Il referendum in Grecia di domenica scorsa non è stato, come da più parti si è voluto descriverlo, una scelta fra euro e dracma. Si è trattato piuttosto di un’occasione per riportare il dibattito su un piano politico, riconoscere il fallimento delle politiche di austerità e costringere la socialdemocrazia europea a prendere posizione.
Continua il braccio di ferro tra il governo Tsipras e i creditori della Grecia per giungere a un accordo che possa essere accettabile per il Parlamento ellenico, al fine di evitare nuove elezioni, e che allenti quella morsa di rigore in cui il paese e incastrato ormai da cinque anni.
Negli ultimi tre anni la Grecia, più di ogni altro paese europeo, ha dovuto introdurre, “in accordo” con la Troika, misure eccezionali e riforme strutturali per superare la gravissima crisi economica in atto nel paese. L’austerità è stata il leit motiv di questo processo che sta però avendo dei costi sociali altissimi e che potrebbe portare al disgregamento della classe media, mettendo a rischio la tenuta stessa della democrazia.
La crisi economica e le politiche di austerità hanno avuto un impatto devastante sulla crescita del Regno Unito. La sfida per i partiti di sinistra, ora, è riuscire non solo a ripristinare la fiducia popolare nelle proprie capacità di gestire le difficoltà, ma soprattutto progettare una strategia di sviluppo credibile.
Perché l’elezione di François Hollande è stata così incoraggiante? Perché ha ricordato agli europei che un’alternativa all’austerità è possibile e che la scelta appartiene al popolo. Un monito per la sinistra europea dovrebbe essere che “la triste realtà della gente ordinaria non è una conclusione scontata”.
Puoi acquistare il numero 1/2024
Dove va l'Europa? | L'approssimarsi del voto per il rinnovo del Parlamento europeo impone una riflessione sulle proposte su cui i partiti e le famiglie politiche europee si confronteranno | Leggi tutto