Le grandi scelte nelle telecomunicazioni

Di Cristiano Antonelli Lunedì 16 Febbraio 2009 12:45 Stampa

Se alla fine degli anni Novanta l’industria delle telecomu­nicazioni italiana si trovava, tanto dal punto di vista tecno­logico quanto da quello finanziario, in una situazione piut­tosto favorevole, oggi le sue condizioni sono al contrario deplorevoli. La diffusione delle nuove tecnologie dell’in­formazione e della comunicazione è rallentata, la crisi fi­nanziaria del 2008 mette ulteriormente a repentaglio i ten­tativi di salvare la principale impresa italiana. Si prospetta­no alcuni scenari possibili, ma la soluzione si potrà trova­re solo se saranno messe in campo risorse non solo finanziarie, ma intellettuali. 

Le condizioni dell’industria delle telecomunicazioni in Italia destano gravi preoccupazioni. Il paese ha perso negli ultimi dieci anni grandi opportunità di crescita a causa della deplorevole situazione della principale impresa dell’industria. La gravità della crisi finanziaria in corso e l’evoluzione della domanda rende la situazione sempre meno sostenibile. Decisioni, anche drastiche, potrebbero imporsi nel volgere di un brevissimo arco di tempo nella sostanziale assenza di una riflessione collettiva e di una valutazione ponderata delle implicazioni delle scelte incombenti.

L’industria delle telecomunicazioni è caratterizzata da elementi di grande complessità analitica, sia statica che dinamica, che devono essere tenuti assolutamente in considerazione quando si esplorino ipotesi di intervento sia sul piano delle strategie aziendali sia della politica economica. Certo, essa rappresenta uno dei casi più lontani che si possano immaginare dal mitico mercato perfetto in cui si può affermare la libera concorrenza; di questo purtroppo si tiene raramente conto.1

Dal punto di vista statico, in assenza cioè di significative variazioni della tecnologia e degli stock di capitale, l’industria delle telecomunicazioni è caratterizzata da tre forme particolari di rendimenti crescenti che devono essere tenute rigorosamente distinte. I rendimenti crescenti scaturiscono in primo luogo dalle economie di densità relative all’indivisi bilità degli apparati di trasmissione e distribuzione. La fibra ottica, come del resto in passato i cavi di rame, ha una capacità produttiva largamente eccedente i flussi di traffico correnti. I suoi costi totali sono fortemente influenzati dai costi fissi iniziali, ovvero i costi di installazione e, in misura inferiore, i costi vivi di acquisto della materia prima. All’aumentare dei flussi di traffico i costi medi naturalmente diminuiscono. Lo stesso ragionamento si applica ai pacchetti di software che costituiscono l’essenza stessa dell’attività dell’industria. Una volta concepiti e messi in funzione, possono essere applicati a quantità virtualmente illimitate di linee di comunicazione e quindi di volumi di traffico. I pacchetti di software rappresentano anzi uno dei casi più evidenti di “non deperibilità” della conoscenza tecnologica in essi incorporata. Questa conoscenza tecnologica richiede investimenti enormi per la sua messa a punto, ma può essere applicata ripetutamente senza costi aggiuntivi né usura.

È necessario apprezzare la diversità tra le due forme di economie di densità. La prima, quella che scaturisce dall’indivisibilità degli stock di capitale rappresentato dalla rete in essere, produce rendimenti crescenti in funzione dell’aumento del traffico su un dato numero di linee di comunicazione. La seconda, quella che scaturisce dalla non deperibilità della conoscenza incorporata nei software applicativi, produce rendimenti crescenti in funzione dell’incremento del numero di linee e del volume di traffico. Si tratta di una distinzione fondamentale per capire la logica di crescita delle imprese nell’industria.2

La terza forma di rendimenti crescenti agisce dal lato della domanda. L’industria delle telecomunicazioni costituisce addirittura l’esempio più chiaro delle esternalità di rete. L’utilità di questo peculiare bene, i servizi di comunicazione, non è intrinseca, ma per definizione estrinseca. Dipende cioè dal numero di altri soggetti con i quali il servizio consente la comunicazione sia passiva che attiva. L’avvento delle tecnologie digitali ha dilatato oltre ogni misura il campo di applicazione delle esternalità di rete. A queste si aggiungono poi forme molto interessanti di economie di scopo dal lato della domanda, per cui i consumatori preferiscono ottenere determinati panieri di beni e servizi (fisso e mobile, per esempio, ma anche fisso, mobile e video) in forma combinata anziché separata, con evidenti effetti sulle strategie delle imprese.3

Passando all’analisi dinamica, si vede che l’indivisibilità del capitale mette capo a costi incrementali decrescenti. I costi operativi delle tratte aggiuntive, sia in senso orizzontale che verticale, hanno infatti dei costi incrementali decrescenti. Le imprese esistenti possono far crescere le proprie reti con costi inferiori rispetto ai nuovi concorrenti. La nozione di costo incrementale decrescente riveste grande importanza quando, a causa della convergenza tecnologica, nell’espansione della rete in essere assume rilevanza lo sviluppo verticale, ovvero l’aggiunta di moduli o strati che consentono nuove funzionalità. Nel caso della multimedialità si vede con chiarezza che l’aggiunta di strati che consentono alla rete delle telecomunicazioni l’offerta integrata dei servizi della comunicazione radiotelevisiva consente dei forti vantaggi sulle reti specialistiche. Le economie di scopo diventano endogene e con esse la spinta all’integrazione verticale e orizzontale.

I caratteri che il cambiamento tecnologico ha assunto in questo caso sono di straordinaria rilevanza con l’attivazione del classico processo schumpeteriano di interazione dinamica e sequenziale tra innovazioni dal lato dell’offerta e diffusione dal lato della domanda.4 Nell’insieme dei paesi dell’area OCSE, nel corso degli ultimi trent’anni l’industria delle telecomunicazioni è stata senza dubbio il fulcro del processo di generazione, crescita e sviluppo del nuovo sistema tecnologico centrato sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Le telecomunicazioni hanno funzionato da elemento connettore e integratore di un’ampia gamma di innovazioni tecnologiche convergenti e complementari che hanno costituito il centro dell’attività innovativa dei sistemi economici.5

La crescita della produttività totale dei fattori, e quindi la crescita economica nei paesi più avanzati, è direttamente riconducibile a questo processo sequenziale. L’industria delle telecomunicazioni, insieme alle industrie del software e dei microprocessori, non solo ha sperimentato straordinari tassi di crescita della produttività ma – e soprattutto – ha consentito al resto del sistema economico di applicare le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione ad una miriade di attività, dall’industria manifatturiera alla logistica, dalle industrie della distribuzione alla finanza.6

Purtroppo l’economia italiana ha potuto beneficiare solo in misura assai contenuta di questo straordinario processo di crescita e trasformazione. Alla fine degli anni Novanta l’industria italiana delle telecomunicazioni godeva di una condizione particolarmente positiva, sia dal punto di vista tecnologico sia di quello finanziario.

Il gruppo STET controllava l’intera filiera a partire dal segmento dei microprocessori per finire con la SIP, passando per una forte presenza nelle industrie del software, delle centrali di commutazione, dei cavi. Il gruppo era quotato in Borsa sin dagli anni Trenta e l’IRI ne controllava, nel suo complesso, poco più del 25%. La decisione di procedere alla privatizzazione completa del gruppo STET non sembrava priva di audacia, se si tiene conto che nella maggior parte dei casi – a partire dalla Francia e dalla Germania – si preferì quotare in Borsa solo una quota minoritaria, mentre lo Stato manteneva saldo il controllo della maggioranza delle azioni. La completa privatizzazione, forse necessaria per la sua forte valenza simbolica nei confronti dei mercati finanziari angloamericani, viste le condizioni del debito pubblico, fu tuttavia condotta con grande professionalità e perizia portando alla nascita della prima effettiva public company italiana. Oltre il 90% del capitale azionario era distribuito in Borsa. Solo una frazione assai modesta, pari a poco meno del 10%, era controllata da un variegato e numeroso gruppo di grandi azionisti, in cui peraltro nessuno aveva oggettive possibilità di primato. Telecom Italia nasceva con tutte le caratteristiche della contendibilità e un’invidiabile posizione di primato tecnologico e finanziario a livello mondiale. Su queste basi venne impostata una lungimirante strategia di crescita multinazionale con l’acquisizione di quote di mercato significative in alcuni paesi limitrofi e in America Latina, al fine di ottenere l’aumento del numero di linee e dei volumi di traffico e ponendo le basi per poter trarre beneficio dalla dinamica dei rendimenti crescenti. Nel contempo l’Olivetti aveva saputo superare una delicata fase di transizione coronata dalla brillante entrata nell’industria delle telecomunicazioni.

Nell’economia italiana si trovavano ben disposti tutti gli elementi costitutivi che avrebbero potuto alimentare l’avvio di un processo schumpeteriano su una tecnologia di frontiera.

Tutto questo non accadde, con grave danno per l’economia italiana, a causa di un’irresponsabile avventura speculativa. L’irrazionale esuberanza dei mercati finanziari di fine secolo, unita all’entusiasmo tipico dei molti neoconvertiti al liberismo, non seppe arginare un’operazione finanziaria rocambolesca. 7 I fatti sono ben noti. Un gruppo di spregiudicati affaristi organizzò un vero e proprio leveragedbuy- out, ovvero una scalata a leva. L’operazione scaricò su Telecom Italia un debito pesantissimo di natura esclusivamente finanziaria, che si rivelò insostenibile. Nel frattempo, l’Olivetti veniva travolta e costretta a svendere le due imprese telefoniche che aveva saputo far crescere favorendo l’entrata in forze di imprese multinazionali straniere.

Da allora la storia dell’industria delle telecomunicazioni in Italia ha visto il continuo allargamento della penetrazione delle multinazionali e, al contempo, il progressivo restringimento dell’impresa leader oppressa da un debito sempre più oneroso. Per finanziare il quale l’azienda è stata costretta a svendere progressivamente il patrimonio di linee acquisite all’estero, perdendo quasi del tutto la base multinazionale, a ridurre i volumi di investimento nell’ammodernamento della rete e delle attività di ricerca e a tenere i prezzi dei servizi elevati senza poter alimentare un adeguato flusso di innovazioni. Il tentativo della gestione Tronchetti Provera di mettere a frutto il potenziale latente delle economie di scopo dal lato della domanda con l’integrazione fisso-mobile non ebbe successo anche per gli ostacoli sollevati dalle Autorità di regolazione; esso, anzi, portò a un ulteriore aggravamento del debito con la fusione tra Telecom Italia e TIM, pagata a prezzi eccessivi.

La diffusione delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione nel sistema economico è stata rallentata dai prezzi troppo elevati dei servizi e dalla grave carenza qualitativa dell’offerta che non era in grado di estendere la fibra ottica a tappeto. Si sono accumulati gravi ritardi nella penetrazione delle tecnologie digitali nel paese, che a loro volta hanno penalizzato la crescita delle imprese di telecomunicazioni. Si è avviato così un tipico processo a spirale di tipo degenerativo, speculare alla dinamica virtuosa che si era prodotta nel frattempo nel resto d’Europa dove l’impresa leader saldamente controllata dai rispettivi Stati nazionali agiva da volano della crescita della produttività totale dei fattori, garantendo prezzi contenuti e un’ampia gamma di servizi avanzati.8

Queste sono le condizioni in cui si trova l’industria delle telecomunicazioni italiana alla fine della prima decade del XXI secolo. La grave crisi finanziaria dell’autunno del 2008 mette a repentaglio la sostenibilità dell’operazione finanziaria escogitata per evitare il collasso della compagine e assicurarne il controllo italiano dopo l’uscita di scena del gruppo Pirelli. La caduta dei valori di Borsa espone infatti il gruppo Mediobanca al rischio di forti minusvalenze e si avvertono scricchiolii sinistri nella tenuta del resto della compagine. Al tempo stesso i volumi di traffico dati e immagini legati alla diffusione di Internet come bene di consumo continuano a crescere in modo esponenziale mettendo in crisi l’assetto produttivo del gruppo basato sulla creativa combinazione di una rete di trasmissione in fibra ottica con una rete di distribuzione in rame, arricchito dalle nuove tecnologie di compressione. La grande innovazione in tali tecnologie, messa a punto dalla Pirelli – che del resto aveva spinto lo stesso gruppo ad impegnarsi in un tentativo rivelatosi presto impraticabile – aveva infatti consentito di procrastinare l’uso delle rete di distribuzione in rame. Già da alcuni anni è tuttavia evidente che la capacità di offerta di Telecom Italia non è più in grado di smaltire un traffico crescente, ma povero. Per converso, e per la prima volta da almeno due decenni, i volumi di traffico ricco, legato alla telefonia digitale, rallentano. L’assenza dai mercati ancora in rapida crescita non consente a Telecom Italia di compensare la saturazione della domanda.

Si delinea così un passaggio critico. Per un verso, l’equilibrio stazionario in cui si era rifugiato il gruppo non è più praticabile. Gli azionisti di controllo, fortemente indebitati, sono messi in difficoltà dai tentativi del nuovo management di contenere gli esosi dividendi. La crescita della domanda nei mercati di riferimento langue. La necessità di sviluppare una nuova rete integrata di trasmissione e distribuzione capace di sostenere il rapido passaggio di Internet alla multimedialità è ormai evidente. Il rischio che il nuovo indebitamento, necessario per realizzare la nuova rete, possa definitivamente schiacciare l’impresa si fa concreto. Si prospettano numerosi scenari. Almeno quattro devono essere presi in seria considerazione.

 

Lo scenario che privilegia la domanda

L’analisi economica ha confermato che la maggior parte dei benefici economici in termini di crescita della produttività totale dei fattori, e quindi crescita del sistema nel suo complesso e della sua competitività, si produce dal lato della domanda e non dell’offerta, come molti pervicacemente continuano a pensare. L’interesse precipuo del paese consiste dunque, in primo luogo, nel garantire le condizioni per le quali i consumatori finali e, soprattutto, gli utilizzatori intermedi trovino sui mercati la più ampia gamma di beni e servizi avanzati offerti ai prezzi più contenuti. Solo così la penetrazione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, assai arretrata nel caso italiano, potrà essere aumentata. La dinamica dell’adozione creativa può avere luogo solo se l’offerta agisce in condizioni di efficienza dinamica. L’integrazione di Telecom Italia in un gruppo multinazionale di grandi dimensioni, tecnologicamente all’avanguardia, che controlli un grandissimo numero di linee e sia presente in paesi con forti tassi di crescita del traffico, appare la prospettiva più ragionevole, tanto più plausibile se l’impresa multinazionale in questione è già presente nella compagine azionaria. Le istituzioni finanziarie del paese possono liberare le cospicue somme investite per garantire il controllo dell’impresa e avviare investimenti in aree più fruttuose e meno compromesse sul piano finanziario. Il vantaggio dal lato della domanda appare evidente e tanto più sicuro in quanto le Autorità di regolazione esercitino una pressante azione di stimolo. Le conseguenze negative consistono evidentemente nello svuotamento quasi automatico delle capacità tecnologiche comprese nel perimetro dell’impresa e concentrate nella progettazione di software applicativi. Le ricadute negative in termini di impoverimento della capacità tecnologica del paese non sembrano trascurabili, soprattutto in termini di perdita dei cospicui effetti di spillover.

Lo scenario della net neutralità

Il tema della net neutrality si agita nella mente di molti. Secondo questa linea di pensiero si può concepire una separazione netta delle attività relative alla rete dalle attività volte all’offerta di servizi che si avvalgono della rete. Le rete sarebbe cioè neutrale, anzi dovrebbe essere neutrale. La neutralità della rete dovrebbe favorire l’accesso di terzi alle infrastrutture esistenti e garantire la concorrenza ancor più di quanto la pratica dell’interconessione obbligatoria (mandated interconnection), su cui si basa la moderna regolamentazione dei servizi di telecomunicazione, possa consentire. La separazione della rete e la sua identificazione societaria in un’azienda terza e autonoma consentirebbe ad una pluralità di imprese, anche di minori dimensioni, di avvalersi dei servizi di transito a prezzi equi con effetti positivi sulla qualità dei servizi e sui loro prezzi. Questa soluzione avrebbe il vantaggio di massimizzare i vantaggi dei rendimenti crescenti, in particolare quelli che scaturiscono dall’indivisibilità tecnologica dell’infrastruttura di rete e dalle esternalità di rete. Ma la separazione della rete e quindi l’affermazione della dottrina della net neutrality avrebbe anche, per qualcuno soprattutto, il vantaggio di consentire l’effettivo risanamento finanziario di Telecom Italia. L’azienda sarebbe infatti “costretta” a cedere la rete. Ma potrebbe ricavare dalla transazione una quantità di risorse finanziarie che, a conti fatti, le consentirebbe di ricondurre il debito a livelli sopportabili. Il grande fardello finanziario troverebbe infine una sistemazione. L’esempio positivo di Terna, l’impresa cui è affidata la gestione della rete elettrica, in un regime di separazione dalla produzione e distribuzione dell’energia elettrica, viene citato a favore di questa soluzione. Indubbiamente ci sono risvolti positivi anche sul piano finanziario: Terna è a tutti gli effetti una public company e come questa, dunque, la costituenda azienda di gestione della rete potrebbe essere a sua volta quotata in Borsa riducendo il carico delle istituzioni finanziarie del paese. Il tallone di Achille di questa soluzione consiste nella difficoltà di separare la gestione della rete dalla sua progettazione e, soprattutto, nella sostanziale indivisibilità della rete e della sua specifica configurazione dal resto delle attività di un’impresa di telecomunicazioni in un contesto dinamico in cui il cambiamento tecnologico è ancora in atto. La rete neutrale, e come tale separabile, è in realtà la rete del presente, non la rete del futuro. La progettazione della rete – le grandi scelte strategiche che si annunciano, ad esempio, in merito all’opportunità di progettare la nuova rete anche multimediale come un portafoglio di reti modulari e complementari, realizzate con tecnologie in parte fisse e in parte mobili, con segmenti addirittura satellitari – rappresenta a tutti gli effetti il cuore stesso dell’industria. Le scelte relative alla configurazione futura delle reti non possono essere facilmente sepa rate dalle scelte strategiche a forte contenuto innovativo relative ai pacchetti di software applicativo che presiedono al funzionamento della rete e alla gamma dei servizi e alle stesse strategie di mercato dell’azienda. Un’impresa di telecomunicazioni priva di una rete è un’impresa assente dal segmento a maggiore valore aggiunto dell’attività. Nei fatti l’onere, la responsabilità, ma allora anche la capacità imprenditoriale, scivolerebbero inevitabilmente fuori dal perimetro di Telecom Italia verso la costituenda impresa della rete. A questo si aggiungono altri elementi di perplessità. In primo luogo, è evidente che la rete di Telecom non è l’unica in Italia: altri operatori, oppressi da un eccesso di debito, potrebbero avere interesse a “conferire” le loro porzioni di rete con seri problemi di integrazione. In secondo luogo, questa soluzione rende evidente i limiti dimensionali della nuova impresa, che non potrebbe fruire dei rendimenti crescenti che scaturiscono dalla non deperibilità della conoscenza incorporata nei software applicativi, mentre i principali operatori internazionali possono ripartire gli stessi costi fissi su alcune centinaia di milioni di linee. Di conseguenza i costi di transito di una rete domestica sarebbero nettamente superiori a quelli degli altri paesi con evidente danno per il paese che già soffre di un grave ritardo nella diffusione delle tecnologie digitali. La crescita multinazionale dell’azienda rete sembra del resto fuori discussione.

 

Lo scenario multimediale

La convergenza tecnologica è la parola chiave per comprendere la logica economica di questo scenario. Le tecnologie digitali consentono di integrare il traffico voce, dati e immagini in un unico vettore. Il passaggio delle trasmissioni radiotelevisive alle tecnologie digitali è ormai in corso. La RAI ha ritenuto di dover procedere in modo autonomo senza ricercare forme di collaborazione e integrazione. Altri operatori radiotelevisivi sono stati più prudenti. La costruzione di una rete integrata che metta capo alla distribuzione capillare dei servizi Internet e dei servizi radiotelevisivi consentirebbe di beneficiare dei rendimenti crescenti legati alle economie di densità da traffico. La fine del privilegio dell’uso delle frequenze radiotelevisive, concesse a prezzi nettamente inferiori a quelle usate dalle telecomunicazioni, rafforzerebbe questi vantaggi. Da un punto di vista aziendale questo scenario ha il vantaggio di consentire il finanziamento della nuova rete che, anche articolata in moduli complementari, sarebbe caratterizzata da una spiccata valenza multimediale. In questo caso i rendimenti crescenti da indivisibilità della rete, prodotti dai cospicui traffici video, si sommerebbero ai vantaggi dell’interattività nel campo della radio e della televisione con i forti effetti positivi in termini di rendimenti crescenti dal lato della domanda delle esternalità di rete. Dal punto di vista della politica economica questo scenario offre i vantaggi di consentire la realizzazione di una vera rete universale in tempi rapidi, l’abbattimento dei prezzi per i consumatori e gli utilizzatori intermedi di servizi Internet e soprattutto di favorire l’ampliamento del numero di operatori nell’industria radiotelevisiva non più vincolata dai limiti dello spazio hertziano disponibile. Per avere un quadro di valutazione più completo si devono esaminare le implicazioni dell’inevitabile fusione tra Telecom Italia e Mediaset. Visto il pericoloso livello di debito della prima e la solidità finanziaria della seconda è evidente che i prezzi di concambio darebbero all’azionariato Mediaset una forte maggioranza.

 

Lo scenario del compromesso

In medio stat virtus? La separazione della rete e la sua assegnazione a una società terza, quotata in Borsa, ma con un chiaro controllo azionario da parte di Telecom Italia potrebbe rappresentare il passaggio a Nord-Ovest. La nuova società potrebbe essere quotata in Borsa con tutti i benefici finanziari del caso. Essa sarebbe naturalmente sottoposta al controllo delle Autorità di regolazione: in effetti la separazione societaria faciliterebbe l’effettiva applicazione dell’interconnessione obbligatoria e della fissazione di prezzi di interconnessione alla rete esistente equi e trasparenti. Il controllo azionario della nuova impresa consentirebbe tuttavia a Telecom Italia di esprimere appieno le scelte strategiche relative sia alle tecnologie della rete futura che dei software applicativi a essa connessa, consentendo l’elaborazione di strategie che siano in grado di scegliere i segmenti di mercato verso i quali rivolgersi, aprendosi in particolare a soluzioni che consentano l’uso integrato della rete come vettore di servizi di telecomunicazione di voce, di dati e di immagini.9 La valutazione di questi scenari richiede competenza e una partecipazione quanto più possibile allargata alla società civile. Solo un intervento pubblico calibrato e realizzato con incisività può consentire la soluzione più favorevole da un punto di vista complessivo, ma richiede a sua volta un’effettiva mobilitazione di risorse non solo finanziarie, ma anche istituzionali e, visti gli errori del passato, intellettuali.10


[1] C. Antonelli, P. P. Patrucco, F. Quatraro, Transizioni tecnologiche e modelli economici, in G. Berta (a cura di), La questione settentrionale. Economia e società in trasformazione, Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Milano 2007, pp.175-228.

[2] G. Madden (a cura di), The international handbook of telecommunications economics, Edward Elgar, Cheltenham 2003.

[3] C. Antonelli, E. Baranes, The design of communication systems, in “Communications & Strategies”, 68/2007.

[4] La dinamica schumpeteriana classica si mette in moto quando la diminuzione dei prezzi dei servizi sui mercati, che scaturisce dall’entrata di nuove imprese e dai vantaggi dei rendimenti crescenti, e l’aumento della gamma dei prodotti, danno luogo a processi di adozione creativa e apprendimento che, rafforzati dalla dinamica delle esternalità di rete, sia dal lato dei consumatori finali sia degli utilizzatori intermedi, alimentano una forte crescita della domanda. L’espansione della domanda attrae nuove imprese innovative e, al tempo stesso, consente alle imprese esistenti di trarre vantaggio dalla combinazione di varie forme di economie di densità. In questo modo è possibile ottenere un incremento dei margini di autofinanziamento nonostante la diminuzione dei prezzi e quindi alimentare la dinamica innovativa finanziando l’introduzione di nuove tecnologie di prodotto e di
processo.

[5] Antonelli, Patrucco, Quatraro, The economics of new information and communication technologies, in W. Donsbach (a cura di), The International Encyclopedia of Communication, Blackwell, Oxford 2008.

[6] M. Fransman, The New ICT Ecosystem: Implications for Europe, Kokoro, Edimburgo 2008.

[7] R. J. Shiller, Irrational Exuberance, Princeton University Press, Princeton 2000.

[8] M. Fransman (a cura di), Global Broadband Battles: Why the US and Europe Lag while Asia Leads, Stanford University Press, Palo Alto 2006.

[9] A ben vedere si tratta di riprodurre con le avvertenze del caso il rapporto tra ENI e SNAM.

[10] Si ringraziano Aldo Enrietti, Federico Fornaio, Andrea Gavosto, Marcello Messori, Giacinto Militello e Pierpaolo Patrucco per i loro commenti e suggerimenti.