Euroscetticismo

Di Michele Prospero Mercoledì 14 Maggio 2014 16:55 Stampa

Quella di euroscetticismo pare una categoria onnicomprensiva che cammina con l’elmetto. In essa, cioè, l’obiettivo polemico, puntato verso movimenti e tendenze dati in caotica ascesa, si mescola con il proposito di classificare con una qualche attendibilità dei fenomeni reali che marciano nelle più disparate direzioni. La predilezione per raccogliere in un medesimo contenitore i più variopinti soggetti della protesta rende inservibile l’euroscetticismo come schema unico per comprendere un processo complesso di alienazione politica, che riguarda molti sistemi partitici continentali sfidati da ondate populistiche di natura sfuggente.


Quella di euroscetticismo pare una categoria onnicomprensiva che cammina con l’elmetto. In essa, cioè, l’obiettivo polemico, puntato verso movimenti e tendenze dati in caotica ascesa, si mescola con il proposito di classificare con una qualche attendibilità dei fenomeni reali che marciano nelle più disparate direzioni. La predilezione per raccogliere in un medesimo contenitore i più variopinti soggetti della protesta rende inservibile l’euroscetticismo come schema unico per comprendere un processo complesso di alienazione politica, che riguarda molti sistemi partitici continentali sfidati da ondate populistiche di natura sfuggente. Non è proficuo, ai fini analitici, confondere entro le stesse categorie interpretative delle dinamiche di protesta così eterogenee come le contestazioni innescate da chi propone di uscire dall’Unione europea (come fa il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito) e le critiche radicali ai costi sociali delle politiche liberiste che vengono avanzate dai movimenti delle sinistre antagoniste (come Syriza) in nome di un’altra Europa. Difficile da costringere entro le rigide griglie dell’euroscetticismo è anche il Movimento 5 Stelle. Pur dichiarando una ostilità alla moneta unica, e coltivando nostalgie per la “liretta”, quella di Grillo non è inseribile tra le formazioni euroscettiche. Al più, accarezza un euroscetticismo di tipo selettivo, che, mentre denuncia le malefatte dei burocrati di Bruxelles, rifiuta le offerte di una santa alleanza provenienti dal Fronte Nazionale di Marine Le Pen.

Per certi versi, proprio nel caso francese, l’enfasi euroscettica rappresenta il prolungamento e l’adattamento camaleontico della vecchia destra radicale, capace di intercettare angosce, paure, risentimenti proprio agitando la moneta come diabolica invenzione delle gerarchie del potere finanziario per soggiogare gli ultimi e schiacciare i ceti periferici abbandonati al loro destino. Una grande alleanza europea delle molteplici creature euroscettiche sorte nel continente, come quella proposta da Marine Le Pen, è però una sorta di ossimoro politico. Costringerebbe, infatti, alla convivenza forzosa le ansie di statalismo agitate dal Fronte Nazionale e il microregionalismo etnico che con la Lega si spinge ai limiti del secessionismo. I custodi inflessibili della Germania come bella patria del rigore nordico (l’Alternative für Deutschland) dovrebbero marciare assieme alle forze ribellistiche che invocano le grida di dolore dei disperati degli Stati poco virtuosi del Sud.

Sulla base dell’euroscetticismo assunto come unica grammatica comune è preclusa ogni velleità di costruire una alternativa in positivo, che non può certo essere calibrata sulle contraddittorie istanze di arroccamento degli egoismi tedeschi e sulle richieste di aiuto delle aree sconvolte dalla crisi sociale. È possibile soltanto aggregare delle vaste forze di interdizione, comunque utili per impedire che delle alternative politiche e sociali consistenti prendano quota in Europa. Il tratto unificante delle manifestazioni euroscettiche è, infatti, la sostituzione dei codici del conflitto sociale, e quindi dello spartiacque competitivo classico fissato dall’asse destra-sinistra, con le polarità alquanto ingannevoli alto-basso, sopra-sotto. Proprio la grande crisi economica che scuote l’Europa e ne svela le rigidità politiche (dogma dell’austerità) e le carenze di apertura sociale (disoccupazione soprattutto giovanile, caduta dei consumi e dei diritti) viene sfidata con il guanto gettato contro le lontane tecnoburocrazie, viste come delle entità oscure, come il nemico inafferrabile contro cui scagliare il risentimento diffuso. Spesso questo odio contro le élite trova delle esplicite simpatie proprio tra le élite dei media e del denaro. È per loro assai più conveniente accendere il fuoco di paglia della facile invettiva contro i banchieri e le caste che non assistere sul terreno europeo alla riproposizione del ben più corposo conflitto tra capitale e lavoro. Invece di un inquietante risveglio della disputa classica tra liberalismo e socialismo è meglio scaldare la rabbia contro le élite (tecnocrazie e banchieri centrali). Il rancore contro la moneta e i burocrati serve per depistare e ostacolare le grandi politiche di riforma, viste come risposta efficace alla crisi sociale, alle esclusioni, alle nuove forme di sfruttamento. Chi teme il rafforzamento organizzativo dei partiti europei, con la ridefinizione di peculiari identità politiche e referenti sociali, strizza l’occhio ai populismi.

Non a caso, ad auspicare un qualche successo dei populismi e delle liste euroscettiche in Italia è il “Corriere della Sera”, che, almeno in certi suoi editoriali, paventa il rafforzamento del sistema di rappresentanza, teme il consolidamento di partiti europei attorno a delle persistenti fratture sociali e denuncia i guasti del grande riformismo istituzionale che sostiene la sfida dell’Europa federale come auspicabile dimensione politica sovrana. Agitando lo spettro della consociazione universale e l’eclisse delle politiche avversariali novecentesche, proprio i movimenti euroscettici conservano lo status quo, perché rendono di fatto obbligate le grandi coalizioni tra socialisti e popolari come risposta alle crisi di governabilità. L’assoluta indistinzione identitaria tra destra e sinistra, la scomparsa delle differenze programmatiche, le confluenze che sono additate come il simbolo della brutta omologazione oggi dominante in realtà sono rafforzate proprio dai populismi quali emergenze che richiedono la sospensione drastica della dialettica destra-sinistra.

L’euroscetticismo si rivela una carta utile ai poteri tradizionali, che usano la rabbia sociale per precludere una più marcata politicizzazione delle competizioni elettorali e per ostacolare ogni progettualità politico-costituzionale in vista di una casa dei diritti sociali europei. Mettere insieme gli eredi delle destre radicali che si mobilitano in nome della sovranità perduta e della identità culturale smarrita e le sigle di cartelli regionali ed eterogenee sensibilità anti-euro è l’impresa disperata di chi non auspica il consolidamento, oggi stentato anche per carenze soggettive, di una esplicita competizione europea tra partiti dislocati lungo l’asse destra-sinistra, liberalismo-socialismo. L’euroscetticismo è la carta della rivoluzione passiva in Europa.

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