Marcella Lucidi

Marcella Lucidi

avvocato, già sottosegretario di Stato al ministero dell’Interno.

Una storia di sogni e di memoria

Possiamo saperne abbastanza dei migranti del nostro tempo. Nella cornice mediatica dell’emergenza, le loro immagini si sono consegnate ogni giorno al nostro sguardo che, a volte, si scopre abituato alle testimonianze drammatiche dei destini ancora affidati al mare. Conosciamo i teatri delle guerre, delle persecuzioni, della carestia e della miseria che, dall’Africa, dall’Asia e dall’Est europeo, spingono a partire per raggiungere le coste italiane, punto di approdo e porta d’ingresso al Vecchio continente tra i più favorevoli. E vediamo i migranti ritratti in tutte le fotografie del paese reale: più di cinque milioni di persone che hanno scelto di vivere in Italia, diventandone parte integrante senza che si sia ancora compiuto il loro processo di integrazione.
Più difficile è ascoltarne e comprenderne i sogni. Continua a spaventarci il cambiamento che i numeri dell’esodo ci hanno imposto proprio mentre già cedevano le nostre certezze materiali e le nostre forme sociali.

Viaggio nella condizione del migrante

Sebbene il fenomeno migratorio sia già entrato nella storia recente delle democrazie occidentali e stia concorrendo a tracciarne il destino, il mestiere di studiarne le dinamiche, i dati, l’impatto sociale ed economico, per tentare di governare i cambiamenti in atto, pare essere ancora delegato a pochi. Questi analisti, così appassionati nell’approfondirne i limiti e le potenzialità, sono consapevoli di risultare scarsamente interessanti nel contesto di un dibattito asservito alla percezione piuttosto che alla realtà. Chi sa di dover maneggiare con cura un tema così complesso ha imparato, a proprie spese, che i toni bassi e l’invito al ragionamento sono facilmente destinati all’insuccesso, ancor di più quando le parole usate risultano impopolari, perché estranee ai codici di lettura semplificati ormai radicati nell’opinione pubblica.

Immigrazione, rompere l’incantesimo della solitudine

Per più di un quarto di secolo il racconto dell’immigrazione verso l’Europa, dei viaggi di coloro che l’hanno raggiunta per terra o per mare, è stato premesso dalla parola “emergenza” e ha orientato lo sguardo pressoché esclusivamente in direzione delle coste mediterranee, dove si compiono rotte in continuo cambiamento lungo un mare che oggi è considerato il più pericoloso al mondo, rotte originate dai drammi sociali, civili ed economici di numerosi paesi africani e asiatici.

Il destino dei migranti e l’anima dell’Europa

La pressione che folle di disperati in fuga dal Medio Oriente e dall’Africa stanno esercitando sull’Europa, alimentando le paure, anche ingiustificate, delle comunità locali, unisce e rafforza le spinte antieuropeiste e populiste già in campo e rischia, con la riproposizione di misure ispirate alla difesa degli interessi nazionali, di compromettere l’esistenza stessa del progetto europeo. Anche il discorso pubblico delle forze politiche più genuinamente europeiste e progressiste sconta la difficoltà di far comprendere ai cittadini come quella che ci ostiniamo a definire “emergenza umanitaria” sia un dato ormai strutturale delle società del nostro tempo. E a poco serve nascondersi dietro la distinzione formale tra profughi e migranti economici nel tentativo di collocare lungo una gerarchia della disperazione chi fugge in cerca di una vita che sia libera e allo stesso tempo dignitosa.

Per una gestione condivisa dei flussi migratori

L’ennesima tragedia nel Canale di Sicilia ha messo in evidenza ancora una volta i limiti e gli egoismi dei paesi membri nella suddivisione degli oneri relativi alla gestione dei flussi di richiedenti asilo e migranti. Occorre una visione olistica del fenomeno che superi il concetto di emergenza. Le speranze sono ora riposte nell’Agenda sull’immigrazione che la Commissione europea presenterà il 13 maggio.

Strumenti nuovi per affrontare la complessità dei processi migratori

Il fenomeno migratorio ha assunto in Italia, negli ultimi venti anni, i tratti di un processo epocale. A esso, pur essendo il nostro paese al centro dei consistenti flussi che attraversano il bacino del Mediterraneo, si è reagito prendendone le distanze, pretendendo di controllarlo e contrastarlo. A dimostrare quanto fosse inefficace e miope questo approccio sta la realtà della consistente presenza straniera sul territorio nazionale e della volontà di integrazione degli immigrati nel tessuto sociale. È giunto il momento, per il sistema politico, di divenire consapevole della complessità dei flussi migratori e di farsi carico, con strumenti normativi e conoscitivi adeguati, del compito di dare forma alla realtà interculturale che abbiamo di fronte.

Nuove regole per un’immigrazione sostenibile

Il drammatico naufragio al largo delle coste di Lampedusa del 3 ottobre scorso ha riportato alla ribalta la questione del ripensamento delle normative che regolano l’immigrazione nel nostro paese, a partire da quella che introduce il reato di immigrazione clandestina. Fino ad ora, è mancata una legislazione che guardasse al fenomeno in modo ampio e lo considerasse non come una contingenza ma come un elemento imprescindibile della nostra epoca.

Un futuro con le seconde generazioni

La società italiana si trova a dover ripensare il futuro interculturale del paese, abbandonando strategie difensive e riconoscendo agli immigrati di seconda generazione pari opportunità e diritti, a cominciare dalla cittadinanza. Solo così l’Italia può aspirare a crescere e a esprimersi nel nuovo contesto globale come una comunità civile e democratica.

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