Mezzogiorno: per un nuovo racconto politico del Sud

Di Salvatore Scalzo Venerdì 02 Agosto 2013 14:12 Stampa
Mezzogiorno: per un nuovo racconto politico del Sud Foto: Vincepal

Nel periodo 2008-2012 il Mezzogiorno ha registrato un calo del 10,1% del PIL, accrescendo così la divergenza nella performance economica rispetto al Nord del paese. La drammaticità di questi dati stride con l’assenza di uno sforzo programmatico teso a farvi fronte sia da parte dei partiti che del governo. Il Sud sta scomparendo dall’agenda politica del paese, soffocato da pregiudizi, luoghi comuni e retorica strumentale che le forze progressiste nazionali non hanno saputo contrastare.

Secondo le anticipazioni del Rapporto SVIMEZ 2013 sull’economia del Mezzogiorno, il 2012 registra una flessione molto marcata dell’economia italiana. Non meraviglia che in un tale contesto di generale recessione, il Mezzogiorno segni un peggioramento ancora più profondo. Il PIL del Sud Italia nel solo 2012 perde il 3,2% a fronte del –2,1% del Centro-Nord, ma nell’intero periodo 2008-12 il Mezzogiorno, con un –10,1% del PIL, arretra in misura quasi doppia rispetto al Centro-Nord (–5,8%). Sul fronte dell’occupazione i dati sono analoghi. Emerge, in particolare, che nel periodo 2008-12, il 60% delle persone che hanno perduto il posto di lavoro nel nostro paese risiede nel Mezzogiorno. La conseguenza è che, in un’Italia dall’economia stagnante, si allargano le disparità tra la parte più povera e quella relativamente più ricca del paese, vanificando ogni tentativo, dichiarato o reale, di convergenza.

Ciò che colpisce è che l’accoglienza del Rapporto SVIMEZ nell’ambito della società civile e della politica del paese è in linea con la più generale ricezione della questione del Mezzogiorno nelle pieghe del dibattito nazionale. Si fatica a cogliere una saldatura tra la portata e il significato delle cifre e uno sforzo coerente di elaborazione programmatica nei partiti e nel governo del paese. Effettivamente, il Sud è assente da una significativa, perseverante e coerente agenda programmatica della politica, da molto tempo, da quasi vent’anni se non si tiene conto della breve parentesi di fine anni Novanta. E il discorso politico sul Sud è stato frammentato e condito di strumentalità, pregiudizio, luoghi comuni, timore. Sotto questa coltre di fumo, i conti pubblici documentano, invece, non solo un’infondatezza della retorica dello spreco, ma anche uno Stato che viene meno agli impegni con il pezzo più sensibile del proprio territorio. Infatti, a fronte di un obiettivo dichiarato di salvaguardare il 45% della spesa in conto capitale della PA nel Mezzogiorno, essa è, in realtà, passata dal 40,4% nel 2001 al 31,1% nel 2011. C’è stata una tendenza progressiva a sostituire la flessione dei fondi ordinari con risorse straordinarie, il che non è esattamente ciò che può consentire a un paese di riavviare una convergenza tra aree a diverso grado di sviluppo.

Ecco perché, prima ancora di discutere dei contenuti delle politiche, una forza progressista radicata e autorevole ha il dovere di costruire un diverso racconto politico nazionale del Sud e tessere una strategia politica mirata, con impegni seri e verificabili. Accanto a ciò, l’esperienza recente insegna che serve una nuova governance delle politiche per il Mezzogiorno, con una funzione di coordinamento più forte del governo centrale, tanto con riferimento alle politiche regionali, quanto a quelle ordinarie.

Quanto alla politica regionale, un primo importante lavoro, in tal senso, è stato inaugurato dal ministro Barca nella precedente legislatura. La fissazione di una serie di principi di lavoro, tra cui l’indirizzo nazionale, la concentrazione degli interventi sulla realizzazione di beni pubblici (trasporti, agenda digitale, scuola, cura degli anziani e infanzia, giustizia), la verificabilità e la natura sostanziale dei risultati attesi delle politiche, sono primi spunti di una revisione della governance delle politiche regionali, capace di puntare all’infrastrutturazione materiale e immateriale del Mezzogiorno, quale condizione dello sviluppo e di porre una linea di discontinuità non solo rispetto all’abbondare di trasferimenti diretti di natura clientelare a imprese o individui, ma anche alla dispersione/perdita di risorse o all’abuso dei cosiddetti progetti incoerenti, improduttivi e scarsamente innovativi.

È evidente che, nel quadro della dotazione dei cosiddetti collective goods o beni pubblici, le politiche regionali possono offrire un contributo importante, soprattutto se appropriatamente attuate, ma possono molto poco se l’attuazione delle politiche ordinarie nel Mezzogiorno non conosce una svolta storica. Una governance nuova delle politiche ordinarie, capace di valorizzare il ruolo di coordinamento, indirizzo e controllo del centro senza sacrificare il coinvolgimento delle autonomie e capace di operare politiche ragionevolmente differenziate per arrivare a risultati similari e livelli analoghi dei servizi nei vari contesti, è il cuore di una nuova visione del Mezzogiorno. Il Sud avverte un ritardo critico quanto al livello di assistenza sanitaria e sociale, stato di legalità, istruzione e formazione, trasporti pubblici. Il ritardo in questi settori decisivi non rappresenta solo un pesante limite alla competitività dei sistemi produttivi ma soprattutto è la causa di una sottrazione di risorse all’investimento pubblico e privato. L’emigrazione sanitaria, l’emigrazione per ragioni di formazione, i disservizi dei trasporti e dei servizi sociali, le conseguenze dei più bassi livelli di istruzione locale non solo sul valore economico del capitale umano ma anche sull’inclinazione all’irregolarità del lavoro (uno studio di alcuni anni addietro ha dimostrato la correlazione tra bassi risultati del sistema formativo e tendenza dell’individuo a confluire nel mondo del sommerso) sono tutti fenomeni che distolgono decine di miliardi di euro dall’economia meridionale e che, soprattutto, potrebbero essere combattuti, in molti casi, senza spese eccessive, ma solo con un diverso sistema di regolamentazione, di controlli, di riorganizzazione funzionale della burocrazia. Inoltre, una condizione dei servizi più in linea con il resto del paese rappresenta, in assenza di strumenti nazionali di integrazione del reddito, un argine al progressivo impoverimento della classe media (il 14,1% delle famiglie meridionali vive con meno di mille euro al mese) e, dunque, un contributo a una stabilità sociale necessariamente richiesta da una strategia politica di medio-lungo periodo per il Mezzogiorno.

Quanto questa nuova relazione tra livelli centrali e periferici possa stare dentro l’architettura costituzionale costruita dalla recente riforma del titolo V dovrà costituire, infine, oggetto di serio approfondimento. Certamente, negli ultimi anni, le Regioni hanno costituito una macchina politico-amministrativa costosa e improduttiva, specie al Sud, dove un bacino di nuove competenze e opportunità è stato dilapidato da un personale politico locale privo della preparazione e delle risorse culturali, politiche ed etiche per esercitare al meglio il proprio mandato. Forse un affinamento della governance complessiva, così come descritto sopra, unito a una accresciuta funzione formativa e selettiva dei partiti nei confronti delle classi dirigenti meridionali, potrebbero costituire un sufficiente punto di svolta, senza toccare quanto disposto dalla riforma costituzionale del 2001.

 

 


Foto: Vincepal

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