Trento, la città veloce e lenta allo stesso tempo

Di Alessandro Andreatta Venerdì 02 Settembre 2016 15:21 Stampa

Nell’ultimo decennio Trento è stata protagonista di un cambiamento profondo che ne fa oggi una delle città italiane con la più alta qualità urbana. Dopo aver preso atto che il suo futuro non sarebbe stato manifatturiero, la città ha saputo reinventarsi, puntando su un altro tipo di sviluppo, capace di valorizzare le caratteristiche ambientali di città alpina, la vocazione culturale di città di frontiera, la vivacità della giovane università. Oggi persegue con sempre maggior forza l’obiettivo di diventare una città della conoscenza, smart e sostenibile; una città veloce, che punta sulla formazione, sulla ricerca, su uno sviluppo innovativo e, nello stesso tempo, lenta, con un’elevata qualità della vita, delle relazioni, e ritmi a misura delle persone.

«La creatività civica è una capacità immaginativa di risolvere problemi
applicata a obiettivi volti al bene collettivo. Presuppone da parte del settore
pubblico un maggiore spirito imprenditoriale, pur entro i limiti istituzionali,
e da parte del settore privato una maggiore consapevolezza
delle proprie responsabilità verso la collettività».
Charles Landry

 

Una città sostenibile è una città che sa guardare al futuro. Che ha impostato le sue politiche pensando non solo al presente e all’im­mediato, ma soprattutto alla lunga distanza. E, soprattutto, una cit­tà sostenibile è capace di cambiare – modello di sviluppo, progetti, vocazione – e di catalizzare energie ed entusiasmi attorno alla nuova direzione. Ecco, Trento in questi ultimi anni è stata protagonista di una vera e propria sterzata: un cambio di rotta impercettibile all’i­nizio, oggi evidente e gravido di conseguenze. Tutto è avvenuto in un decennio o poco più, anche se le premesse della trasformazione si possono rintracciare già prima, nel corso degli anni Novanta. Ho vissuto quest’epoca di pianificazione e di progetti prima da assesso­re (dal 1998), poi da vicesindaco (dal 2005), infine (dal 2009) da sindaco. Guardando indietro, credo che non sempre ci sia stata la consapevolezza dei risultati che avremmo raggiunto, anche perché, come diceva Winston Churchill, noi costruiamo le nostre città, poi sono le nostre città che ci costruiscono. Insomma, il cambiamento mette in moto spesso una reazione a catena irreversibile, che non solo muta l’aspetto dei quartieri, ma incide anche sui rapporti sociali, sul tessuto economico, sulla crescita culturale.

Secondo le ricerche di questi ultimi anni, Trento è una delle città italiane che registra la più alta qualità urbana. Il rapporto di Legam­biente pubblicato ogni anno dal “Sole 24 Ore” ci assegna negli ultimi due lustri un posto quasi costante sul podio dei capoluoghi di pro­vincia. Non è sempre stato così. All’inizio degli anni Duemila, Tren­to annaspava più in basso: nel 2003, per dire, era alla ventisettesima posizione e registrava performance ambientali definite “discrete” in una classifica dove peraltro nessuna città raggiungeva livelli di eccel­lenza. Ma già qualcosa stava cambiando. C’è una data che io ritengo fortemente simbolica: nel corso del 2005 i camion cessano di varcare i cancelli dell’Italcementi, grande stabilimento industriale nel sob­borgo di Piedicastello, a poca distanza in linea d’aria da piazza Duo­mo. Nello stesso anno viene definitivamente chiusa anche l’ultima unità produttiva della Michelin, che già alla fine degli anni Novanta aveva dismesso la vecchia, grande fabbrica, anche questa non lontano dal centro città, che si estendeva su una superficie di 115.000 metri quadrati in riva all’Adige.

Nel 2005 Trento ha definitivamente capito che il suo futuro non sareb­be stato manifatturiero, come si era pensato fino a pochi anni prima. Occorreva reinventarsi da subito, puntando su un altro tipo di svilup­po, capace di valorizzare le caratteristiche ambientali di città alpina, la vocazione culturale di città di frontiera, la vivacità della giovane uni­versità e dei centri di ricerca nati e cresciuti grazie alle politiche e agli investimenti della Provincia autonoma. Da quel 2005 il cambiamento di rotta ha avuto un’accelerazione, grazie anche alla guida di strumenti di navigazione come il Piano strategico della fine degli anni Novanta (uno dei primi in Italia) o come le due varianti al piano regolatore che si sono succedute tra il 2003 e il 2005. I piani si sono concretiz­zati poi in politiche puntuali, di dettaglio, come quelle riguardanti i rifiuti: grazie al cosiddetto “porta a porta” introdotto nel 2006, Trento oggi ha una raccolta differenziata che supera l’80%. Negli stessi anni il Comune si è concentrato sulla riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico e privato (il regolamento che incentiva l’edilizia sostenibile è del 2007) e sulla creazione di una rete wi-fi pubblica in centro storico (ancora il 2007). Nel 2008 è arrivato il piano “Trento per Kyoto”, che ha definito le azioni da perseguire nel campo delle energie rinnovabili e del risparmio energetico: quelle previsioni sono state recentemente aggiornate dal Piano d’azione per l’energia sostenibile (PAES), che si propone di ridurre le emissioni di CO2 del 20% entro il 2020. Parti­colare attenzione è stata dedicata anche al traffico cittadino: il piano della mobilità (2010) si è posto come obiettivi il miglioramento dell’ambiente urbano e la riduzio­ne progressiva delle polveri sottili e delle emissioni nocive. Tra i cardini del nuovo sistema, lo svilup­po delle piste ciclabili (raddoppiate in dieci anni, fino a raggiungere gli attuali 60 chilometri), il sempre maggior utilizzo del trasporto pubblico, la realizzazione di parcheggi di interscambio e perti­nenziali, il car sharing e il car pooling.

Oggi Trento non è più una città in cerca d’au­tore, dalla vocazione incerta, anche se molti traguardi restano ancora da raggiungere, soprat­tutto nel campo della mobilità (da migliorare) e del recupero degli immobili dismessi lasciati in eredità dal processo di deindustrializzazione. Trento è innanzitutto una città che ha messo a frutto le proprie po­tenzialità turistiche: entrata negli anni Novanta con poco più di cen­tomila pernottamenti l’anno, nel 2015 ha tagliato il traguardo del milione di presenze turistiche. La crescita esponenziale non è stata casuale, ma frutto di politiche diverse e integrate, che vanno dal re­cupero del centro storico all’organizzazione di grandi eventi capaci di richiamare l’attenzione, anche mediatica, sulla città. Mi riferisco a manifestazioni tradizionali come il Film Festival della Montagna o il mercatino di Natale, ma anche a eventi più recenti eppure già radicati in città come il Festival dell’Economia. Il simbolo di questa nuova fase è senza dubbio il Muse, il Museo della scienza disegnato da Renzo Piano, inaugurato nel 2012 proprio sull’area dove un tem­po sorgeva la fabbrica Michelin. Tra parentesi, entro fine anno, nel quartiere che ha preso il posto del brownfield, sarà inaugurata pure la nuova biblioteca universitaria, anche questa firmata da Piano: nei suoi sette piani, troveranno posto 10.000 metri lineari di scaffali, 480.000 volumi e 500 postazioni per lo studio.

Entrato subito nella top ten dei musei più visitati d’Italia, il Muse è diventato il simbolo del modello di sviluppo che avevamo in mente. Lo possiamo riassumere in due immagini, in due suggestioni: quella della città veloce e quella della città lenta. Trento vuole essere città ve­loce (cioè la città della formazione, della ricerca, delle connessioni, dello sviluppo innovativo) e, nello stesso tempo, città lenta (cioè la città del­la qualità della vita, della qualità delle relazioni, della solidarietà, della tolleranza, della valorizza­zione delle differenze, dei tempi a misura delle persone). In tutti e due i casi, la scelta di Trento è quella di diventare sempre più una città della conoscenza, una “fabbrica immateriale”. La pre­senza di un museo scientifico – un museo, va detto, che ha una sua prestigiosa tradizione – è coerente con l’idea di “città che impara”, che vive il tempo presente in maniera responsabile e guarda al futuro in maniera consapevole, perché i musei non sono solo luoghi che custodiscono il passato, non sono esposizioni di animali impagliati. Il Muse è piuttosto una macchina comunicativa, che dialoga costante­mente con la nostra università (sette facoltà, 16.000 studenti e 600 tra docenti e ricercatori da tutto il mondo) e con i nostri centri di ricerca (dalla Fondazione Bruno Kessler al centro Microsoft), tutti coinvolti in un altro tema forte di questo periodo: quello della trasformazione di Trento in “città intelligente” o, per dirla all’inglese, in smart city. Si tratta di un progetto trasversale che si pone l’obiettivo di rispondere in modo innovativo e sostenibile ai bisogni dei cittadini. I progetti già realizzati vanno dal settore della comunicazione (vedi “Il Comune in tasca”, app per smartphone dedicata ai servizi per i cittadini e per i turisti) all’amministrazione digitale (in materia di edilizia, tributi, attività produttive e anagrafe, funerali ecc. molte pratiche e procedure oggi sono online), alla scelta di una filosofia open (open software, con azzeramento dei costi di acquisto software e open data, ovvero accessibilità piena ai dati della pubblica amministrazione sul portale del Comune). Anche se Trento ha avuto prestigiosi riconoscimenti per quanto fatto finora, occorre dire che siamo solo all’inizio. Abbiamo infatti allo studio numerose altre iniziative nell’ambito della mobilità, della par­tecipazione, del risparmio energetico, del turismo e della cultura. E a settembre ospiteremo un grande convegno internazionale che por­terà a Trento esperti da tutto il mondo. Ci sarà anche una parte più divulgativa, che coinvolgerà i cittadini e le scuole, chiamati a testare ma anche a immaginare le novità del nostro futuro “smart”. Quello che è stato realizzato in molte città del Nord Europa ci dice che ab­biamo ancora parecchie possibilità di miglioramento.

Vorrei chiudere con una riflessione dell’economista Jeffrey Sachs, il quale ha sottolineato come il ruolo delle città nell’economia mon­diale di oggi sia senza precedenti. «Le città – scrive Sachs – sono poli d’innovazione per le politiche pubbliche. Ogni giorno, i sindaci sono chiamati a risolvere vari problemi per conto dei propri concittadini. Essi sono responsabili della fornitura idrica, della raccolta dei rifiuti, della sicurezza degli edifici, delle infrastrutture, della riqualificazio­ne dei quartieri poveri, della protezione dai disastri e dei servizi di emergenza in caso di calamità naturali. Non sorprende, quindi, che, mentre i governi nazionali appaiono spesso paralizzati dalla faziosità politica, i governi cittadini siano pronti a intervenire e a promuovere l’innovazione».

Credo che Sachs abbia ragione, che l’innovazione possa nascere pro­prio dalla sfida quotidiana di risolvere piccoli e grandi problemi lo­cali. Nel caso di Trento, c’è un altro elemento da sottolineare: la sua posizione periferica, ai margini, ai confini, è stata per lungo tem­po una difficoltà che però si è trasformata in un vantaggio: perché Trento, città sulla direttrice del Brennero, lontana dai grandi centri, ha rintracciato spesso i suoi modelli urbani di riferimento nel mon­do tedesco oltre che in quello italiano riuscendo, alla fine, a trovare la strada di un proprio sviluppo originale, aiutata anche dalla forte tradizione autonomista. Di una strada appunto si tratta, non di un traguardo, che siamo ben lontani dall’aver raggiunto.