Servono risposte nuove, in primo luogo sull'economia

Di Paolo Guerrieri Mercoledì 28 Maggio 2014 11:32 Stampa
Servono risposte nuove, in primo luogo sull'economia Foto: Kārlis Dambrāns

L’avanzata dei movimenti e dei partiti dell’euroscetticismo dovrebbe suonare come un campanello dall’allarme per l’Unione europea, come uno sprone a cercare risposte nuove alla crisi economica e dell’euro che marchino una profonda discontinuità con le politiche di austerità adottate finora e puntino invece al rilancio della crescita e della occupazione.


È stato un vero e proprio shock, ma non certo una sorpresa, il voto europeo del 25 maggio. L’avanzata dei movimenti e dei partiti dell’euroscetticismo è stata impressionante un po’ ovunque, a partire da Francia e Gran Bretagna, ove rispettivamente il Front National di Marine Le Pen e l’UKIP di Nigel Farage hanno ottenuto consensi record e scalzato i partiti tradizionali. Risultati a sorpresa anche in Spagna, dove sia il Partido Popular che il PSOE sono arretrati, e per la prima volta i due partiti insieme non raggiungono il 50% dei voti. Solo la Germania e l’Italia hanno fatto eccezione, pur se per ragioni diverse.

Le tendenze in atto, se viste nel loro insieme, segnalano fenomeni sotto molti aspetti allarmanti. Il nazionalismo e il populismo sono tornati drammaticamente a minacciare il futuro dell’Europa. Non c’è dubbio che la maldestra gestione della crisi dell’euro da parte dei governi nazionali, in larga parte conservatori e di centrodestra, abbia fortemente contribuito alla crescita della protesta in Europa. Servirebbero pertanto delle risposte nuove che siano all’altezza delle grandi sfide da fronteggiare. A partire dalle fallimentari politiche economiche d’austerità fin qui messe in campo. A causa soprattutto di tali politiche, i paesi più indebitati – e tra questi anche il nostro – si sono avvitati in questi ultimi anni in un circolo vizioso, in cui aumenti di imposte e riduzioni di spese hanno depresso il reddito e aumentato il rapporto debito/PIL. Ne è derivata una prolungata fase recessiva, la seconda dopo quella del 2008-2009, da cui si fatica tuttora a uscire.

In queste condizioni il rischio più grave è un lungo ristagno economico dell’area europea, che potrebbe prolungarsi per tutto il decennio in corso. È scontato che ciò favorirebbe un ulteriore rafforzamento dei partiti e movimenti euroscettici. Fino ad arrivare a minacciare da vicino la stessa sopravvivenza del processo di integrazione europea.

Per fronteggiare scenari così inquietanti la soluzione non è ovviamente uscire dall’euro come propongono in modo irresponsabile gli euroscettici, ma cercare di uscire dalle politiche sbagliate condotte finora, marcando una profonda discontinuità. Servono interventi mirati e misure finalmente efficaci in direzione del rilancio della crescita e della occupazione, a partire da una maggiore simmetria nei processi di aggiustamento e un forte ciclo di investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, da favorire a livello europeo e nazionale con nuovi accordi tipo “golden rule”.

Solo una volta avviato un tale profondo rinnovamento delle politiche adottate, come via di uscita dalla crisi, sarà poi possibile rilanciare un ulteriore approfondimento e la necessaria revisione della struttura istituzionale dell’UE.

A questo riguardo un ruolo fondamentale avrà il pacchetto di nomine in discussione a Bruxelles, a partire da quella del presidente della Commissione europea. Si è già aperto un negoziato che si annuncia lungo e complesso, e non solo per le procedure, tra il Parlamento europeo e il Consiglio europeo per decidere chi dovrà succedere a José Manuel Barroso. Il centrodestra può dire di avere vinto anche se ha subito un netto calo dei seggi e il capolista popolare, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, si è candidato – come era negli accordi della vigilia – alla presidenza della Commissione, pronto a formare la più ampia delle coalizioni possibili. Se non ce la farà – com’è molto probabile – la sola maggioranza possibile per avviare la nuova legislatura sarà quella di una grande coalizione tra le due maggiori forze europee, aperta al contributo delle altre due componenti minori. Alla sua guida potrà essere chiamato un terzo candidato in grado di riunire le diverse forze in campo e che auspicabilmente sia in condizioni di esprimere una leadership forte e di grande visione. Anche perché sarebbe necessaria, per il futuro, una governance economica europea più equilibrata rispetto al passato e meno dipendente dal potere del Consiglio europeo e dei paesi più forti (leggi Germania), che hanno preso in questi anni tutte le decisioni più importanti.

Le nomine sono naturalmente importanti, ma ancor più conteranno i contenuti delle scelte e i programmi alla base della nuova maggioranza. A questo riguardo l’Italia, anche per l’entità della vittoria del Partito Democratico, che ne fa il primo partito socialista europeo, potrà giocare un ruolo assai importante. Pur se l’ultima parola spetterà come sempre alla Germania, che si è in una certa misura salvata dall’ondata populista ma si ritrova un po’ più isolata dal resto dell’Europa e in presenza di equilibri del Vecchio continente pressoché sconvolti dal voto europeo.

 

 


Foto: Kārlis Dambrāns

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