Costituzione

Di Maurizio Fioravanti Martedì 21 Giugno 2011 17:14 Stampa
Costituzione Illustrazione di Guilherme Kramer

Il termine-concetto di “Costituzione” ha una storia lunga, che lo ricollega in origine all’antichità classica, per poi svolgersi nei secoli dell’età di mezzo. Noi ci limiteremo qui ai significati che la Costituzione assume a partire dalle rivoluzioni della fine del XVIII secolo. Prendiamo le mosse da un testo celebre: la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, del 26 agosto 1789. All’articolo 16 leggiamo: «La società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha Costituzione ».

Il termine-concetto di “Costituzione” ha una storia lunga, che lo ricollega in origine all’antichità classica, per poi svolgersi nei secoli dell’età di mezzo. Noi ci limiteremo qui ai significati che la Costituzione assume a partire dalle rivoluzioni della fine del XVIII secolo. Prendiamo le mosse da un testo celebre: la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, del 26 agosto 1789. All’articolo 16 leggiamo: «La società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha Costituzione ». Se vogliamo dunque che la nostra società abbia una sua Costituzione, dobbiamo compiere due atti fondamentali: garantire i diritti e separare i poteri. La società che non compie questi due atti è priva di Costituzione, e dunque si dissolverà, o avrà esiti dispotici o totalitari. La storia successiva, che giunge fino a noi, si incaricherà di riempire di contenuti quei due ambiti: definendo quali diritti e con quali garanzie, e quali poteri, entro quali limiti e con quali equilibri. Nel suo complesso, il significato che la Costituzione assume a partire dall’articolo 16 è di tipo garantistico: la Costituzione ha la sua missione principale nell’affermazione e nella tutela dei diritti degli individui. La stessa separazione dei poteri è da ricondurre a questo significato prevalente: è quella organizzazione dei poteri che stabiliamo per evitare il dispotismo, ovvero la concentrazione del potere, ritenuta pericolosa proprio per i nostri diritti.

Tuttavia, questo non è l’unico significato che assume la Costituzione in età moderna e contemporanea. Nella stessa “Dichiarazione dei diritti” del 1789, leggiamo l’articolo 6: «La legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere alla sua formazione, personalmente o tramite i loro rappresentanti». Non c’è nel testo riferimento esplicito alla Costituzione, ma non v’è dubbio che questo articolo rappresenti al meglio il secondo lato della norma fondamentale, che generalmente si riconnette al principio democratico. Da questo secondo punto di vista, dietro alla Costituzione non c’è più solo una societas d’individui, ciascuno titolare dei propri diritti, ciascuno garantito nella propria sfera; c’è piuttosto un popolo, o una nazione, o una Repubblica, ovvero un soggetto politico collettivo che intende esprimere la «volontà generale», come recita l’articolo 6, fondandola sul principio democratico, sul diritto dei cittadini di concorrere alla sua formazione.

I due lati della Costituzione, quello garantistico e quello democratico, non sempre sono stati congiunti nella storia del costituzionalismo. Quando si sono separati, il significato complessivo della Costituzione ha teso a impoverirsi. Così, una Costituzione meramente garantistica storicamente è una Costituzione rigorosa nella tutela dei diritti civili, ma è anche una Costituzione diffidente verso l’affidamento di compiti di lungo periodo, costituzionalmente rilevanti, ai poteri pubblici. Finisce dunque per essere una Costituzione in cui i diritti sociali ben difficilmente entrano nella sfera vera e propria dei diritti di cittadinanza. È quello che è accaduto nella esperienza costituzionale statunitense, per altri versi di primaria importanza nella storia del costituzionalismo. Ma vale anche l’inverso, quando accade che il legislatore, autore della legge espressiva della «volontà generale», pensa per ciò stesso di essere sempre e comunque nel giusto. In quel caso, il legislatore pensa di essere lui stesso il popolo sovrano, e dunque tende a disperdersi il lato garantistico della Costituzione, che con sempre maggiore difficoltà può essere opposta alla legge, in nome dei diritti, a tutela dei diritti. È noto come da questa tendenza sia derivata una complessiva difficoltà a radicare nella prassi costituzionale europea il controllo di costituzionalità, affermatosi invece assai precocemente negli Stati Uniti.

Ebbene, le democrazie in cui viviamo, quelle che hanno avviato la loro esperienza con le Costituzioni dell’ultimo dopoguerra, come quella italiana del 1947, sono fondate proprio sull’intento di saldare i due lati del costituzionalismo, di tenere insieme i due significati storici della Costituzione. Da un lato, si rafforza il significato garantistico della Costituzione. Non poteva essere altrimenti dopo le politiche totalitarie e di sterminio della prima metà del secolo. Si proclama quindi il carattere inviolabile dei diritti fondamentali della persona, si rafforzano le riserve di legge e di giurisdizione, s’introduce il controllo di costituzionalità, e soprattutto si muove concettualmente dall’assunto che non potranno più comunque esistere poteri assolutamente sovrani, neppure in nome del popolo. Da qui, il secondo comma dell’articolo 1: «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Che è come dire: non esistono più poteri che precedono la Costituzione; tutti i poteri valgono in quanto sono previsti dalla Costituzione e operano nelle forme e nei limiti da essa stabiliti.

Dall’altro lato, il rafforzamento del versante garantistico non significa affatto, nella nuova situazione storica, impoverimento del versante democratico. Anzi, ciò che caratterizza le nuove Costituzioni, come quella italiana, è il procedere innanzi di entrambe le tendenze. Così, la Costituzione non si chiude a riccio, come era accaduto in passato, nella mera garanzia dei diritti, e assegna compiti di grande rilievo alla Repubblica che in Italia si stava fondando, come nel celebre secondo commadell’articolo 3, ove la carta indica una finalità storica della democrazia: quella di porsi come ideale politico inclusivo, che opera per rimuovere gli ostacoli, di diverso ge nere, che nei fatti tengono non pochi cittadini ai margini della comunità sociale e politica.

Oggi, le democrazie contemporanee sono dunque qualificate nel senso di democrazie costituzionali. Sono costituzionali perché pongono con la norma fondamentale limiti precisi ai poteri pubblici. Perfino la legge, in pas-sato suprema fonte di diritto, è oggi valida in modo condizionato, solo se conforme a Costituzione. Ma questo ridimensionamento del legislatore non deve significare ridimensionamento della democrazia. Anzi, è la Costituzione stessa a indicare le grandi finalità del processo democratico, a iniziare dalle politiche necessarie per favorire un accesso crescente al concreto esercizio dei diritti di cittadinanza. Le democrazie costituzionali odierne sono pertanto anche, e nello stesso tempo, democrazie sociali

Acquista la rivista

Abbonati alla rivista