La nuova medicina territoriale

Di Roberto B. Polillo Giovedì 26 Marzo 2009 13:22 Stampa

L’invecchiamento della popolazione e la prevalen­za delle malattie croniche rendono obsoleto un si­stema sanitario “ospedalocentrico”. Occorre una nuova medicina del territorio centrata sul pazien­te, sul lavoro in team e in grado di assicurare, at­traverso strutture dedicate, presa in carico, conti­nuità di cura e integrazione socio-assistenziale.

Una società profondamente cambiata nel breve arco di pochi decenni ha bisogno di un Servizio sanitario azionale (SSN) che ponga al centro la persona e i suoi bisogni e in cui il momento della cura sia integrato con quello della promozione della salute e della prevenzione delle malattie. Un obiettivo realizzabile solo con una riorganizzazione dei servizi in cui la medicina del territorio assuma quel ruolo che ora non ha e che invece l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) le attribuisce con forza sempre maggiore.

Il rapporto 2008 dell’OMS sulle cure primarie

A trent’anni di distanza dalla storica dichiarazione di Alma Ata1, l’OMS con il suo rapporto del 2008 “Primary Health Care: Now More Than Ever” e con la successiva nota informativa del 2009 “Highlevel Consultation on the Financial and Economic Crisis and Global Health” ha voluto ribadire la centralità delle cure primarie e la necessità dell’avvio di un processo di riorientamento che le renda rispondenti ai bisogni di un mondo radicalmente cambiato. Un processo di riforma che deve investire tutti i paesi membri, anche quelli ad economia avanzata, dove le già forti disuguaglianze di salute tra i cittadini si accentueranno ulteriormente per l’attuale recessione economica, e tradursi in azioni mirate al raggiungimento di quattro obiettivi. Il primo consiste nell’offrire una copertura sanitaria universale per garantire, attraverso l’uguaglianza nell’accesso alle cure, equità sostanziale nella salute, giustizia sociale e fine dell’esclusione. Il secondo è la realizzazione di un modello di erogazione di cure di alta qualità che ponga al centro le necessità e le aspettative dei cittadini in un processo di “armonizzazione di mente e corpo, di cittadini e sistemi”. Il terzo è l’impegno dei governi nel perseguire la “salute in tutte le politiche” attraverso specifici programmi interministeriali e intersettoriali2, che prendano in considerazione tutti i determinanti di salute (sicurezza nelle strade e nei luoghi di lavoro, igiene degli alimenti, sviluppo e ricerca farmaceutica, gestione dei rifiuti e delle sostanze tossiche). Il quarto è un cambiamento della leadership politica con la definizione di pratiche di inclusione dei principali stakeholders (professionisti sanitari, cittadini, enti locali, complesso farmaco-industriale) finalizzate a contrastare due opposte tendenze del welfare State: il disimpegno da parte dello Stato con la trasposizione in sanità del laisser-faire in campo economico e la riproposizione di un anacronistico modello centralista e verticista.

Le profonde trasformazioni della società italiana

Nell’arco di pochi decenni la nostra società è profondamente mutata per l’emergere di fenomeni dal forte impatto sul nostro servizio sanitario. In primis si evidenzia un invecchiamento della popolazione frutto di un duplice processo di allungamento della speranza di vita alla nascita3 e di decremento della natività4. Ancora più eloquenti le tendenze demografiche al 2050: se oggi un cittadino su cinque ha superato i 65 anni, nel 2030 tale rapporto sarà di uno a quattro e nel 2050 di uno a tre. Una metamorfosi della piramide demografica con tutto quello che ne consegue in termini assistenziali e di sostenibilità economica. Un secondo aspetto è la transizione epidemiologica, un’inversione del rapporto tra malattie acute e malattie croniche iniziato agli inizi del Novecento e ora fortemente consolidato5. Oggi infatti sono fortemente prevalenti le malattie cronico degenerative (disabilità, demenza, scompenso cronico di cuore, BPCO, diabete e neoplasie) il cui impatto è particolarmente vistoso sulla popolazione anziana. I dati dell’ISTAT ci dicono infatti che tra gli over 65 anni non disabili il 35,8% è affetto da almeno una patologia cronica e il 36,1% da tre o più di queste, mentre tra gli over 65 disabili tali rapporti salgono al 67,4% e al 68,7%. Un terzo aspetto è il processo di detradizionalizzazione della società. Il passaggio dalla famiglia multicomponente all’attuale nucleo familiare in cui spesso è presente un solo figlio con genitori separati ha drammaticamente ridotto i sistemi di protezione naturale, quelle reti di solidarietà a cui era affidato il lavoro di cura verso gli anziani e i disabili. Un processo ancora più evidente con la globalizzazione e la rottura delle reti di vicinato, argine alla esclusione. La dimensione esperenziale della postmodernità è quella della «solitudine dell’uomo globale»6 nei confronti della quale spetta ai sistemi di protezione sociale ricostruire il vallo che la famiglia non può più offrire. Un quarto aspetto è l’incremento dei costi della sanità con un ritmo di crescita superiore alla crescita delPIL. Un fenomeno particolarmente grave negli USA7, e in tono minore in Francia e Germania ma che tuttavia non coinvolge il nostro paese dove, al contrario, vi è stato a partire dagli anni Novanta un costante sottofinanziamento del sistema8. Un ultimo aspetto è infine l’”ospedalocentrismo” nella sanità. Una tendenza di tutti i sistemi sanitari a privilegiare l’assistenza specialistica e di terzo livello a cui non consegue un aumento del benessere ma una frammentazione degli interventi, una mercatizzazione della salute e una maggiore pervasività del salutismo e del consumismo sanitario.

La medicina dell’iniziativa orientata sul paziente

Una nuova medicina del territorio “orientata sul paziente” deve realizzare un sistema di cure imperniato su valori diversi. È necessario focalizzarsi sui bisogni dei cittadini e non solo sulla cura delle singole malattie, realizzando una medicina dell’iniziativa, proattiva, diversa dalla medicina dell’attesa dell’assistenza ospedaliera. Creare una relazione stabile con il paziente non limitata alla cura del singolo episodio. Offrire un servizio onnicomprensivo, continuato, centrato sulla persona e capace di coordinare le cure nei diversi momenti9. Essa dunque deve prendersi di cura della salute per tutto il ciclo della vita e trasformare i cittadini, oggi soggetti passivi, in partners nella gestione della propria salute e di quella della comunità di appartenenza.

Una nuova medicina del territorio deve farsi carico del fenomeno della cronicità aprendosi alle esperienze di nuovi modelli di gestione integrata dei servizi realizzati in altri paesi. Il Chronic care model10 è un esempio importante. Esso è un approccio multidimensionale alla cronicità che da un lato valorizza le risorse della società, il cosiddetto capitale sociale, e dall’altro prevede un nuovo modello di erogazione delle cure. Un approccio centrato sulla cultura dell’organizzazione che ha come obiettivo la più alta qualità delle cure e che utilizza strumenti innovativi: l’istituzione di registri di patologia e la stratificazione dei pazienti per livelli di gravità; la creazione di un database in grado di segnalare ai pazienti e agli operatori dati sanitari rilevanti; l’addestramento del paziente e della sua famiglia all’autogestione delle cronicità e infine l’utilizzo di strumenti di supporto per gli operatori come linee guida e protocolli basati sulle evidenze scientifiche.

Le azioni da intraprendere nel nostro contesto

L’istituzione del Punto unico di accesso (PUA) del cittadino per le prestazioni sociali e sanitarie in ogni presidio sanitario territoriale è uno dei primi obiettivi da garantire. Esso infatti darebbe certezza al paziente, specie se portatore di problematiche complesse, di ottenere una risposta concreta alle sue effettive necessità. Il PUA è la porta attraverso cui si realizza la presa in carico da parte del SSN e l’affido del paziente, da parte della Unità valutativa multifunzionale, all’équipe o al case manager di competenza. Al PUA viene affidato inoltre il paziente complesso all’atto di dimissione dall’ospedale ponendo fine così, con la definizione di precisi percorsi assistenziali, alla frammentazione degli interventi o, quel che è peggio, allo scarico dei pazienti con effetti positivi sulla continuità assistenziale e sull’appropriatezza delle cure e dell’uso delle risorse. La realizzazione di un’assistenza continua per le ventiquattr’ore e sette giorni su sette è un’altra necessità per garantire assistenza continuata e disincentivare l’uso inappropriato del pronto soccorso ospedaliero. Per fare questo, tuttavia, è indispensabile l’inserimento a pieno titolo dei medici di continuità assistenziale e di emergenza territoriale nelle attività di assistenza primaria, prevedendo un’unica figura che svolga assistenza di base e, a rotazione, il servizio di guardia festivo e notturno. Sarebbe questa la fine dell’attuale frammentarietà e precarietà degli interventi sul territorio.

Altrettanto indispensabile è la promozione di forti forme associative dei medici di medicina generale (MMG). L’Accordo collettivo nazionale per la medicina generale è il luogo dove sancire il passaggio definitivo di tutti i MMG alla medicina di gruppo. Vanno rilanciate le Unità territoriali di assistenza primaria (UTAP), rimaste sulla carta, così come le aggregazioni più avanzate tipo “case della salute”. Va ulteriormente potenziato, nella direzione del lavoro in rete sul territorio, anche il ruolo degli specialisti ambulatoriali.

Nell’ottica di una forte integrazione tra le attività sanitarie e assistenziali, la costituzione in ogni singola Azienda sanitaria di un dipartimento delle cure primarie, integrato a matrice con il distretto, acquista un significato di rilievo. Solo con un dipartimento unico in un distretto forte è possibile il governo effettivo del complesso delle attività di assistenza primaria: dalla predisposizione di piani di intervento specifici per le diverse aree assistenziali alla gestione unitaria delle risorse umane e professionali. Lo stesso dicasi per la possibilità di programmare e verificare accessibilità, qualità e adeguatezza delle prestazioni e, più in generale, per avvicinare le decisioni ai loro destinatari. Al ontrario da oggi deve divenire centrale il ruolo degli enti locali sia nella programmazione delle attività socio-sanitarie che nella valutazione dei risultati.

La costituzione di case della salute11 o di altri presidi di prossimità laddove il territorio non sia eccessivamente disperso consentirebbe di erogare in un unico luogo l’insieme delle cure primarie garantendo continuità assistenziale. Si creerebbe così il contesto per il lavoro in team degli operatori: dai medici di base (che vi potranno eleggere il proprio studio associato) agli specialisti al personale tecnico-amministrativo, infermieristico, della riabilitazione e del segretariato sociale. La casa della salute in particolare si configura come un insieme di attività organizzate e integrate tra loro, in cui si realizzano nel concreto presa in carico del cittadino, promozione della salute e addestramento dei pazienti e loro famiglie alla pratiche di autogestione delle cronicità. La casa della salute è il contesto organizzativo che rende possibile realizzare un’assistenza domiciliare multidisciplinare (MMG, specialisti ambulatoriali, infermieri, personale della riabilitazione, assistenti sociali ecc.) e definire protocolli assistenziali condivisi che garantiscano, attraverso il PUA, la continuità tra assistenza ospedaliera e territorio. Un insieme di interventi incentrati su appropriatezza, efficacia e umanizzazione delle cure in cui anche la partecipazione dei cittadini alla definizione dei bisogni e alla valutazione dei risultati è garantita attraverso procedure certe, codificate e periodicamente verificate.

È, quello descritto, un processo di riordino complessivo del sistema in cui una nuova figura di MMG potrà svolgere un ruolo di rilievo sia in relazione alla dimensione duale di tipo clinico-professionale (presa in carico e cura del paziente) che in quella plurale di tipo gestionale (corretto uso delle risorse e appropriatezza prescrittiva). La vera sfida, a cui anche i professionisti delle cure primarie non possono sottrarsi, è infatti quella di riuscire a coniugare il ruolo di care giver garantendo equità, uguaglianza e miglioramento delle cure ai propri assistiti con quello di accorto ordinatore di spesa in un sistema a risorse finite e a bisogni tendenzialmente illimitati. Un discorso che deve essere naturalmente esteso a tutti gli altri operatori sempre più immersi in una dimensione collettiva nella gestione di un bene primario come la salute.

 

1. Nella conferenza vennero elencate le questioni più significative per garantire la “Salute per tutti nel 2000” e fu elaborata una definizione di cure primarie tuttora valida: «L’assistenza sanitaria di base è quella assistenza sanitaria essenziale, fondata su metodi pratici e tecnologie appropriate, scientificamente valide e socialmente accettabili, resa universalmente accessibile agli individui e alle famiglie nella collettività».
2 Un progetto, questo, già avviato dall’ultimo governo Prodi con il varo del programma intersettoriale “Guadagnare salute” volto al contrasto dei quattro fattori di rischio: obesità, tabagismo, sedentarismo e abuso di alcool.
3 L’aspettativa di vita ha oggi raggiunto gli 84 anni per le donne e i 78,3 anni per gli uomini, ponendo il nostro paese al secondo posto per
longevità dopo il Giappone.
4 L’indice di natalità ha raggiunto il rapporto 1,3 – tra i più bassi in Europa – grazie soprattutto al contributo dei giovani immigrati che si confermano una risorsa insostituibile specie nella lunga prospettiva.
5 Il quadro è reso più complicato dal riemergere, in aggiunta all’AIDS, di patologie infettive considerate sconfitte come tubercolosi e sifilide.
6 Z. Bauman, Il disagio della postmodernità, Bruno Mondadori, Milano 2000, pp. 91-106.
7 Nonostante la spesa sanitaria sia al 13% del PIL, più di 40 milioni di cittadini appartenenti in modo particolare alla middle-class sono totalmente privi di tutela sanitaria.
8 Un sottofinanziamento che ha comportato il consolidarsi di un importante disavanzo, specie nelle Regioni ora sottoposte ai piani di rientro, nelle quali alla scarsezza delle risorse si è aggiunto un loro uso distorto.
9 K. Grumbach, T. Bodenheimer, A Primary Care Home for Americans Putting the house in Order, in “Journal of the American Medical Association”, vol. 288, 7/2002, pp. 889-93.
10 E. H. Wagner, B. T. Austin, C. Davis, M. Hindmarsh, J. Schaefer, A. Bonomi, Improving Chronic Illness Care: Translating Evidence Into Action, in “Health Affairs”, vol. 20, 6/2001.
11 Un’analisi approfondita del modello di casa della salute può essere trovata nel libro scritto dagli ideatori del progetto: B. Benigni, R. Polillo Salute e  cittadini, LiberEtà, Roma 2007, pp. 253-70.