendo i (presunti) bei tempi antichi, ora analizzando le cause della crisi, ora studiando possibili soluzioni, ora preparandosi a vivere senza domestici. Molti osservatori pensavano che il progresso tecnologico e sociale stesse portando a una rapida scomparsa del personale domestico, in particolare quello coresidente, e alcuni salutavano la crisi come alba radiosa di un mondo nuovo. Circolava l’idea che “servitori elettrici” avrebbero rimpiazzato i domestici in carne ed ossa, e/o che nuove forme di organizzazione del lavoro (cooperative, strutture collettive ecc.) avrebbero presto sostituito l’organizzazione familiare tradizionale. Le domestiche si sarebbero trasformate in operaie, lavoratrici di cooperative ecc. e questo avrebbe permesso anche a loro di avere una propria famiglia.12 Fiducioso del fatto che tutti i servizi per cui era necessaria la «collaborazione attiva di persone esterne alla famiglia» sarebbero stati svolti da «forze elettriche», nel 1907 un autore sosteneva che presto «la vecchia serva del passato» sarebbe «diventata un mito, un essere leggendario di cui qualche intellettuale» avrebbe contestato «forse un giorno l’esistenza».13 E invece se ne parla ancora. Il vocabolario è cambiato: si usano il moderno termine colf (introdotto dai Gruppi ACLI Domestiche nel 1964) e il brutto neologismo “badante”, giustamente rifiutato dalla parte più politicamente corretta dell’opinione pubblica. Ma i nuovi vocaboli definiscono figure professionali per vari aspetti simili all’antica serva.

Le previsioni di inizio Novecento furono presto smentite: negli anni del fascismo, complici la crisi economica e le politiche del regime, il numero delle persone di servizio, o meglio, quello delle domestiche donne, aumentò nuovamente e in modo spettacolare. Nel corso del secondo dopoguerra, tuttavia, si avviarono importanti mutamenti. Già il primo censimento dell’Italia repubblicana (1951) registrò profonde trasformazioni rispetto al periodo fascista: i domestici erano solo l’1,9% della popolazione attiva, contro il 3,2% del 1936. Negli anni successivi si ridussero fino allo 0,9% del 1981. Al contempo scomparve quasi completamente il personale coresidente, sostituito da lavoratrici a ore, e si assistette a una serie di importanti innovazioni legislative.14 Di nuovo cominciò a circolare l’idea che la modernizzazione stesse comportando la scomparsa del personale domestico. «Le donne di servizio oggi non esistono più», scriveva Natalia Ginzburg nel 1969. Le poche rimaste erano figure evanescenti e i giovani pensavano che non fosse giusto averne.15 Ma anche queste previsioni si sono rivelate sbagliate e oggi colf e “badanti” sono un esercito.

Per decenni l’offerta di lavoro domestico e di cura – socialmente disprezzato, poco tutelato e mal retribuito – si era ridotta. Negli ultimi trent’anni circa è invece cresciuta, grazie soprattutto all’arrivo di stranieri disponibili a lavorare nel settore, complici gli enormi divari salariali tra paesi ricchi e poveri e le politiche migratorie italiane, cui si accennava sopra. L’aumento dell’offerta ha finito per stimolare la domanda, che già di per sé si stava allargando a causa della crescita dei tassi di attività femminile e dell’invecchiamento della popolazione.

A questo proposito va tuttavia sottolineato che né la crescita dei tassi di attività femminile né l’invecchiamento della popolazione implicano di per se stessi un aumento del lavoro domestico salariato. Tant’è vero che, per anni, la crescita del tasso di attività femminile è stata accompagnata da una diminuzione (non da un aumento) delle lavoratrici domestiche tra le donne attive. Se c’è un’equa distribuzione del lavoro domestico casalingo tra uomini e donne e ci sono buoni servizi pubblici si può tranquillamente fare a meno della colf. Analogamente, la scelta di risolvere il problema dell’assistenza alle persone anziane facendo ricorso ad assistenti familiari è, appunto, una scelta tra altre possibili.16

Certo ricorrere a una “badante” per certi versi è coerente con la cultura italiana tradizionale, che affida alla famiglia un ruolo centrale nella cura di bambini e anziani (Italia, Grecia, Spagna e Portogallo sono i paesi europei in cui il numero di anziani ricoverati in case di riposo è più basso): seppur estranea alla famiglia, la “badante” permette all’anziano di restare a casa propria. Precise scelte politiche possono, tuttavia, incoraggiare o scoraggiare questa soluzione, e – negli ultimi anni – il “modello badante” ha incontrato un crescente favore tra gli attori pubblici. Un progetto per molti versi pilota, il progetto Madreperla, promosso fin dal 2002 dai Comuni di Forlì, Modena e dalla Provincia di Reggio Emilia con finanziamenti del Fondo sociale europeo, partiva dal presupposto che «la scelta di assumere un’assistente familiare rappresenta reciproci vantaggi sia per le famiglie che per le assistenti»: e tra i vantaggi per le famiglie citava il fatto che «consente all’anziano di rimanere al proprio domicilio tra le proprie cose e gli affetti costruiti nell’arco di una vita, evitando il trauma dell’ingresso in una struttura che per quanto possa essere flessibile necessita di forti adattamenti».17 Altro vantaggio spesso sottolineato è il risparmio di denaro pubblico reso possibile dal ricorso alle “badanti”. In questo senso, il successo di tale modello è (stato) incoraggiato non solo dalle politiche migratorie, che spesso hanno avuto e (tutt’ora hanno) un occhio di riguardo per i lavoratori domestici, ma anche dai numerosi e disparati interventi realizzati negli ultimi anni dagli enti locali nel campo dell’assistenza agli anziani al fine di professionalizzare e regolarizzare le assistenti familiari, dare alle famiglie più bisognose contributi per assumerle, favorire l’incontro tra domanda e offerta in nome, appunto, del valore della domiciliarità e della possibilità di ridurre i costi.18

La tendenza, da parte degli attori pubblici, a potenziare i trasferimenti monetari alle famiglie in modo che esse possano acquistare sul mercato i servizi di cui necessitano (il cosiddetto cash for care) non è solo italiana.19 Si tratta, tuttavia, di una tendenza che sta suscitando molte riserve: la stessa riduzione dei costi non è affatto scontata; questo tipo di interventi non è in grado di assicurare l’effettivo rispetto delle norme contrattuali e/o la reale emersione del sommerso ecc. In Italia, ad esempio, è stato denunciato l’uso degli assegni di cura per assumere badanti in nero.20 Certo in molti documenti prodotti dagli enti locali italiani si manifesta la volontà di creare una rete tra pubblico e privato grazie alla quale né le famiglie né le/gli assistenti siano abbandonate ad un rapporto di lavoro puramente di mercato, integrando le erogazioni monetarie nella più ampia rete dei servizi e superando quel “fai da te” assistenziale che espone il/la “badante” a situazioni di sostanziale sfruttamento e pone il/la badato/ a nelle mani di persone non sempre competenti. Il concreto passaggio dalla teoria alla pratica non appare tuttavia facile.

Ammesso e non concesso che il “modello badante” sia la soluzione migliore per risolvere il problema dell’invecchiamento della popolazione, resta però aperta un’ulteriore questione: tale modello è sostenibile nel medio e lungo periodo? Per il momento lo si “alimenta” aprendo le porte alle straniere (e agli stranieri). Ma siamo certi che l’Italia continuerà a essere per loro una meta “interessante” e che anche in futuro continueranno a esserci persone disponibili a venire a lavorare a casa nostra, per salari per noi abbordabili, adattandosi alla nostra cultura e lavorando spesso giorno e notte? Ecco allora che spunta il fantasma di una società poco attraente per gli stranieri, impoverita e polarizzata, in cui (anche) molte persone “indigene” di ceto sociale basso accettano di entrare a servizio, per pochi soldi e in dure condizioni di lavoro, dei relativamente pochi ricchi superstiti che possono ancora permettersi di assumere colf e assistenti familiari. Questi dubbi cominciano ad affollare la mente di chi analizza la situazione.21 Ma la storia di colf, “badanti” e domestici è davvero una storia infinita, una sorta di fenice che continuamente risorge dalle sue ceneri? Quali le scelte perché una storia diversa diventi concretamente possibile?


[1] La notizia della richiesta di Giovanardi è riportata in modo molto simile in diversi giornali. Le citazioni di Calderoli e Maroni sono tratte rispettivamente da La proposta di Giovanardi: ora regolarizzare colf e badanti, in “Corriere della Sera”, 6 luglio 2009, e da Immigrati, Maroni contro La Russa. “Non ci sarà nessuna sanatoria”, in “la Repubblica”, 7 luglio 2009.

[2] V. Polchi, Regolarizzare le badanti, sì del governo. La Lega: no sanatorie ma discutiamo, in “la Repubblica”, 9 luglio 2009.

[3] R. Sarti, “Ho bisogno di te”. La protesta degli anziani per la regolarizzazione di carers e lavoratori domestici “clandestini” (Italia, 2001- 2002), in C. Borderías, M. Renom (a cura di), Dones en moviment(s). Segles XVIII-XXI, Icaria, Barcellona 2008, pp. 165-94. In un comunicato stampa del ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu del 29 gennaio 2004 si legge: «Su un totale di 705.404 domande di regolarizzazione presentate, quelle ritenute ammissibili sono 694.224. I lavoratori effettivamente regolarizzati sono 634.728».

[4] Dati ricavati dal database online dell’INPS (www.inps.it).

[5] Immigrazione, sanatoria al via per le colf e le badanti, in “Corriere della Sera”, 21 agosto 2009; Polchi, Maxicondono per colf e badanti ecco come chiederlo via internet, in “la Repubblica”, 29 agosto 2009. Le stime riportate sono di Mario Morcone, capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del ministero dell’Interno.

[6] Alle 18.00 del 2 settembre sul sito del Viminale risultavano registrate 23.290 richieste di moduli e trasmesse 11.812 domande. Dati forniti sul sito del ministero dell’Interno: www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/notizie/immigrazione/0145_2009_09_03_scheda_riepiloghi_proced_ emersione.html

[7] Non ci saranno cacce alle streghe ma neppure colpi di spugna, in “Il Mattino”, 6 luglio 2009.

[8] L. Einaudi, Le politiche dell’immigrazione in Italia dall’Unità ad oggi, Laterza, Roma-Bari 2007, p. 95.

[9] Circolare 156, del 29 novembre 1991, revocata dalla circolare 145, del 17 novembre 1995.

[10] Decreto del presidente del Consiglio dei ministri 3/08, Programmazione transitoria dei flussi di ingresso dei lavoratori extracomunitari non stagionali nel territorio dello Stato per l’anno 2008, pubblicato in “Gazzetta Ufficiale”, 288/2008.

[11] CENSIS, Una famiglia italiana su dieci è badante-dipendente, comunicato stampa,

[12] agosto 2009, disponibile su www.censis.it. 12 F. Reggiani, Un problema tecnico e un problema morale: la crisi delle domestiche a Milano (1890- 1914), in A. Gigli Marchetti, N. Torcellan (a cura di), Donna lombarda 1860-1945, FrancoAngeli, Milano 1992, pp. 149-79; Sarti, Da serva a operaia? Trasformazioni di lungo periodo del servizio domestico in Europa, in “Polis. Ricerche e studi su società e politica in Italia”, 1/2005, pp. 91-120 disponibile su www.mulino. it/rivisteweb/scheda_articolo.ph p?id_articolo=19523.

[13] Gringoire, Hier et demain, in “Le soir”, 1° febbraio 1907, citato in V. Piette, Do me stiques et servantes. Des vies sous condition. Essai sur le travail do mestique en Bel - gi que au 19e siècle, Académie royale de Belgique, Bruxelles 2000, p. 391.

[14] A. Colombo, R. Sarti, Il servizio domestico dal dopoguerra ad oggi, in “il Mulino”, 1/2009, pp. 164- 76, pubblicato in versione più estesa, con il titolo Come è cambiato il servizio domestico dal dopoguerra ad oggi, in R. Catanzaro, G. Sciortino (a cura di), La fatica di cambiare. Rapporto sulla società italiana, Il Mulino, Bologna 2009, pp. 81-99.

[15] N. Ginzburg, I lavori di casa (24 agosto 1969), in Mai devi domandarmi (Garzanti, Milano 19701), in Opere, Arnoldo Mondadori, Milano 19844, vol. II, p. 68.

[16] Si vedano i dati comparativi presentati in Sarti, Da serva a operaia cit. e in Family strategies between private and public services (Europe, 1950-2000), paper presentato al convegno “Production and Distribution of Well-Being into the Family: Strategies of Remunerated and Non-remunerated Labour and Consumption Patterns”, Barcellona, 25-27 giugno 2007 disponibile su www.ub.es/tig/GWBNet/BcnPapers/ Raffaella_Sarti_Barcelona_Gen - der_and_Well_Being_Family_strate - gies_between_private_and_public_ services.pdf.

[17] Progetto Madreperla. Sostegno e qualificazione del mercato di cura familiare (F.S.E. 2002/RER Rif. P. 0996; Deliberazione Giunta regionale [Emilia Romagna], 1510/2002, Modena Formazione, Modena 2004, p. 16).

[18] R. Sarti, E. De Marchi, Assistenza pubblica e privata. Un’analisi del ruolo degli enti locali, relazione presentata alla XVII Assemblea Nazionale delle Acli Colf, Roma, 22- 24 maggio 2009, disponibile su www.uniurb.it/sarti/Raffaella_Sarti_e _Elena_De_Marchi-Assistenza_ pubblica_e_privata-relazione-XVII_ Assemblea_Nazionale_delle_Acli_ Colf-Roma-22-24_maggio_2009.pdf.

[19] C. Ungerson, S. Yeandle (a cura di), Cash for Care in Developed Welfare States, Palgrave Macmillan, Basingstoke 2007.

[20] C. Gori, S. Pasquinelli, Gli assegni di cura, in Gori (a cura di), Le riforme regionali per i non autosufficienti: gli interventi realizzati e i rapporti con lo Stato, Carocci, Roma 2008, pp. 157-82.

[21] F. Piperno, Welfare e immigrazione. Impatto e sostenibilità dei flussi migratori diretti al settore socio- sanitario e della cura. Risultati di una consultazione tra esperti, in Ce- SPI, Working Papers 55/2009, disponibile su www.cespi.it/WP/WP%2055%20rapporto%20finale%20d elphi%2030%20marzo.pdf