Tecnologie energetiche per uno sviluppo sostenibile: il ruolo delle fonti rinnovabili

Di Leonardo Maugeri e Ugo Romano Giovedì 28 Febbraio 2008 23:11 Stampa

Le fonti fossili coprono oltre l’80% dei consumi di energia primaria del mondo e sono in grado di offrire enormi quantità di energia a prezzi relativamente contenuti. Per questo appaiono difficilmente sostituibili. Le fonti rinnovabili, che rappresentano la vera grande sfida del futuro, presentano lo svantaggio di avere una bassa densità di energia, di essere discontinue e collocate in aree lontane dai bacini di utenza. L’obiettivo di un’economia a minor contenuto di carbonio è possibile, ma richiederà molto tempo e costi elevati. Occorre una sorta di piano mondiale per la ricerca scientifica e tecnologica che permetta di rendere le nuove fonti di energia realmente alternative alle fossili nel medio-lungo periodo. Nel breve periodo, non possiamo che optare per una scelta netta in favore dell’efficienza e del risparmio di energia, associati a tecnologie che abbattano la carica inquinante delle fossili.

Lo scenario che si prospetta nell’evoluzione del sistema economico mondiale è dominato da una costante crescita della domanda di energia. Tutti i settori ne sono, in modo diretto o indiretto, condizionati: dalla generazione di energia elettrica ai trasporti, dal consumo domestico alla produzione di beni e servizi. Ovviamente il fenomeno si presenta sotto aspetti estremamente differenziati in funzione delle condizioni locali, vuoi che si tratti di aree industrializzate mature o di aree a elevato tasso di sviluppo o, piuttosto, di economie emergenti. Tuttavia, pur nell’articolazione dei differenti problemi, si possono individuare due fattori dominanti: a) rendere disponibili ai mercati finali quantità sempre crescenti di risorse; b) operare in linea con la forte richiesta di sostenibilità complessiva. L’attuale fabbisogno energetico mondiale, che ammonta a 13,8 TWh, è in larga misura (per oltre l’80%) fornito dai combustibili fossili quali pe- trolio, carbone e gas naturale. L’industrializzazione dei paesi emergenti e l’incremento demografico spingeranno tale fabbisogno attorno ai 25 TWh nel 2050. Per contrastare gli effetti climatici indotti dall’immissione nell’atmosfera del corrispondente quantitativo di gas serra, ma anche per evitare un insostenibile problema ambientale, gran parte dei più di 10 TWh aggiuntivi dovranno essere prodotti ricorrendo alle fonti energetiche rinnovabili: questa è la grande sfida dei TWh che investirà le generazioni future.

Allo stato attuale i consumi energetici sono pressoché equamente suddivisi fra trasporti, produzione di energia elettrica e calore impiegato per rispondere alle necessità industriali e domestiche. In questo quadro le “rinnovabili” potranno avere un impatto diretto sia sulla produzione di energia elettrica, sia sul settore dei trasporti – anche se con prospettive più limitate. Viceversa, il fabbisogno di calore per i processi industriali – tipicamente ad alta temperatura – non potrà essere agevolmente ed economicamente fornito da fonti rinnovabili: queste potranno invece contribuire al riscaldamento civile, riducendo il fabbisogno di combustibili fossili. Di seguito verrà tracciato un quadro di massima in termini attuali ed evolutivi delle tecnologie basate sulle fonti rinnovabili. Di ognuna verranno definiti il grado di maturità e, per quelle ancora in via di sviluppo, verranno evidenziate le prospettive di dispiegamento nell’arco temporale considerato.

Sviluppatosi fin dall’antichità, lo sfruttamento dell’energia idraulica ha visto i primi grandi impianti per la generazione elettrica svilupparsi nella seconda metà dell’Ottocento. Nel secolo scorso l’accesso alle reti di trasmissione ha permesso alle unità idroelettriche di sfruttare appieno le economie di scala. Gli impianti di generazione, ad acqua fluente o a serbatoio, sfruttano salti d’acqua che vanno da pochi a parecchie centinaia di metri e impiegano macchine idrauliche che, nelle installazioni di maggior potenzialità, possono superare il 90% di efficienza. La maggior parte delle realizzazioni sono state appoggiate dai governi, che attraverso la realizzazione di dighe puntavano al controllo delle riserve, alla gestione dei flussi idrici e alla produzione di energia. Con gli anni Settanta, la maggior parte dei siti nei paesi industrializzati è stata sfruttata e lo sviluppo dei rimanenti rimaneva difficile per problemi di uso del territorio e accesso alle ri- sorse. Di conseguenza l’attenzione si è spostata su impianti di piccola scala, il cui sviluppo è stato favorito dai processi di liberalizzazione del settore elettrico. Allo stesso tempo, nuove esigenze di mantenimento di un livello minimo dei flussi idrici hanno non solo ridotto le opportunità per la realizzazione di nuovi impianti, ma anche lo sfruttamento di quelli esistenti. Molte politiche locali sono oggi dirette all’uso ottimale degli attuali impianti o allo sviluppo di moduli di piccola taglia. Le tecnologie associate allo sfruttamento dell’energia idraulica sono mature e si intravedono solo miglioramenti incrementali, con qualche margine in più per i piccoli impianti inferiori ai 10 MWe.

Lo sfruttamento dell’energia eolica per la produzione di elettricità avviene attraverso turbine eoliche collegate ad un generatore elettrico. La tecnologia delle turbine eoliche è considerata matura e passibile solo di miglioramenti incrementali. Anche le caratteristiche tecniche dei prodotti si vanno uniformando. Sebbene siano state sviluppate anche macchine con asse verticale, le macchine ad asse orizzontale si sono largamente affermate e assestate sulla soluzione a tre pale, con tutta l’elettronica di controllo, sicurezza e conversione meccanica/ elettrica all’interno della navicella che sostiene il rotore. L’evoluzione tecnologica ha portato all’introduzione di pale a passo variabile, di materiali più resistenti e leggeri e di sistemi capaci di far funzionare le macchine a velocità variabile, ma lo sviluppo più evidente delle turbine eoliche ha riguardato le loro dimensioni: dai 10 metri di diametro dei rotori degli anni Settanta si è arrivati agli oltre 100 metri attuali, con un incremento della potenza istallata da 20-30 KWe a 3-5 MWe. È ormai difficile individuare una tendenza decrescente nei costi specifici degli aeromotori all’aumentare della loro potenza. Pertanto, è lecito chiedersi fino a quando la tendenza all’incremento delle potenze unitarie delle macchine possa continuare, per lo meno al ritmo con cui si è manifestata in passato. In effetti, l’impegno sembra essere maggiormente concentrato sul miglioramento qualitativo delle macchine, in termini soprattutto di prestazioni e di affidabilità, più che sull’incremento delle loro dimensioni. Una spinta significativa può derivare solo dalle prospettive di sviluppo di campi eolici in aree marine, dove il costo delle fondazioni giustifica macchine più grandi, anche se più costose. Questo tipo di ap- plicazioni, sebbene siano tecnicamente più difficili, sono ritenute il futuro del settore, grazie ai ridotti vincoli ambientali e alle più favorevoli condizioni operative.

Le centrali di potenza a energia solare basate su cicli termodinamici non dissimili da quelli che sfruttano fonti fossili prevedono sistemi di concentrazione che si possono ricondurre a tre tipologie fondamentali: collettori lineari, caldaia solare su torre e campo di eliostati, concentratore paraboloide discoidale. La prima è quella che ha avuto un successo commerciale già consolidato. La sostituzione del fluido termovettore (olio diatermico) con sali fusi – che consentirebbero l’adozione di temperature di esercizio più elevate e maggiori possibilità di accumulo – è la linea di sviluppo più accreditata. Le centrali a torre sono la tecnologia più promettente per impianti di grande taglia, consentendo il raggiungimento di elevati rendimenti di conversione. Il concentratore paraboloide si presta ad applicazioni remote di piccola taglia ed è caratterizzato dai valori più elevati di efficienza.

Nei primi anni Ottanta si è avuto un notevole sviluppo di centrali solari termodinamiche. Attualmente sono in fase di studio e di realizzazione una serie di nuovi impianti, molti dei quali, per abbattere gli elevati costi di generazione, abbinano i collettori solari a centrali termoelettriche convenzionali. Si ottengono così rendimenti di conversione più elevati e si minimizzano le problematiche relative alla discontinuità della fonte energetica. La tendenza prevalente è verso il miglioramento dei sistemi sia sotto il profilo del trasferimento di energia (migliori materiali riflettenti per gli specchi), sia con la creazione di un accumulo energetico in grado di gestire la fluttuazione della domanda elettrica della rete. Per gli impianti a torre si intravede nel lungo termine la possibilità di produrre idrogeno dall’acqua per via termochimica. Anche se nel breve termine l’integrazione con sistemi di generazione elettrica alimentati da fonti fossili costituisce la via più promettente, l’obiettivo tecnologico ultimo resta quello di rendere questi impianti capaci di produrre energia elettrica con continuità e senza alcuna ibridazione con altre tecnologie.

Accanto al solare a concentrazione c’è poi il capitolo del solare fotovoltaico. Una cella fotovoltaica è un dispositivo costituito da materiali semiconduttori in grado di convertire la luce solare inci- dente in energia elettrica. L’intensità di corrente continua generata è funzione della quantità di luce incidente, delle caratteristiche geometriche e costruttive della cella, dei materiali che la costituiscono. L’attuale mercato è dominato da celle a silicio, mono e poli cristallino, caratterizzate da buona efficienza (15%) ed elevata stabilità. Nel campo dei film sottili, a cui compete una quota marginale, è ancora il silicio a prevalere nonostante le ricerche su nuovi materiali e processi: celle basate su rame- selenio, indio-gallio e cadmio-tellurio hanno ancora un mercato marginale. Ci si attende che le celle a film sottile possano comunque conseguire significative riduzioni del costo di produzione e migliori prestazioni.

La soluzione fotovoltaica si colloca tipicamente nel settore delle piccole taglie, da poche decine di We a qualche MWe, e consente applicazioni anche in condizioni di media insolazione. L’obiettivo primario è la riduzione dei costi e l’aumento dell’efficienza, operando sia sui moduli sia sull’impianto, poiché ancora oggi la combinazione tra i due fattori determina un forte svantaggio per il fotovoltaico rispetto alle fonti di energia tradizionali. La ricerca è volta a sviluppare nuovi materiali a basso costo e nuovi dispositivi, a concentrazione e a multigiunzione, con livelli di efficienza anche superiori al 30%. Importanti innovazioni nel settore fotovoltaico si possono attendere dall’impiego delle nanotecnologie e dall’utilizzo di materiali plastici il cui vantaggio risiede nel basso costo e nella prospettiva di produzione in serie.

Tra tutte le vie perseguibili per lo sfruttamento delle biomasse vegetali, la conversione termochimica con produzione di energia elettrica è quella che presenta attualmente le caratteristiche migliori per una diffusione nel breve-medio termine. Le materie prime impiegabili possono essere di natura molto diversa: a) colture dedicate di tipo arboreo, arbustivo o erbaceo; b) materiale derivante dalle diverse fasi produttive del settore forestale; c) residui e scarti della produzione agricola e della lavorazione agroindustriale; d) frazioni organiche dei rifiuti civili.

Gli alti costi specifici degli impianti a biomassa, unitamente alle potenze necessariamente limitate, condizionate dalle dimensioni del bacino di raccolta, suggeriscono l’adozione di soluzioni ibride in cui la fonte rinnovabile si affianca a quella fossile convenzionale, con una quota che può raggiungere su base energetica fino al 15-20% del fabbisogno totale. La tendenza evolutiva è nella direzione di alimentare quote crescenti di biomassa. Più lontana dallo stadio di applicazione commerciale è la tecnologia di gassificazione, in cui la biomassa è preliminarmente trasformata in gas di sintesi a potere calorifico medio/basso.

Tra gli impegni energetici delle biomasse tende ad assumere rilievo la produzione di biocarburanti per il settore dei trasporti, utilizzando processi di tipo biologico e chimico: fermentazione alcolica per il bioetanolo, conversione degli oli vegetali per il biodiesel. Per alimentare tali processi sono impiegate piante espressamente coltivate allo scopo: oleaginose, canna da zucchero, cereali. Si stanno però sviluppando soluzioni alternative, con minore impatto sul settore alimentare, processi di seconda generazione che utilizzano biomasse di tipo lignocellulosico o da microrganismi (alghe, batteri).

Gli impianti geotermici sfruttano invece l’energia termica del sottosuolo, cui si accede tramite appositi pozzi che producono acqua allo stato liquido o di vapore. La tecnologia più antica per convertire l’energia geotermica in energia elettrica prevede l’uso diretto in turbina del fluido prelevato dal sottosuolo: ciò presuppone che si tratti già di vapore ad alta temperatura (maggiore di circa 200 °C). Il tipo di sorgente geotermica più comune, in realtà, produce acqua a temperatura relativamente moderata (sotto i 200 °C) e in questo caso il fluido geotermico viene utilizzato per far evaporare un fluido di lavoro che, rimanendo segregato in un circuito chiuso, minimizza l’impatto ambientale. Le taglie delle sezioni di potenza vanno tipicamente dai 20 ai 60 MWe. A causa delle ridotte temperature in gioco, la loro efficienza è molto contenuta (8-10%), anche se in condizioni cogenerative (cioè quando è possibile utilizzare il calore di scarto), l’efficienza energetica globale può superare il 95%. L’evoluzione tecnologica prevista riguarda soprattutto le tecniche di coltivazione dei campi geotermici e l’ottimizzazione delle sezioni di potenza. Una nuova tecnologia che potrebbe contribuire all’espansione della geotermia nei prossimi decenni, detta “Hot Dry Rock” (HDR), o Enhanced Geothermal Systems (EGS), prevede di sfruttare formazioni rocciose calde a grande profondità in cui iniettare acqua in pressione, per estrarla poi a temperatura più elevata e utilizzarne il contenuto energetico acquisito.

Grande attenzione è stata dedicata anche alla prospettiva di estrarre energia dal mare, attingendo dalle correnti marine o di marea, dal moto ondoso, dal gradiente termico verticale e dal gradiente di salinità. L’unica tecnologia matura è quella che sfrutta le correnti di marea provocate da uno sbarramento costiero. La combinazione di costi elevati, sensibile impatto ambientale e bassi fattori di carico rendono in realtà questa via un’opzione con poche prospettive di sviluppo. La possibilità di sfruttare le correnti marine con turbine idrauliche è stata considerata solo di recente. Essa sembra presentare rischi tecnici inferiori allo sfruttamento del moto ondoso e potrebbe essere sviluppata più velocemente. Oggi si è allo stadio dimostrativo, con impianti di potenza compresa tra pochi KWe e qualche centinaio di KWe. Le potenzialità del moto ondoso sono state dimostrate con successo in diversi impianti sperimentali posti lungo le coste, l’ambiente che risulta tecnicamente più favorevole a questo tipo di applicazioni. Sono attesi sviluppi volti alla dimostrazione di fattibilità e convenienza economica di impianti di grande capacità. La tecnologia che punta a sfruttare con cicli termodinamici il gradiente di temperatura esistente tra la superficie del mare e le sue profondità (Ocean Thermal Energy Conversion), è potenzialmente quella che potrebbe fornire la maggior quantità di energia, ma essa pone problematiche particolarmente difficoltose, legate alle grandi dimensioni e alla bassa efficienza degli impianti.

Stime molto ottimistiche sull’incremento dell’impiego di fonti rinnovabili a livello mondiale sono fornite dallo European Renewable Energy Council, che nel suo “Advanced International Policy Scenario” attribuisce loro una capacità produttiva complessiva nel settore elettrico di 4377 TWh nel 2010 e di 8901 TWh nel 2020, con eolico e fotovoltaico che mostrano i maggiori tassi di crescita. In effetti, esistono diverse valutazioni che prevedono per questi due settori spazi molto più importanti di quelli che risulterebbero dalle elaborazioni della International Energy Agency (IEA). In particolare, lo scenario “Wind Force 12” stima possibile soddisfare con energia eolica il 12% della domanda mondiale di elettricità prevista al 2020, raggiungendo una potenza installata di oltre 1.200 GWe. Nel caso del fotovoltaico, le previsioni al 2020 più ottimi- stiche sono di una potenza installata di moduli fotovoltaici nel mondo di oltre 200 GWe.

In Europa è stato recentemente approvato un documento che comporta un obiettivo di utilizzo complessivo, su tutti gli usi finali, di fonti rinnovabili del 20% entro il 2020. Ma questo obiettivo appare difficilmente raggiungibile. Per la maggior parte delle fonti rinnovabili non ci si aspetta che si possa raggiungere la convenienza economica nel medio termine rispetto alle fonti fossili e, in assenza di misure volte alla diminuzione delle emissioni, è difficile pensare ad una loro diffusione su ampia scala, anche se sensibili riduzioni di costo potranno verificarsi per quelle tecnologie ancora in fase di sviluppo. Nel settore fotovoltaico, in particolare, alcuni studi stimano possibili riduzioni di costo dei moduli anche del 50% in dieci anni. Nel caso degli impianti eolici, per i quali si è già verificata una forte diminuzione di costi, data l’ormai raggiunta maturità della tecnologia, ci si potrebbe già trovare in breve tempo in condizioni di competitività, anche in assenza di incentivi economici.

Molto spesso le fonti rinnovabili sono viste come una via per garantire, oltre ad una maggiore indipendenza energetica, anche la possibilità di una più efficace salvaguardia ambientale, conseguenza in primo luogo dell’assenza di emissioni di CO2 e altri inquinanti. Gli impianti per la generazione di energia da fonti rinnovabili non sono in realtà esenti da potenziali impatti negativi sull’ambiente, anche se spesso inferiori o trascurabili rispetto a quelli evitati. Di fatto esiste una correlazione diretta tra introduzione e allargamento di politiche a favore dell’ambiente e utilizzo di fonti rinnovabili. A questo punto qualche considerazione si impone sulla prospettiva che il largo ricorso alle rinnovabili avvii una fase di sviluppo globale sostenibile. L’ultima grande transizione energetica, che prese corpo tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento con la diffusione su larga scala del carbone, del petrolio e del gas naturale, ebbe successo perché rese disponibili fonti di energia capaci di soppiantare in termini quantitativi e qualitativi quelle precedenti (prevalentemente le biomasse). Il problema principale che avremo di fronte in questo secolo è proprio questo. Con l’eccezione del nucleare, le alternative a petrolio, carbone e gas naturale hanno una scarsa densità energetica, e quindi sono in grado di produrre quantità di energia limitate. In parte, si tratta di un problema tecnologico, poiché ancora non siamo in grado di sfruttare appieno quelle fonti, così come non siamo in grado di accumulare su larga scala l’energia elettrica che possono produrre. Il problema della quantità di energia prescinde dal costo specifico delle alternative alle fonti fossili. Anche assumendo infatti che la società sia disponibile a farsi carico del loro maggior costo, per ragioni di sostenibilità, il problema di fondo rimane: le quantità di energia che oggi possono fornirci sono relativamente modeste. Sicuramente non sono in grado di rispondere ai bisogni dei prossimi due decenni. Come conseguenza della disparità nella densità energetica rispetto alle fonti fossili, le rinnovabili presentano un problema anche di densità di potenza (metri quadri di territorio necessari a produrre la stessa quantità di energia). La superficie occupata per produrre energia da biomasse è fino a mille volte maggiore della superficie necessaria per produrre la stessa quantità di energia da fonti fossili. Lo stesso vale per l’energia elettrica prodotta da fonte idraulica, eolica o fotovoltaica. Se l’energia solare copre oggi lo 0,4 ‰ dei consumi mondiali di energia primaria non è solo perché non si è ancora riusciti a portarla a un livello di economicità tale da renderla conveniente. Il vero limite è che le tecnologie di cui disponiamo ci permettono di sfruttare solo una frazione minima dell’energia del sole e sono comunque condizionate dalla discontinuità del soleggiamento. Per produrre quantità significative di energia elettrica occorrono spazi enormi: una centrale da 500 MW a gas naturale richiede 6 ettari di terreno; una a solare fotovoltaico richiederebbe in zone a insolazione favorevole 600-1.000 ettari. Per la stessa ragione, per installare 1 solo KW a solare occorrono mediamente circa 8 mq di pannelli solari. Tutto questo rende improponibile pensare che l’energia solare possa contribuire a risolvere per i primi tre decenni di questo secolo la difficile equazione tra energia e ambiente che abbiamo di fronte.

Un discorso analogo vale per l’energia eolica, che nel mondo copre meno dello 0,1% dei consumi primari di energia e lo 0,6% della produzione di elettricità. Oggi in termini di costo è più conveniente di quella solare e sta attraversando un boom mondiale che sembra far ben sperare. Ma il vento – come il sole – è una fonte intermittente di energia, che può mancare quando l’elettricità serve; le zone caratterizzate da venti regolari compatibili con il funzionamento di una turbina eolica sono in molti casi non adatte a installazioni eoliche. Inoltre, gli impianti con rotori di diametro superiore ai 100 m possono alimentare generatori con potenza massima di pochi MW, e devono essere molto distanziati tra loro, per evitare che ogni impianto si interfacci con il successivo (tra due generatori da 2 MW è necessaria una distanza “di rispetto” compresa tra 300 e 800 m). Ne consegue che è necessario costruire parchi eolici con centinaia di impianti lungo distese di molte decine di km, con le inevitabili conseguenze di impatto visivo, interferenze elettromagnetiche, inquinamento acustico. Tutti questi problemi costituiscono un limite oggettivo alla possibilità dell’energia eolica di incidere in maniera adeguata sul mix dei consumi energetici mondiali.

Altre fonti di energia più pulita di quella fossile, da quella delle maree alla geotermia, sono lontanissime dal poter offrire un contributo significativo al paniere energetico mondiale. Oggi nel loro complesso contribuiscono solo per lo 0,4% ai consumi di energia primaria del mondo, e non si intravedono possibilità di sviluppo apprezzabile nel medio termine. Le biomasse che il mondo consuma oggi in maniera massiccia (10% dei consumi di energia primaria) sono costituite per la gran parte (70%) da residui vegetali, ovvero materie prime relativamente sporche, tipiche di popolazioni povere.

La frontiera più avanzata delle biomasse, i biocarburanti, sta, sì, registrando un grande sviluppo, ma con tante ombre e nubi che si stagliano all’orizzonte. Utilizzando colture tradizionali, occorrono enormi spazi coltivati per ottenere quantità modeste di biocarburanti, poiché il rendimento della fotosintesi è molto basso (0,3%) e la densità energetica di qualsiasi vegetale molto modesta. Inoltre, un impiego massiccio di fertilizzanti e acqua renderebbe lo sviluppo su larga scala di carburanti biologici problematico sotto il profilo della sostenibilità ambientale. Infine, la concorrenza dei biocarburanti con gli usi agroalimentari dei terreni e delle colture avrebbe un effetto potenzialmente devastante sui costi di tanti generi alimentari, peggiorando le condizioni già precarie delle fasce più povere della popolazione mondiale.

Oltre a presentare problemi di materialità, necessità di grandi superfici, accettabilità sociale, eco- nomicità e intermittenza, molte fonti di energia rinnovabile sono disponibili principalmente in aree lontane dai grandi centri di consumo. Anche l’energia idroelettrica, che appare come l’alternativa più economica, non gode di buona salute. La costruzione di grandi dighe è ormai sotto accusa in molte aree del pianeta per motivi ambientali e sociali. I nuovi progetti si concretizzano in paesi in via di sviluppo, prevalentemente in Cina e America Latina, non senza proteste diffuse da parte delle popolazioni e di associazioni internazionali ambientaliste e di tutela dei diritti umani. Al contempo, siccità e pioggia insufficiente minano la produttività di molti impianti esistenti. Inoltre, molta parte del potenziale idroelettrico disponibile nel mondo non è effettivamente sfruttabile, poiché si concentra in aree troppo distanti dai centri di consumo. Per le ragioni esposte, anche l’energia idroelettrica, pulita e tecnicamente rinnovabile, continua a veder restringere la sua quota della produzione elettrica mondiale (dal 20% degli anni Ottanta al 16% del 2005). Molti si concentrano sugli aspetti mediatici di progetti di piccola scala – alcuni dei quali di successo – senza preoccuparsi di capire che, nella maggior parte dei casi, ciò che può andar bene per il singolo non costituisce una soluzione per i problemi collettivi. Quello che tra gli economisti, cioè, si chiama errore di composizione. Tante volte, infatti, si pubblicizzano esempi significativi ma fuorvianti se non inseriti in una prospettiva più ampia. Naturalmente, la descrizione di questi esempi tralascia sempre di dire quanta energia, quanto spazio o materia prima sarebbe necessaria per replicare su vasta scala il singolo progetto, così come tralascia di parlare dei suoi costi effettivi, dei sussidi che lo hanno reso possibile e degli impatti ambientali dell’intero ciclo di vita dei combustibili alternativi. Per ragioni oggettive, i problemi energetici del nostro futuro prossimo sono enormi. I motori che spingono in alto la domanda mondiale di energia sono la crescita demografica e lo sviluppo economico: la prima è difficilmente comprimibile, il secondo un fattore di per sé positivo, per cui è quasi impossibile porre un freno alla domanda di nuova energia che essi determineranno. Nondimeno, i problemi di cui soffre il nostro pianeta ci impongono di affrontare con serietà e scelte coerenti la sfida di una transizione capace di “disinquinare” l’energia che consumiamo.