Corpo

Di Andrea Carlino Venerdì 08 Maggio 2009 18:15 Stampa

 

Nel corso degli ultimi decenni, e in modo particolarmente acuto in questi ultimi anni, il corpo, con le sue parti, nelle sue funzioni e disfunzioni, nelle sue diverse forme, generi ed età, è entrato prepotentemente nel campo della politica e, di conseguenza, del diritto.

Nel corso degli ultimi decenni, e in modo particolarmente acuto in questi ultimi anni, il corpo, con le sue parti, nelle sue funzioni e disfunzioni, nelle sue diverse forme, generi ed età, è entrato prepotentemente nel campo della politica e, di conseguenza, del diritto. I dibattiti sui temi dell’aborto e della fecondazione assistita, dei trapianti e delle donazioni di organi, delle cellule staminali e della manipolazione genetica, sino a quelli della morte e dell’eutanasia, costituiscono altrettanti campi su cui si sta giocando, in modo sempre più decisivo, la partita, in realtà antichissima, tra corpo e politica. È in gioco, per dirla con Karl Löwith e Giorgio Agamben,1 la politicizzazione della vita (e, di conseguenza, della morte): da un lato la definizione dei limiti della politica nel regime democratico, dall’altro la definizione dello statuto del corpo come oggetto e come soggetto, quindi dei confini tra persona e società, tra sfera privata e sfera pubblica, tra libertà e controllo all’interno di questo regime. Ci troviamo, insomma, dinanzi all’esplicitazione delle poste in gioco di ciò che si comincia a designare ormai, anche nella stampa quotidiana, con il nome di biopolitica, riadattando, e forse semplificando, una nozione introdotta nella riflessione storica, filosofica e culturale alla fine degli anni Settanta da Michel Foucault.
Per biopolitica Foucault intende il progressivo coinvolgimento della politica, a partire dal XVIII secolo, nel controllo e nella protezione della vita umana nei suoi caratteri biologici e naturali, dunque anatomici, fisiologici, somatici e metabolici.2 È un processo che s’instaura nelle società capitalistiche in Occidente grazie allo sviluppo parallelo delle conoscenze di questo periodo, tanto in medicina e nelle scienze biologiche, quanto nelle scienze sociali (innanzitutto la demografia e l’economia politica), consegnando così alla politica gli strumenti per farsi carico della vita, della “vita nuda” (zoé), come la definisce Agamben. L’idea di un rapporto intenso tra corpo e potere non nasce certo nel XVIII secolo. L’intero corso della storia può essere letto – ed è stato letto – come un susseguirsi di forme di assoggettamento del corpo operato attraverso il disciplinamento, l’addestramento, la sorveglianza, la coercizione, la punizione: una serie di strategie che il potere, politico o religioso, utilizza per il governo del corpo dei sudditi. Se il monastero o l’esercito sono evocati da storici e sociologi come luoghi d’invenzione di modelli disciplinari,3 l’esempio del funzionamento della società di corte – e la corte di Luigi XIV, in particolare – è stato utilizzato da Norbert Elias per mostrare l’efficacia di tali modelli. Ciò lo ha indotto a considerare quanto quello che chiama «il processo di civilizzazione» comporti, in una determinata configurazione sociale, una dinamica in cui il corpo svolge un ruolo essenziale, poiché presuppone, da un lato, l’introiezione nei comportamenti corporali e individuali di norme e codici della vita sociale, e, dall’altro, la delimitazione del monopolio della violenza sui corpi nelle mani dello Stato.4
Ciò che cambia con la biopolitica è l’allargamento della sfera d’azione del potere al di là del disciplinamento, del governo dei comportamenti e del monopolio della violenza corporale; essa investe gli individui in quanto “specie d’entità biologica”, per il loro corpo e per la loro vita, e pertanto – precisa Foucault – prende in considerazione processi come la proporzione delle nascite e dei decessi, i tassi di riproduzione e la fecondità di una popolazione.
In questo passaggio dal governo del corpo disciplinato al governo del corpo biologico, individuale e collettivo, il supporto della medicina e della biologia è stato essenziale, in particolare particolare perché esse fornivano un modello di corpo su cui l’esercizio del biopotere potesse efficacemente effettuarsi: un corpo-oggetto, un corpo, per così dire, svuotato dell’identità della persona che lo abitava, il corpo della “vita nuda”. Questo modello di corpo, che affonda le sue radici nel dualismo cartesiano e nella filosofia meccanicista, ha dominato la cosmologia della medicina nel corso degli ultimi due secoli 5 e l’oggettivazione del corpo, la rimozione progressiva dell’umano – come ha scritto George Canguilhem – è senz’altro stata una delle condizioni che ne hanno consentito la folgorante evoluzione di cui siamo ancora oggi testimoni. Grazie a questo modello, il potere politico si occupa e si preoccupa del benessere della popolazione e dei corpi che la compongono, ne misura lo stato di salute e fornisce gli strumenti per preservarla. Si cura di loro, al tempo stesso li controlla e, in un certo senso, paradossalmente li mortifica.

 

 



[1] G. Agamben, Homo sacer. Potere sovrano e nuda vita, Einaudi, Torino 1995.

[2] Nelle opere di Foucault “biopolitica” appare per la prima volta in un testo sulla nascita della medicina sociale del 1974 (M. Foucault, Dits et écrits (1954-1988), Gallimard, Parigi 1994, vol. 3, pp. 207-28) ed è poi sviluppato negli anni successivi in diverse opere, saggi e corsi. Si segnalano dello stesso autore: La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano 1978; Les mailles du pouvoir, in Foucault, Dits et écrits cit., vol. 4, pp. 182-94.

[3] B. S. Turner, The Rationalization of the Body: Reflections on Modernity and Discipline, in S. Lash, S. Whimster (a cura di), Max Weber, Rationality and Modernity, Allen & Unwin, Londra 1987.

[4] N. Elias, Il processo di civilizzazione, Il Mulino, Bologna 1988; Elias, La società di corte, Il Mulino, Bologna 1980; Elias, On transformation of aggressiveness, in “Theory and Society”, 5/1978.

[5] N. D. Jewson, The Disappearance of the Sick Man from Medical Cosmology, in “Sociology”, 10/1976, pp. 225-44.