La concentrazione demoscopica

Di Alessandro Amadori Lunedì 02 Settembre 2002 02:00 Stampa

I sondaggi di opinione fanno parte del più ampio ambito, economico e metodologico, delle ricerche di mercato e demoscopiche. Si tratta di un mercato piuttosto limitato in Italia, il cui valore totale non supera i 500 milioni di euro (solo per fare un esempio, in Francia per sondaggi e ricerche si spende più del doppio). I maggiori istituti italiani di ricerche di mercato sono una cinquantina, quelli comunque significativi sono in tutto un centinaio, ma di essi all’incirca una decina si occupa anche di ricerche politiche e di sondaggi elettorali. Nel 2001, gli investimenti nelle ricerche di mercato in Italia, come segnala ASSIRM (uno fra i principali operatori del settore), sono andati parzialmente in controtendenza rispetto alla diminuzione dei budget pubblicitari.

I sondaggi di opinione fanno parte del più ampio ambito, economico e metodologico, delle ricerche di mercato e demoscopiche. Si tratta di un mercato piuttosto limitato in Italia, il cui valore totale non supera i 500 milioni di euro (solo per fare un esempio, in Francia per sondaggi e ricerche si spende più del doppio). I maggiori istituti italiani di ricerche di mercato sono una cinquantina, quelli comunque significativi sono in tutto un centinaio, ma di essi all’incirca una decina si occupa anche di ricerche politiche e di sondaggi elettorali. Nel 2001, gli investimenti nelle ricerche di mercato in Italia, come segnala ASSIRM (uno fra i principali operatori del settore), sono andati parzialmente in controtendenza rispetto alla diminuzione dei budget pubblicitari. Nel 2001 infatti, il fatturato globale dei 26 istituti di ricerca allora associati ad ASSIRM è aumentato del 7% rispetto al 2000, raggiungendo quota 315 milioni di euro (essendo la quota rimanente dispersa su altri istituti, non associati ad ASSIRM). Invece nel primo quadrimestre del 2002 vi è stato un certo rallentamento del fatturato, pur nel quadro di una complessiva tenuta di questo mercato (nonostante una significativa contrazione degli investimenti globali di marketing delle imprese: in altre parole, a dispetto della congiuntura sfavorevole questo mercato ha, come detto, sostanzialmente «tenuto», a dimostrazione dell’importanza che ormai le aziende attribuiscono al campo in questione). Più percepibile tuttavia è stato il calo nel mercato particolare e specifico delle ricerche elettorali e dei sondaggi di opinione (calo giudicato però fisiologico da ASSIRM rispetto al primo quadrimestre del 2001, anno di elezioni politiche e quindi di forte «consumo» di ricerche elettorali e sondaggi di opinione).

Ecco ora l’elenco dei primi venti istituti italiani, con il relativo fatturato 2001 in miliardi di vecchie lire:

ACNielsen 103,5
IMS Health 85,0
Eurisko 52,0
Gruppo GfK Italia 48,1
Information Resource (I.R.I.) 48,0
Ipsos - Explorer 35,0
Unicab 32,5
Doxa 31,0
NFO Infratest 30,0
Databank 28,0
AGB Italia 25,7
Abacus 25,0
ACNielsen C.R.A. 24,0
Research International 20,5
GPF+Ad Hoc+CFIGroup 20,0
Millward Brown 18,0
Cirm Market Research 15,0
People SWG 12,0
InraDemoscopea 10,5
PiTre+PiTre Consumer 10,5

Fonte: Media Key

Continuando con le osservazioni di ASSIRM (consultabili sul sito www.assirm.it), per valutare lo «stato dell’arte» nel mercato italiano delle ricerche è opportuno considerare la nostra situazione nazionale in rapporto a quella di altri paesi industriali avanzati. Secondo le stime Esomar (l’associazione europea fra gli operatori delle ricerche di mercato) la dimensione globale del mercato delle ricerche è stata nel 2000 di circa 15,3 miliardi di dollari (oltre 30.000 miliardi di vecchie lire). L’Europa ha rappresentato grosso modo il 40% di questo mercato. E in ambito europeo le maggiori contribuzioni alla produzione del fatturato delle ricerche sono quelle di Regno Unito (27%), Germania (22%) e Francia (16%). Il contributo specifico dell’Italia è stato pari al 7% (come abbiamo già detto, meno della metà di quello della vicina Francia). La causa di questo sotto-dimensionamento dell’Italia sta soprattutto nella frammentazione del tessuto produttivo nazionale, formato prevalentemente da aziende piccole o piccolissime poco propense ad investire cifre anche modeste in attività comunque «accessorie» rispetto alla pura e semplice produzione o erogazione del servizio.

Focalizzando adesso proprio sul mercato italiano (il 7% del totale Europa, che a sua volta vale il 40% del totale mondo), nel primo semestre del 2002 il numero degli istituti associati ad ASSIRM è salito a 32 (giungendo così al 60% circa del totale dei maggiori istituti). Il modo in cui si ripartisce l’attività degli istituti ASSIRM è perciò abbastanza rappresentativo della distribuzione del totale mercato. Ebbene, nel 2002 l’attività degli istituti ASSIRM è realizzata per il 40% a mezzo di panel (ricerche quantitative continuative su campioni fissi di popolazione) e per il restante 60% in forma di indagini specifiche (cioè fatte appunto per specifici clienti). Nell’ambito delle indagini specifiche l’80% circa è composta da ricerche quantitative, il rimanente 20% da ricerche qualitative o motivazionali. Le indagini specifiche inoltre per il 60% circa sono ricerche ad hoc, ossia condotte per un singolo committente su un campione appositamente costruito, per il 35% sono invece «prodotti standard » e indagini continuative (ossia ricerche in forma multiclient e/o eseguite su campioni ripetitivi) e per la residua quota del 5% sono sondaggi d’opinione ed elettorali.

Riassumendo, possiamo finalmente stimare il «peso economico» dei sondaggi d’opinione ed elettorali sul totale del mercato delle ricerche. Nel mondo si spendono circa 30.000 miliardi di vecchie lire in ricerche di mercato. Il 40% in Europa, ovvero 12.000 miliardi. Il 7% in Italia, circa 850 miliardi (dato 2000-2001). Le indagini «specifiche» valgono il 60% di questi 850 miliardi, ossia 510 miliardi. Il 5% di 510 miliardi è il valore dei sondaggi e delle ricerche politiche e d’opinione: grosso modo 25 miliardi l’anno. Nonostante la sua notevole importanza politico-sociale, il mondo dei sondaggi costituisce dunque un segmento economico molto piccolo: quindi facile da controllare ed eventualmente da «monopolizzare».

Tornando infatti alla precedente lista dei venti maggiori istituti, non sono molti quelli che hanno una forte specializzazione negli studi politici e di opinione. Eurisko fa dell’ottima ricerca sociale e qualche selezionata indagine politica, ma sinora si è tenuto per così dire «alla larga» dai sondaggi veri e propri. Discorso simile vale per Explorer. Doxa ha fatto la storia della demoscopia in Italia, a cominciare dai sondaggi e dalle proiezioni sui risultati del referendum per la scelta tra monarchia e repubblica. Attualmente però è moderatamente attiva come azienda nel campo degli studi di opinione. Abacus è stata negli ultimi anni protagonista anche sul piano mediatico della demoscopia italiana, avendo curato le famose «serate elettorali» congiunte Rai-Mediaset. Si tratta sicuramente di un istituto con un notevole pedigree in fatto di sondaggi d’opinione, al pari di CIRM e di SWG (altri due istituti che hanno pubblicato, sia su stampa che «in televisione», numerosi sondaggi politici e ricerche elettorali). Per certi versi è corretto affermare che oggi i tre marchi più attivi nel campo della demoscopia siano proprio Abacus, CIRM e SWG, con l’aggiunta nell’ultimo anno di Datamedia.

In totale, sui 500 milioni di euro che rappresentano (approssimando ottimisticamente per eccesso) la «torta italiana» del mercato delle ricerche di mercato nel 2002, secondo l’ASSIRM non più del 3% si riferisce a sondaggi e ricerche demoscopiche in senso lato. È una nicchia, come detto prima, del valore di 25-30 miliardi di vecchie lire, 15 milioni di euro. Una nicchia piccola ma significativa, e soprattutto è una nicchia al cui valore economico corrisponde un valore politico-sociale più che esponenzialmente superiore. Un crescente numero di uomini politici e di partiti infatti oggi considera essenziale consultare l’opinione pubblica per la messa a punto del proprio programma politico-elettorale. Ma come sarà, dal 2002 in poi, il mercato italiano dei sondaggi di opinione, di questi delicati «produttori di statistiche» che devono «suscitare fiducia »? Quali tendenze stanno emergendo? I protagonisti dei prossimi 4-5 anni saranno probabilmente questi istituti: Abacus, CIRM, Datamedia Ricerche e SWG. Di tali quattro istituti l’unico che si configuri ancora come un’azienda «artigianale» e del tutto indipendente sul piano proprietario è SWG, che continua a fare il «battitore libero» senza grandi alleanze in corso (c’è stato un tentativo di «fusione» con People di Luigi Ferrari, che non è andato a buon fine). Abacus da tempo fa parte di una multinazionale francofona, il gruppo Sofres. Non è più un’azienda italiana, bensì appunto la «filiale» italiana di un colosso internazionale dei sondaggi e delle ricerche di mercato, che fattura centinaia di miliardi di vecchie lire in giro per il mondo. CIRM e Datamedia fanno a loro volta parte oggi di un unico gruppo, la già citata HDC di Luigi Crespi (la sigla HDC – è bene ricordarlo – sta per Holding della Comunicazione, e dentro il gruppo trovano infatti posto sia istituti di ricerche sia agenzie pubblicitarie e call center).

Nel mercato dei sondaggi di opinione HDC rappresenta allora davvero un fattore potenzialmente capace di modificare (non per forza né «migliorare» né «peggiorare», ma semplicemente «modificare») gli equilibri di mercato. Infatti recentemente HDC ha rilevato anche il 60% di Directa, un piccolo istituto diretto da Giorgio Calò con una buona specializzazione negli studi di opinione (Giorgio Calò è anche uno degli esponenti più in vista dell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro). Riassumendo, nell’ambito di HDC oggi figurano tre istituti italiani di ricerche di mercato e sondaggi di opinione: CIRM, Datamedia e Directa, cui si aggiungono World Research ( l’azienda del gruppo che si occupa di ricerche internazionali, e che ha già fatto alcuni sondaggi per esempio in Venezuela) e la presenza come vicepresidente di Gianni Pilo, uno dei primi specialisti italiani delle ricerche demoscopiche nonché «mago dei numeri» dell’ascesa di Forza Italia (tramite la società Diakron, che oggi non esiste più ma che rimane una «pietra miliare» nella storia del «sondaggismo» italiano). Che HDC stia già giocando un ruolo leader sul fronte delle ricerche è confermato da un fatto che nella primavera 2002 ha suscitato molta attenzione, anche critica, da parte degli organi di stampa: l’assegnazione a Nexus, al posto di Abacus, dell’appalto RAI per la fornitura delle serate elettorali, un business da alcuni milioni di euro nei prossimi tre anni (Nexus è un consorzio formato da CIRM e Datamedia, cioè dalle due principali società del gruppo HDC operanti nel campo delle ricerche di mercato e d’opinione). Dunque, nel piccolo mondo delle ricerche demoscopiche ed elettorali nel corso del 2002 è andato formandosi un incipiente «principio di concentrazione».

In sostanza sul mercato italiano delle ricerche d’opinione sta avvenendo, come detto, un fenomeno di concentrazione: hanno sempre più importanza e peso i colossi multinazionali tipo Sofres oppure i grandi raggruppamenti nazionali, come appunto HDC (una holding che, utilizzando le linee di finanziamento ottenute, ha fatto per così dire «shopping» in questo mercato negli ultimi 18 mesi. Oggi controlla il 20% degli istituti demoscopici ma probabilmente il 25-30% del valore del mercato dei sondaggi, per un importo verosimilmente attorno ai cinque milioni di euro).

Il che non necessariamente è un male. Chi, come me, ha una lunga esperienza professionale all’interno di un istituto come la CIRM può testimoniare che con l’acquisizione da parte di HDC nulla è sinora cambiato nel modo di lavorare e nel bagaglio metodologico e deontologico dell’istituto. Non si tratta insomma di una questione di «casi particolari», bensì di principi generali. A mio parere, sarebbe importante, e forse addirittura essenziale, che anche nel nostro paese esistesse un istituto pubblico, specializzato in ricerche demoscopiche, in grado di fungere da punto di riferimento super partes per il sistema. Un istituto di «interesse nazionale», perché la corretta, affidabile ed imparziale misurazione della pubblica opinione oggi è di fatto p roprio una questione di interesse nazionale. In Francia, in Germania e oggi anche negli Stati Uniti esistono per l’appunto degli istituti nazionali per l’effettuazione di ricerche demoscopiche (notissimo è il caso di IFOP, l’Istituto Francese per l’Opinione Pubblica).

La tendenza alla concentrazione avviene in tutti i paesi evoluti, e c’è il rischio che un numero ristretto o ristrettissimo di operatori privati abbia di fatto il controllo della «maggioranza» della rilevazione della pubblica opinione (cosa che va contro i principi di concorrenza ma anche contro la necessità che la misurazione dell’opinione pubblica sia «al di sopra di ogni sospetto»). Un antidoto contro potenziali derive oligopolistiche (non incombenti ma comunque da tenere presenti come «minaccia possibile») potrebbe appunto consistere nella creazione di un italianissimo INOP (che potrebbe anche semplicemente formare una divisione specializzata dell’ISTAT). Un altro antidoto potrebbe concretizzarsi nell’imposizione di un limite alla concentrazione di istituti in una sola mano, introducendo un'opportuna norma antitrust (per esempio, impedendo il possesso di più di due o tre istituti di ricerche demoscopiche da parte di una sola entità). Che sia l’una o l’altra misura, a qualcosa di nuovo bisogna a mio parere pensare. I certificatori dell’opinione pubblica, nelle attuali «democrazie post-partitiche», hanno infatti un ruolo delicato e cruciale, e per molti aspetti assimilabile a quello degli operatori delle comunicazioni di massa. Nell’Italia di oggi, in teoria, è possibile che un solo soggetto economico, investendo una cifra inferiore a quella che è servita al Real Madrid per acquistare dall’Inter il solo giocatore Ronaldo, acquisisca il controllo della maggioranza assoluta degli istituti demoscopici italiani. È una prospettiva su cui vale la pena di riflettere e, per una volta, agire efficacemente in un’ottica preventiva. Nel libro L’uomo senza qualità, Robert Musil ha affermato che «non è ve ro che il ricercatore insegue la verità, è la verità che insegue il ricercatore». Più ricercatori indipendenti e autonomi ci sono, più è probabile che la verità si manifesti, e viceversa.