Luci e ombre del sistema elettorale spagnolo

Di Rubén Ruiz-Rufino Giovedì 28 Febbraio 2008 23:27 Stampa

Il sistema elettorale spagnolo è stato indicato come un modello al quale il nuovo sistema elettorale italiano potrebbe ispirarsi. Questo articolo ne mette in evidenza i principali effetti positivi: l’aver favorito la formazione di governi stabili e duraturi e aver consolidato un sistema di partiti basato sul rafforzamento di due grandi forze politiche in grado di governare. A questi aspetti positivi se ne possono contrapporre due negativi: la mancanza di proporzionalità e l’assenza di meccanismi di controllo politico da parte degli elettori.

La ricerca di un sistema elettorale che rafforzi un sistema partitico in grado di garantire la stabilità delle diverse compagini governative è stata, in Italia, una preoccupazione costante negli ultimi anni. Il dibattito rimane aperto e ha ripreso vigore dopo la vittoria del centrosinistra nelle ultime elezioni legislative del 2006. Alcuni hanno visto nel sistema elettorale spagnolo un modello da poter imitare. Il sistema elettorale utilizzato a partire dalle prime elezioni democratiche svoltesi nel 1977 è rimasto stabile fino ai nostri giorni, a differenza di quanto è accaduto in Italia. Il modello rappresentativo proporzionale adottato allora fu in seguito consolidato con la Costituzione del 1978, e nel 1985 è stato dotato di contenuto organico con la legge 5/1985.

Il bilancio che si può trarre considerando le conseguenze politiche dell’impiego del suddetto sistema elettorale è più positivo che negativo. Il sistema elettorale spagnolo ha avuto almeno due conseguenze positive. In primo luogo, ha contribuito alla stabilità dei governi. Tra il 1977 e il 2004 se ne sono susseguiti nove, quattro dei quali disponevano della maggioranza assoluta dei seggi e cinque hanno avuto bisogno di costanti appoggi parlamentari esterni, sebbene fossero formati esclusivamente dal partito che aveva vinto le elezioni. In secondo luogo, il sistema elettorale spagnolo ha reso significativamente più stabile il sistema dei partiti. Il Congresso dei deputati è stato infatti dominato fondamentalmente da due grandi partiti che si sono alternati al potere: il PSOE (Partido Socialista Obrero Español) e il PP (Partido Popular). Tuttavia, il sistema elettorale spagnolo ha avuto anche alcuni effetti negativi. Da una parte, l’attuale struttura del sistema elettorale spagnolo produce distorsioni che influiscono principalmente sulla propor- zionalità. Dall’altro, essa determina l’assenza di meccanismi di controllo sui candidati presentati dai partiti nelle diverse liste.

Tratti caratteristici del sistema elettorale spagnolo

Il sistema elettorale utilizzato per nominare i membri del Congresso dei deputati è basato fondamentalmente su cinque variabili istituzionali. a) Le dimensioni della Camera. Sebbene la Costituzione spagnola consenta che del Congresso dei deputati facciano parte tra trecento e quattrocento membri, la legge elettorale in vigore ne fissa il numero a trecentocinquanta. b) Il numero di circoscrizioni. Il sistema elettorale spagnolo è basato sulla divisione del territorio nazionale in cinquanta circoscrizioni elettorali, corrispondenti alla divisione amministrativa in province, alle quali vanno sommate le città autonome di Ceuta e Melilla. In totale cinquantadue circoscrizioni, nelle quali i cittadini eleggono i loro rispettivi deputati. c) La dimensione delle circoscrizioni.

La Costituzione spagnola stabilisce che ogni circoscrizione disponga di una rappresentanza minima iniziale che in base alla legge elettorale è di due deputati per tutte le circoscrizioni, con l’eccezione di Ceuta e Melilla, dove la rappresentanza minima iniziale è di un deputato ciascuna. I restanti 248 deputati vengono ripartiti proporzionalmente alla popolazione di ciascuna circoscrizione, utilizzando un meccanismo di quozienti fissi. Il quoziente viene calcolato dividendo il totale della popolazione avente diritto di voto per il numero di deputati rimanente dopo la distribuzione delle quantità minime, ossia 248. Questo quoziente, a sua volta, serve come divisore in ogni circoscrizione. Il numero di quozienti interi ottenuto in ogni circoscrizione corrisponde al numero di deputati in più che essa si aggiudica. Se il totale di numeri interi fosse inferiore ai seggi ancora da distribuire (248), verrebbero utilizzati i decimali più alti ottenuti in ogni quoziente, assegnando a ciascuno di tali decimali un deputato in più. d) La formula elettorale. La funzione che trasforma in seggi i voti ottenuti da ogni candidatura è quella che assegna i seggi ai quozienti più alti ottenuti dividendo i voti totali per una serie di divisori. Il sistema elettorale spagnolo stabilisce che tali divisori corrispondano a una serie numerica che inizia con il numero 1 e finisce con la grandezza numerica della circoscrizione. Questo metodo è comunemente conosciuto come metodo D’Hondt. e) Esiste infine una soglia legale. Le soglie legali sono sbarramenti di voti che i partiti politici devono superare per poter avere accesso alla ripartizione dei seggi. L’obiettivo di questi sbarramenti è impedire l’ingresso nel Congresso ai partiti minoritari. La Legge organica del regime elettorale generale del 1985 stabilisce tale sbarramento al 3% dei voti validi conteggiati in ogni circoscrizione. Vale a dire che tutti i partiti che non raggiungono questa percentuale di voti non potranno accedere alla ripartizione dei seggi della circoscrizione.

Conseguenze positive

Dal 1977 il sistema elettorale spagnolo è stato utilizzato in nove occasioni e, come già segnalato, due sono stati i suoi principali effetti positivi. In primo luogo va evidenziata la formazione di governi durevoli e stabili. La Tabella 1 fornisce informazioni sui diversi tipi di governo ottenuti dopo le differenti tornate elettorali e sulla loro durata.

Il primo elemento da osservare è che i governi, salvo i primi tre, hanno avuto una durata relativamente lunga. La legge elettorale stabilisce che le elezioni si svolgano ogni quattro anni e, se osserviamo la durata dei governi succedutisi dal 1977, vediamo che la loro durata media è stata approssimativamente di quaranta mesi. In altre parole, i governi hanno avuto, in media, una durata superiore ai tre anni. Vanno menzionati a parte i primi tre governi sotto il mandato della Unión de Centro Democrático (UCD). Essi ebbero una durata media di circa venti mesi e furono soggetti a una grave crisi interna al proprio partito, che provocò la formazione di governi diretti da premier differenti. Con l’eccezione di queste tre compagini governative, che possono essere considerate di transizione, i gabinetti formati a partire dall’ottobre 1982 si sono caratterizzati per la loro longevità. La stabilità è un altro elemento che ha caratterizzato i governi a partire dal 1977. Di fatto, la scarsa conflittualità che li ha caratterizzati è stata uno degli elementi fondamentali per comprendere il consolidamento della democrazia in Spagna. In soli trenta anni, la Spagna è passata da un regime dittatoriale ad un sistema democratico il cui funzionamento si può equiparare a quello delle altre democrazie europee. Come si può osservare nella Tabella 1, il sistema elettorale ha permesso la creazione di quattro governi in cui un partito aveva ottenuto la maggioranza assoluta nel Congresso dei deputati, e di cinque governi nei quali il partito vincitore non aveva la maggioranza parlamentare. In questi ultimi casi, occorre segnalare che i governi sono sopravvissuti grazie all’appoggio parlamentare di altre formazioni politiche e che, curiosamente, non si sono prodotti governi di coalizione. L’assenza di coalizioni in circostanze che avrebbero dovuto favorire la loro comparsa è una particolarità del sistema politico spagnolo. Se si osservano i dati di altre democrazie occidentali, e l’Italia è

 

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un buon esempio, si nota che la formula del governo di coalizione, ossia di un gabinetto formato da membri appartenenti a due o più partiti politici, è stata ed è molto frequente. Tuttavia, in Spagna, nonostante si siano prodotte le condizioni favorevoli alla formazione di governi di coalizione, è prevalsa l’idea che dovesse essere il partito vincitore delle elezioni a controllare il governo.

Gli effetti positivi del sistema elettorale non si esauriscono nella stabilità e nella durata dei governi, ma toccano anche il sistema partitico. Il sistema elettorale utilizzato per le elezioni del Congresso dei deputati ha limitato la frammentazione del sistema dei partiti. I noti effetti meccanici e psicologici già enunciati da Maurice Duverger nel 1957 non hanno prodotto oscillazioni importanti nel numero dei partiti, tanto sul piano elettorale che su quello parlamentare. Il Grafico 1 mostra le variazioni nel numero effettivo dei partiti elettorali e parlamentari.1

Per quanto concerne il numero effettivo dei partiti che hanno concorso alle elezioni dall’inizio della democrazia (linea tratteggiata nel Grafico 1), il numero più alto si ebbe proprio nel 1977, nelle prime elezioni, quando i partiti politici non erano ancora certi dell’appoggio che avrebbero ricevuto.

Il numero più basso corrisponde alla tornata elettorale del 2000, quando il sistema dei partiti era ampiamente consolidato; il numero effettivo di partiti che presero parte alle elezioni fu allora di 2,99. In merito alla presenza dei partiti nel Congresso dei deputati (linea

 

1_2008.Rufino.Grafico1

 

continua), il numero più basso si è avuto dopo la travolgente vittoria di Felipe González nell’ottobre del 1982. Il Congresso era allora dominato da 2,32 partiti, ossia due grandi forze delle quali una era il PSOE e l’altra era composta dai diversi partiti all’opposizione. In ogni caso, il numero effettivo dei partiti nel Congresso ha oscillato tra i 2,5 e i 3 dal 1986, il che significa che in Spagna il potere legislativo è stato caratterizzato dalla presenza di due grandi forze, il PSOE e il PP, e di una serie di partiti minori, principalmente nazionalisti e regionalisti, che hanno giocato ruoli importanti in determinati momenti.

Conseguenze negative

Gli effetti positivi determinati dal sistema elettorale spagnolo non sono stati gratuiti. Se la Spagna può contare su governi stabili e duraturi e su un sistema partitico consolidato, ciò avviene al prezzo dell’utilizzo di un sistema elettorale i cui risultati presentano una scarsa proporzionalità e che è caratterizzato dalla mancanza di meccanismi di controllo degli eletti da parte degli elettori.

Il sistema elettorale spagnolo favorisce, infatti, la comparsa di partiti politici sovrarappresentati e di partiti politici sottorappresentati. In altre parole, il Congresso dei deputati non dà un’immagine fedele delle preferenze politiche dei cittadini. Di fatto, se si paragona la percentuale dei voti ottenuti da ciascun partito con la corrispondente percentuale di seggi, si osserva che, degli undici partiti che hanno ottenuto una rappresentanza nelle elezioni del 2004, sette hanno avuto una percentuale di seggi inferiore alla percentuale di voti ottenuti, mentre i quattro rimanenti hanno avuto una percentuale di seggi superiore a quella dei voti conquistati. Di questi sette partiti, solamente uno, Izquierda Unida, merita un’attenzione particolare. I rimanenti sei sono forze politiche di scarso peso a livello nazionale, in quanto concorrono in un numero limitato di circoscrizioni a causa della loro natura nazionalista o regionalista. In questi casi, la differenza tra percentuale di voti e di seggi è molto bassa e praticamente impercettibile. Questo discorso non vale per la formazione di sinistra, Izquierda Unida, che è stata la terza forza nazionale più votata, con il 4,96% dei voti, e tuttavia, una volta ripartiti i seggi al Congresso dei deputati, è divenuta la sesta forza parlamentare. Il sistema elettorale spagnolo premia quindi quei partiti che competono solamente in poche circoscrizioni dove è concentrata la maggior parte del loro elettorato, e penalizza quei partiti di levatura nazionale che hanno forza a livello complessivo, ma non nelle singole circoscrizioni. Da ciò deriva il paradosso che la terza forza politica più votata è la sesta forza in Parlamento. E ciò avviene perché, fondamentalmente, nel 55% delle circoscrizioni vengono eletti fino a un massimo di cinque deputati, il che, unito all’uso di una formula elettorale come quella del metodo D’Hondt, che premia i partiti più votati, produce questo tipo di effetto. Il secondo difetto che è possibile rilevare nel sistema elettorale spagnolo è la rigidità con la quale gli elettori eleggono i propri rappresentanti. Al momento della votazione, l’elettore non vota un candidato specifico, ma una lista chiusa e bloccata di candidati designata in precedenza dal partito politico di riferimento. Con questo sistema l’elettore in realtà esprime una preferenza politica e non sceglie il candidato che ritiene più adatto a rappresentarlo al Congresso dei deputati. Tale sistema di elezione dei deputati in ogni circoscrizione produce almeno due tipi di limitazioni per gli elettori.

In primo luogo, come già detto, limita la libertà dell’elettore di scegliere il candidato preferito, cosicché la sua capacità elettorale si riduce a un’unica dimensione: quella ideologica. In secondo luogo, la mancata possibilità per l’elettore di scegliere la persona che lo rappresenti produce, come più grave conseguenza, l’assenza di meccanismi volti a premiare o punire l’operato di un parlamentare durante il suo mandato. L’elettore non può incolpare uno specifico rappresentante della mala gestione realizzata nel periodo per il quale era stato eletto senza al contempo punire l’intera formazione politica a cui egli appartiene. L’elettore non ha, dunque, la possibilità di punire il cattivo operato politico di un parlamentare e allo stesso tempo di sostenere con il voto la propria opzione politica preferita. Di conseguenza egli può astenersi o votare la seconda forza politica da lui preferita. In altri termini, sarebbe lo stesso sistema elettorale a favorire l’astensione di certi elettori.

Conclusioni

Il sistema elettorale utilizzato per le elezioni del Congresso dei deputati in Spagna è risultato decisivo per l’avanzamento della democrazia. La sua stabilità ha consentito che dal 1977 si formassero governi durevoli e coesi, che sono stati fondamentali per sviluppare i diversi programmi di governo portati a termine nel paese a partire sostanzialmente dal 1982. Il consolidamento di un sistema di partiti basato sull’esistenza di due grandi forze politiche che si alternano al potere è stato l’altro grande successo del sistema elettorale.

La scarsa proporzionalità, che penalizza le formazioni politiche nazionali minori, e l’assenza di meccanismi che permettano ai cittadini di punire i politici irresponsabili, sono le due principali ombre del sistema elettorale spagnolo. Ciò nonostante, le luci sono più numerose delle ombre ed è giusto riconoscere che i grandi passi avanti realizzati dalla Spagna negli ultimi trent’anni sono dovuti, tra altri fattori, all’esistenza di governi forti promossi dall’attuale sistema elettorale.

[1] Il numero effettivo è una media, usata abitualmente negli studi elettorali, che indica il numero dei partiti di eguale forza che esisterebbe data una previa distribuzione di voti, nel caso del numero effettivo di partiti elettorali, o di seggi, nel caso del numero effettivo di partiti parlamentari.