Onofrio Romano

Onofrio Romano

insegna Sociologia all’Università di Bari

La nuova sedazione del Sud

“È finita un’epoca”, come s’usa dire. Si è chiusa per il Sud la stagione della speranza nella possibilità di trovare un posto tutto suo nel grande gioco dell’economia europea e globale, grazie a quel “rimbocchiamoci le maniche” che ha funzionato da motto-architrave per l’immaginario di sviluppo degli ultimi trent’anni – ormai quasi quaranta, per la verità – e che ha avuto il centrosinistra come principale interprete. Il lamento sulla “scomparsa del Sud” dall’agenda politica nazionale, in questa medesima stagione, scivola via come una lacrima di coccodrillo: se l’idea cardine coincide con l’auto-attivazione, ogni “politica per il Sud” decade in automatico o si trasforma in puro lubrificante delle traiettorie intraprese dai singoli attori e dai singoli territori. Il leghismo non ne è la causa, ne è solo un altro effetto. Il grottesco è che i primi a lamentarsene oggi (della scomparsa) sono proprio coloro che negli anni passati non hanno predicato altro che la buona novella dell’auto-attivazione.

Il neoborbonico come capro espiatorio

A dispetto della sua fortuna giornalistica e dei colpi di teatro messi a segno da singoli personaggi e consessi politici a corto d’idee, la teoria neoborbonica non fa breccia tra i componenti della classe dirigente meridionale. La ragione per la quale risulta assente è che essa è del tutto afasica. Non dice niente né sul piano descrittivo né soprattutto sul piano normativo. O meglio, non dice nulla di “inaudito”, il suo discorso è totalmente fagocitato, integrato nella vanvera corrente sullo sviluppo del Sud. Possiamo dunque stare tranquilli? Certo che no. Ma le ragioni per non stare tranquilli non sono quelle denunciate dai protagonisti delle pur meritorie campagne anti-neoborboniche. I motivi d’inquietudine vanno ricercati altrove. E, per farlo, la domanda giusta da porsi è: perché ci sentiamo minacciati da un pensiero così minoritario, inconsistente e conformista?

Qual è la direzione? Per una critica non moralistica delle classi dirigenti meridionali

In molti considerano la bassa qualità della sua classe dirigente un elemento determinante del sottosviluppo del Mezzogiorno. E se, invece che una causa del malessere del Sud, gli atteggiamenti delle classi dirigenti meridionali fossero l’effetto di una condizione strutturale, socioeconomica e politica del Meridione, rispetto alla quale gli attori mettono in atto delle strategie di ripiego, spesso perverse? In quest’ottica, poiché la struttura è determinata anche dalle visioni che si hanno del mondo, è fondamentale capire quali siano quelle espresse da chi è alla testa del Mezzogiorno.

Partecipazione

Di fronte all’assenza di popolo che “assedia” lo spazio della politica, si sviluppa in maniera virale una diagnosi consolatoria: i cittadini sarebbero mossi da una formidabile volontà di partecipazione, ma questa è inconciliabile con le rigidità organizzative dei partiti e, di fatto, viene respinta da oligarchie troppo gelose del proprio spazio vitale. L’uva dei contenitori politici risulta acerba al cittadino-volpe. In virtù di questa “favola”, tutto il dibattito s’impantana nella questione delle “forme della politica”: chi vorrebbe architetture più liquide, chi più solide; chi invoca meccanismi di copartecipazione legislativa, primarie, referendum et similia, chi il ritorno di partiti
forti e radicati. Questo ci evita di fare i conti con i problemi strutturali che sono alla base della crisi dei processi partecipativi, nonché delle derive leaderistiche che ne conseguono.

Sull'indifferenza dei meridionali alla pubblica inefficienza

Le inefficienze e le deficienze dei sistemi infrastrutturali e dei servizi pubblici nel Sud d’Italia sono spesso, in ultima istanza, attribuite a un deficit civico da cui i cittadini meridionali sarebbero antropologicamente affetti. La spiegazione di tali carenze andrebbe invece cercata nel ruolo di supporto al Nord che le Regioni meridionali hanno giocato per decenni, in cambio di prebende e assistenzialismo. Un equilibrio che le recenti trasformazioni socioeconomiche hanno profondamente intaccato. Ma ora che ci si prepara ad affrontare le sfide del mercato globale, la produzione di ricchezza sembra intraprendere logiche differenti dalla libera competizione. Una nuova beffa per il Sud?

Sull’indifferenza dei meridionali alla pubblica inefficienza

Le inefficienze e le deficienze dei sistemi infrastrutturali e dei servizi pubblici nel Sud d’Italia sono spesso, in ultima istanza, attribuite a un deficit civico da cui i cittadini meridionali sarebbero antropologicamente affetti. Forse, però, la spiegazione di tali carenze deve essere cercata nel ruolo di supporto al Nord che le regioni meridionali hanno giocato per decenni, in cambio di prebende e assistenzialismo. Un equilibrio che le recenti trasformazioni socioeconomiche hanno profondamente intaccato, lasciando il Sud impreparato alle sfide dei mercati e dell’economia.

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