già ministro della Pubblica istruzione, è presidente del Comitato per lo sviluppo della cultura scientifica e tecnologica e del Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica per tutti gli studenti.
Alla presa d’atto che i mutamenti epocali in corso impongono una radicale trasformazione dell’impianto scolastico in Italia fanno da contrappeso l’apparentemente diffusa contrarietà al cambiamento, la volontà di difendere la scuola così com’è oggi, anche – ed è questo è il tratto più preoccupante – nel suo impianto autoritario e classista. La sfida più grande sta proprio nello smantellare i tratti dell’istituzione scolastica che consentono il perdurare della sua impostazione non egualitaria. Quanta consapevolezza c’è nella sinistra che questa è la vera posta in gioco?
«Education, education, education». Rintocchi scanditi da Tony Blair nel programma laburista. Una priorità convinta, una scommessa. Non diverso il martellare di Mario Draghi in Italia, argomentato e circostanziato: una profonda convinzione che occorra una scelta radicale, dal momento che, come lui dice, «l’istruzione si conferma al primo posto fra i campi dove un cambiamento forte è necessario. L’istruzione è il fattore più importante per la crescita», e, ancora, «un insufficiente livello di istruzione può ripercuotersi sull’andamento della produttività a causa della conseguente scarsa capacità di realizzare le opportunità legate al rapido progresso tecnico».