Roberto Saviano, Gomorra. Viaggio nell'impero economico e nel sogno di dominio della camorra

Di Antonio Menniti Ippolito Giovedì 09 Ottobre 2008 18:59 Stampa
I mesi mediocri seguiti alle elezioni del 2008 sono stati dominati dal dibattito sul tema della sicurezza. Il governo s’è impegnato e continuamente s’arrovella per trovare le soluzioni per restituire tranquillità ai cittadini che soffrono o che comunque sembrano percepire (o cui viene fatto percepire) – l’allarme criminalità. Le esibizioni muscolari dei nostri ministri sono tuttavia rivolte contro la piccola delinquenza – e anche questa certo è un’esigenza – più che verso il crimine organizzato che controlla ampie aree del paese. Perché questo avviene?

I mesi mediocri seguiti alle elezioni del 2008 sono stati dominati dal dibattito sul tema della sicurezza. Il governo s’è impegnato e continuamente s’arrovella per trovare le soluzioni per restituire tranquillità ai cittadini che soffrono – o che comunque sembrano percepire (o cui viene fatto percepire) – l’allarme criminalità. Le esibizioni muscolari dei nostri ministri sono tuttavia rivolte contro la piccola delinquenza – e anche questa certo è un’esigenza – più che verso il crimine organizzato che controlla ampie aree del paese. Perché questo avviene? Pensando in positivo, perché magistratura e forze dell’ordine stanno accumulando contro la grande criminalità significativi successi, in Sicilia e in Campania, frutto di un impegno lungo, costante e intelligente, non assoggettabile alle esigenze di comunicazione immediata della nuova compagine governativa. All’opposto, verrebbe da pensare, per limitarci a poco o nulla – ma i dietrologi di professione potrebbero scatenarsi con altro – che la lotta al piccolo delinquente potrebbe risultare meno impegnativa della lotta a potenti, feroci clan criminali organizzati.

Leggendo “Gomorra” poco dopo la sua pubblicazione, chi scrive si chiedeva, sedotto dalla forza descrittiva dell’autore e colpito, soprattutto, dal contenuto della sua narrazione, se tutto ciò sarebbe riuscito a generare scandalo, a creare una reazione, a destare la sensazione di una grande emergenza. Cosa c’è infatti di più brutto del mondo descritto da Saviano nel libro? Di questo panorama umano dominato non solo dal sopruso e dalla violenza, ma da una cultura diffusa, da modelli di comportamento che sembrano renderla, all’interno di determinati contesti umani, ineluttabile, di fatto naturale? Cosa più terribile delle conseguenze di ciò: aree intere del paese sequestrate dai violenti, vite e speranze uccise, territori devastati? Cosa c’è di più inquietante di vederci svelata una forza finanziaria derivante dal malaffare capace di condizionare l’intera economia non solo di una nazione?

Saviano non è stato naturalmente il primo a toccare questi temi. Altri prima di lui lo hanno fatto senza però sollevare lo stesso clamore. Quali sono i suoi meriti? Anzitutto la sua capacità di scrittura. Le sue pagine sono forti e trascinanti e la sua abilità narrativa riesce a trasformare freddi dati di cronaca in un racconto che diviene impossibile abbandonare. Ma Saviano ha soprattutto un pregio: malgrado la tinta del romanzo che caratterizza soprattutto alcune parti del suo reportage, riesce nello sforzo di trattare di temi orribili senza con ciò cadere nel rischio di rendere affascinanti, quasi seducenti quelle tragedie e quei mostri umani, così come invece spesso, se non quasi sempre, avviene. Nelle pagine di Saviano il Sistema è violento, pervasivo, tragico ed è pure una realtà squallida, triste. Pochi, si crede o almeno si spera, possono anelare di identificarsi con personalità di boss dalle caratteristiche descritte da Saviano (Ciccio di Mezzanotte non diviene, insomma, un don Vito Corleone); ancor meno dovrebbero desiderare di vivere in ville bunker sfacciatamente pacchiane. Il Sistema è potente, radicato, ma squallido. I capi della struttura, ci spiega l’autore, muoiono quasi tutti ammazzati o in galera; i soldati semplici vivono consapevoli di una fine sempre vicina e interrogandosi sul modo migliore per morire: meglio un proiettile in testa o nel cuore? Insomma, in un certo senso anche il Sistema è vittima del Sistema, e però la sua struttura è forte.

Potere forte, e quanto lo sia è anche difficile immaginare, e però – e questa è un’altra nota che caratterizza la ricostruzione di Saviano – combattuto e pure con certa efficacia. L’autore non crea teoremi: descrive una realtà, nella quale, alla ferocia dei clan comunque si contrappone una società civile, di cui egli stesso è espressione, che attraverso uomini delle istituzioni locali onesti e coraggiosi, sacerdoti, cittadini, si muove, agisce, contrasta per quanto possibile l’illegalità. Ancora, descrive un quadro più che difficile, che vede però agire magistrati capaci, e dove le forze dell’ordine cercano di fare il possibile per contrastare il fenomeno, in una lotta quotidiana tesa a sottrarre spazio fisico alle forze del malaffare. Neppure – questo potrebbe destare sorpresa in chi è abituato ad esempio a ricostruzioni del fenomeno mafioso imperniate sul teorema centrato sul legame mafia-politica – Saviano ipotizza analoghe contiguità improprie e protezioni. Fornisce dati impressionanti sul numero delle amministrazioni locali sciolte per infiltrazioni criminali, ma non insiste sui livelli occulti e pare considerarlo l’effetto di un controllo sul territorio: delinea invece, come accennato, alcune figure straordinarie di amministratori locali.

Saviano accompagna, insomma, il lettore in una discesa agli inferi e ha il merito di aver fatto conoscere tutto questo a moltissimi, generando sdegno e in misura equivalente sorpresa, ma anche delineando scenari criminosi assai vasti, non limitati a specifiche aree meridionali, e per di più neppure, e forse in buona parte, circoscrivibili ad una sfera di attività esplicitamente sporche. Saviano ci parla anzi dell’aspirazione manageriale degli appartenenti al Sistema, ci dice di masse incredibili di denaro che finiscono col finanziare un po’ tutto. E qui sarebbe davvero importante saperne di più. La camorra si presenta nelle sue aree sotto forma di forza violenta, ma altrove si insinua nelle attività economiche pulite, e, stando a Saviano, i suoi investimenti hanno successo anche per specifiche capacità professionali. A quanto ammontano questi investimenti? Che effetti hanno sull’economia non solo italiana? Quale forza supplementare queste ingentissime sostanze garantiscono al potere criminale che le controlla? Ma ancora, è credibile, come egli afferma, che il cartello dei Casalesi abbia un ruolo leader nel commercio mondiale delle armi e sia in grado di fornirle ad interi eserciti? A tutto ciò – che è il cuore del problema – Saviano può solo, purtroppo, dedicare generici cenni, e tutti noi dovremmo pretendere di sapere di più.

E ritorniamo al tema di prima. Malgrado gli sforzi di Saviano, questo libro ha sì attirato l’attenzione su un fenomeno gravissimo, ha sì sensibilizzato una moltitudine di lettori non solo italiani, ma non ha creato lo spirito di emergenza che avrebbe dovuto generare. Inchieste giudiziarie in corso sembrano rivelare contiguità politiche che non sembrano provocare scandalo; nell’affrontare la gravissima questione rifiuti in Campania pochi, e tra questi Saviano già in “Gomorra”, hanno ricordato come ad essa abbiano contribuito anche gli interessi del Sistema, cui evidentemente, insieme alle discariche, pure occorrerebbe provvedere. Cercare di escludere i clan dalla costruzione e gestione di discariche e inceneritori dovrebbe essere una priorità, un’esigenza assoluta, ma non pare però che di ciò si parli come si dovrebbe.

Di questa ancora insufficiente reazione Saviano non può certo essere considerato responsabile. Non è colpa sua se la politica di sicurezza del governo pare seguire obiettivi più limitati; non ha responsabilità se le grandi case di moda sembrano continuare ad utilizzare la capacità produttiva dei clan camorristici nel territorio napoletano e casertano o se le ditte edili controllate dai Casalesi conquistano ovunque gli appalti. Tutto quello che è utile, che fa comodo, che costa meno è buono, qualsiasi natura e provenienza esso abbia. Questo principio, nei tempi che viviamo, sembra essersi radicato fortemente. Ed ecco la consapevolezza di un’altra emergenza da combattere.

Antonio Menniti Ippolito