Edonismo

Di Massimiliano Panarari Venerdì 30 Novembre 2012 17:19 Stampa

L’età postmoderna è, senza ombra di dubbio, il regno dell’edonismo. Di una tipologia e di una qualità assai differenti (se non antitetiche) rispetto all’obiettivo del conseguimento dell’atarassia che ha caratterizzato l’edonismo dell’antichità, quello contemporaneo coincide piuttosto con il “tutto e subito”, in una dimensione di annullamento della profondità temporale, ed è cresciuto di forza e intensità nel secondo Novecento, sino a divenire, con l’ingresso nei fatidici (e famigerati) anni Ottanta, una sorta di slavina inarrestabile.

L’irruzione della tematica giovanile – quella che induce alcuni storici a parlare del Novecento come del “secolo dei giovani”1 – ha fornito una spinta potente nella direzione dell’incremento del “tasso di edonismo” generale della società, tra consumi e sessualità e stili di vita “trasgressivi” o comunque in contrasto con la morale cristiano-borghese che ha innervato il pensiero mainstream e la condotta generale di comportamento, nonché il senso comune, fino alla seconda metà del XIX secolo.

Nell’edonismo della contemporaneità si invera la ben nota profezia warholiana della rivendicazione da parte di ciascuno del godimento del quarto d’ora di celebrità; una sorta di diritto costituzionale, versione hard e potenzialmente senza limiti – come lo è il desiderio… – di quello alla felicità contenuto nella Dichiarazione d’indipendenza americana del 1776. Gioca un ruolo decisivo, in tal senso, il prorompere dell’individualismo, fil rouge che, senza soluzione di continuità (ma all’insegna di progetti tra loro antagonistici di orientamento della vita pubblica), si protende dagli anni Sessanta sino all’epoca attuale. L’edonismo è evidentemente imperniato sulla scoperta, sino alla sua centralità assoluta, dell’individuo, alla quale contribuiscono, nella seconda metà del XX secolo, fattori di varia natura. Tra gli altri, il declino del partito di massa e delle grandi organizzazioni produttive impersonali e omologatrici, caratteristiche del mondo fordista, insieme alla diffusione dei media e ai processi di secolarizzazione della politica, con l’indebolimento progressivo, fino alla frantumazione e allo sgretolamento, delle ideologie.

L’ingresso nella società postindustriale e postfordista – parente stretta, se non vera e propria genitrice di quella postmoderna – dà la stura alla riorganizzazione collettiva intorno alle priorità (a volte indotte) dell’individuo e del suo godimento, venato di tinte narcisistiche, come mette in luce Christopher Lasch nel suo “The Culture of Narcissism” del 19792 (dove evidenzia, peraltro, anche il delinearsi di una spinta sempre più marcata alla ricerca di una maggiore “autenticità” esistenziale da parte dei singoli). La Me generation dei baby boomers riscrive, in buona sostanza, l’agenda pubblica intorno alle aspirazioni e ai bisogni dell’individuo, tra i quali svetta quello del perseguimento del piacere. E così, adottando l’ottica dell’individuo desiderante ed edonista, tout se tient dagli anni della contestazione a quelli del riflusso, dai Sessanta fino agli Ottanta, e ben oltre (come nella tesi, in parte certamente provocatoria ma tutt’altro che priva di fondamenti analitici, del berlusconismo come realizzazione del Sessantotto).3

Gli anni Ottanta, quelli dello sforzo – estremamente legittimo, da questo punto di vista – di lasciarsi alle spalle un passato pesantissimo e tragico, coincidono quindi, in definitiva, con lo stadio storico per eccellenza dello sdoganamento della ricerca della felicità privata (anzi, privatissima). E così la macchina desiderante di Deleuze viene ripresa dal decennio seguente, all’insegna della paradossale parabola (nella quale confluiscono più di un motivo e più di un filone) di un Settantasette che finisce per direttissima tra le braccia della controrivoluzione conservatrice (o, se si preferisce, della vera e propria rivoluzione neoconservatrice). Nell’era del neoliberismo arrembante – e prossimo a erigersi a modello di pensiero unico – i desideri di autorealizzazione vengono tutti monetizzati. Ecco perché la sirena dell’invito thatcheriano (e reaganiano) all’arricchimento si rivela tanto irresistibile. Arricchirsi è la cartina al tornasole dell’affermazione individuale, ma è anche una ovvia precondizione per l’acquisto di merci e beni (e, a volte, anche altre persone) grazie a cui realizzare la propria via edonistica al paradiso in terra.

La cultura pop si fa interprete di questo nuovo imperativo e del relativo, quasi indomabile, immaginario; e trova il suo canale di diffusione e la cassa di risonanza per antonomasia nella neoTV (la televisione commerciale che comincia a scalzare, nelle preferenze del pubblico occidentale, il paludato e compassato servizio radiotelevisivo pubblico). Nel caso italiano, difatti, si può considerare come primo compiuto manifesto della nouvelle vague edonista la nota trasmissione della TV privata “Drive In” (oggetto, negli anni, e specialmente in quelli più recenti, di varie analisi semiologiche e decostruzioni politiche), il cui deus ex machina, Antonio Ricci, vanta (di nuovo, non a caso…) lontane ascendenze situazioniste. Sempre il piccolo schermo farà la fortuna dello slogan, idealtipicamente emblematico del nuovo Zeitgeist, dell’“edonismo reaganiano”, lanciato dal “lookologo” (inusitata professione tremendamente postmoderna…) Roberto D’Agostino nel corso della trasmissione di Renzo Arbore e Ugo Porcelli “Quelli della notte” andata in onda nel 1985.

Il postmodernismo trova una “via (o, meglio, una serie di vie) all’italiana” in tendenze socioculturali e, naturalmente, anche politiche tra loro non perfettamente assimilabili, ma tutte quante concepibili alla stregua di suoi epifenomeni, dal sistema della moda alla circolazione della cultura del fitness, dal “pensiero debole” al craxismo “antipenitenziale” e antiberlingueriano che fissa la propria capitale (scarsamente morale, per ricorrere a un eufemismo) nella “Milano da bere”. A unificarle troviamo precisamente una Weltanschauung edonistica, la quale assume forme via via più pervasive e onnipresenti che si eserciteranno, lungo il tempo, in bilico (o, piuttosto, in perfetta cordialità d’intenti) tra godimento consumistico e godimento narcisistico. Il processo di “democratizzazione” dell’edonismo e di sterminato, irresistibile allargamento della platea dei suoi adepti o fruitori trova i suoi palcoscenici fisico-topografi ci e quelli immateriali: dalle “cattedrali del consumo” (scandagliate da George Ritzer) ai reality show (che garantiscono la potenzialità illusionistica e illusoria di addivenire alla condizione di “tutti divi”).4

Un’epoca tuttora in corso di svolgimento, dunque, quella dell’edonismo di massa, la quale può venire letta anche, per più di un verso, come l’età dell’ingordigia, della quale il giornalista della BBC Paul Mason vaticinava la fine in un suo libro;5 il che, per la verità (e sfortunatamente), è ancora tutto da vedere.


[1] P. Sorcinelli, A. Varni (a cura di), Il secolo dei giovani. Le nuove generazioni e la storia del Novecento, Donzelli editore, Roma 2004.

[2] C. Lasch, La cultura del narcisismo. L’individuo in fuga dal sociale in un’età di disillusioni
collettive, Bompiani, Milano 1981.

[3] M. Perniola, Berlusconi o il ’68 realizzato, Mimesis, Milano 2011.

[4] V. Codeluppi, Tutti divi. Vivere in vetrina, Laterza, Roma-Bari 2009.

[5] P. Mason, La fi ne dell’età dell’ingordigia. Notizie sul crollo fi nanziario mondiale, Bruno
Mondadori, Milano 2009.

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