Debito pubblico

Di Roberto Artoni Mercoledì 26 Ottobre 2011 13:17 Stampa
Debito pubblico Illustrazione: Alessandro Sanna

Nel Trattato di Maastricht il debito pubblico è definito come «il debito lordo di tutte le attività di tutte le unità che rientrano nelle pubbliche amministrazioni». All’interno del debito complessivo la suddivisione correntemente adottata distingue fra monete e depositi, titoli a breve termine, titoli a medio e lungo termine e altre passività. In Italia, a fine 2010 il debito pubblico ammontava a 1843 miliardi di euro corrispondenti al 119% del Prodotto interno lordo, per larga parte concentrato in titoli a medio e lungo termine (il 77% del totale); la vita media residua del debito in tutte le sue componenti era di quasi otto anni.


Nel Trattato di Maastricht il debito pubblico è definito come «il debito lordo di tutte le attività di tutte le unità che rientrano nelle pubbliche amministrazioni». All’interno del debito complessivo la suddivisione correntemente adottata distingue fra monete e depositi, titoli a breve termine, titoli a medio e lungo termine e altre passività. In Italia, a fine 2010 il debito pubblico ammontava a 1843 miliardi di euro corrispondenti al 119% del Prodotto interno lordo, per larga parte concentrato in titoli a medio e lungo termine (il 77% del totale); la vita media residua del debito in tutte le sue componenti era di quasi otto anni.

Oltre che per la scadenza il debito pubblico può essere analizzato sulla base di diversi criteri, il primo dei quali è la sua collocazione all’interno delle pubbliche amministrazioni.

Come conseguenza di una scelta effettuata alla fine degli anni Settanta, oggi il debito pubblico è collocato per il 95% presso le amministrazioni centrali, essendo la limitata quota residua debito di quelle locali. È importante sottolineare che in un processo di creazione di una struttura federale il problema della ripartizione territoriale del debito o dell’attribuzione a livello regionale degli oneri finanziari connessi al servizio del debito dovrà essere affrontato. Un’ulteriore scomposizione può essere fatta sulla base dei settori detentori.

A fine 2010 il debito pubblico era detenuto per il 45% da istituzioni finanziarie e monetarie residenti (diverse dalla Banca centrale); un’uguale quota era collocata all’estero. Il restante 10% era detenuto da “altri operatori residenti” (in sostanza le famiglie), mentre la quota nelle mani della Banca d’Italia si aggirava intorno allo 0,3%. Si deve ricordare che le norme alla base del sistema monetario europeo vietano esplicitamente il finanziamento del fabbisogno pubblico da parte delle banche centrali nazionali.

D’altro canto, un’elevata quota di debito collocata all’estero introduce elementi d’instabilità o di volatilità nella gestione delle nuove emissioni o del rimborso dei prestiti in scadenza, come dimostra l’esperienza più recente.

Nella lettura e nell’interpretazione della situazione finanziaria di un paese due grandezze devono essere considerate: da un lato l’indebitamento annuale netto (per larga parte determinato dal disavanzo del bilancio statale) e, dall’altro, il ricorso al mercato, pari alla somma dell’indebitamento netto e del rinnovo dei titoli in scadenza. La legge di bilancio per il 2011 prevede un saldo netto da fi- nanziare (o un indebitamento netto) pari a 41 miliardi di euro e un ricorso al mercato pari a 262 miliardi di euro. Come si vede nel nostro paese la pressione sui mercati finanziari è essenzialmente determinata dall’ammontare dei titoli in scadenza (e sotto questo aspetto è molto importante che la vita media residua dei titoli del debito pubblico sia sufficientemente lunga). Dato lo stock di debito accumulato nel corso del tempo, le autorità di politica economica hanno peraltro la possibilità di influire sulla sua evoluzione, agendo sull’indebitamento annuale. La manovra recentemente approvata si propone infatti di azzerare nell’arco di due anni il saldo netto da finanziare: il ricorso al mercato, se la manovra avrà buon esito, sarà quindi limitato, dal 2014, al rimborso dei prestiti.

Oltre che in termini assoluti, la situazione di un paese in relazione al suo debito pubblico deve essere valutata anche in termini relativi, commisurandola alle dimensioni dell’economia. In questo senso si fa sistematicamente riferimento al rapporto fra la consistenza del debito pubblico e il Prodotto interno lordo di un paese. Lo stesso Trattato di Maastricht, oltre a fissare al 3% del Prodotto il limite dell’indebitamento annuale, poneva al 60% il rapporto obiettivo fra debito e Prodotto. Oggi, soprattutto per effetto della crisi, molti paesi registrano un elevato rapporto debito-Prodotto: l’ultimo rapporto del Fondo monetario internazionale pone, per il 2011, gli Stati Uniti a 100, il Giappone a 233, la Germania con Francia e Regno Unito sopra 80. In Italia il rapporto debito-Prodotto ha raggiunto il livello di 121, e tale dovrebbe rimanere nei prossimi anni. L’evoluzione del rapporto debito- Prodotto dipende da molti fattori. Sulla sua crescita incide in primo luogo il cosiddetto saldo primario (ovverosia la differenza fra tutte le spese pubbliche, correnti e in conto capitale, diminuite degli interessi, e tutte le entrate): in Italia il saldo primario dovrebbe risultare positivo nel 2011, influendo pertanto in senso riduttivo sul debito.

Si deve sottolineare che fra i maggiori paesi solo Italia e Germania avranno nell’anno in corso un saldo positivo; gli Stati Uniti hanno, al contrario, un saldo primario negativo pari a otto punti di Prodotto interno.

Il rapporto debito-Prodotto dipende poi dalla differenza con il saggio di crescita (quanto più alta è la crescita tanto più forte è la diminuzione del debito in termini di Prodotto) e dal costo medio del debito pubblico, determinato dalla storia dei tassi di interesse con cui un paese si è finanziato.

È evidente che improvvisi aumenti dei tassi d’interesse (come quelli cui abbiamo assistito nell’estate del 2011) determinano una lievitazione del costo medio applicato al debito complessivo e quindi un innalzamento del rapporto debito-Prodotto. Infine la dinamica del rapporto debito-Prodotto è influenzata dalle componenti finanziarie che a vario titolo fanno capo all’operatore pubblico. Nella storia d’Italia possiamo riconoscere (si veda il Grafico 1) tutte le combinazioni delle variabili rilevanti. Il debito pubblico, esploso con le due guerre mondiali, è rientrato dopo la prima con la cancellazione dei debiti verso gli alleati e dopo la seconda per l’inflazione che ha ridotto drasticamente il valore reale del debito. Il rapporto debito-Prodotto è cresciuto con la crisi dell’ultimo decennio del XIX secolo, con la depressione degli anni Trenta e anche nell’ultimo decennio caratterizzato da un’economia stagnante. È aumentato negli anni Ottanta quando il saldo primario è stato negativo e i tassi d’interesse elevati. È diminuito nei due periodi di grande espansione economica, quali furono l’era giolittiana e i due decenni successivi alla fine della seconda guerra mondiale.

Dal l ’esperienza storica e dall’analisi economica si possono fare emergere le linee di politica economica che si dovrebbero seguire al fine di ridurre il rapporto debito-Prodotto e quindi i pericoli d’instabilità finanziaria. Si deve favorire in ogni modo la crescita del sistema (ma non è facile fornire ricette, dipendendo la crescita di un paese come il nostro dalla congiuntura mondiale). Si devono seguire politiche non destabilizzanti per evitare che i tassi d’interesse si pongano a livelli più elevati del tasso di crescita del sistema (sapendo comunque che la stabilità o l’instabilità dipende anche dai comportamenti più o meno avveduti dei paesi dominanti). Si deve cercare di mantenere in equilibrio il saldo primario, nella consapevolezza che in circostanze sfavorevoli manovre restrittive producono effetti negativi sulla crescita economica. Infine si può tentare di ridurre il debito operando sul patrimonio pubblico, attraverso le privatizzazioni, ottenendo, nei limiti in cui ciò è possibile, entrate da destinare alla riduzione del debito.

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