Politica, parole e violenza

Di Mario Del Pero Lunedì 17 Gennaio 2011 10:53 Stampa
Politica, parole e violenza Foto: 21sacraments

Il confronto politico negli Stati Uniti è sempre stato aspro, ma l’ulteriore deterioramento e imbarbarimento cui si assiste in questo periodo, possono essere spiegati, secondo Mario Del Pero, dalle nuove forme di comunicazione e dalla difficile situazione economica e sociale in cui versa il paese.

Non ha senso, ed è anche politicamente inopportuno e poco elegante, attaccare oggi Sarah Palin per quanto accaduto a Tucson una settimana fa. È sempre azzardato e arbitrario stabilire collegamenti tra violenza verbale e violenza fisica, tra le parole e le armi. Lo è a maggior ragione negli Stati Uniti. Dove il Primo emendamento – la proibizione di «porre in essere leggi (…) per limitare la libertà di parola o di stampa» – tutela il diritto di dire anche l’indicibile. E dove – dopo i traumi degli anni Sessanta – gli episodi di violenza politica sono stati rari, soprattutto se correlati sia al livello di violenza generale della società statunitense sia all’estrema asprezza dello scontro politico.

Se vanno evitate strumentalizzazioni dell’attentato alla deputata dell’Arizona Gabrielle Giffords, è nondimeno utile riflettere sulle cause dell’imbarbarimento del confronto politico statunitense, al quale stiamo assistendo ormai da tempo. Osservare oggi la politica statunitense, e le sue rappresentazioni, lascia infatti attoniti. Come è possibile che Sarah Palin sia diventata una credibile aspirante alla presidenza? Come può l’ultraconservatrice, e straordinariamente rozza, Fox TV costituire la principale rete d’informazioni del paese? Quale perverso meccanismo ha trasformato Glenn Beck – con i suoi strafalcioni storici, la sua ostentata grossolanità, il suo iperbolico nazionalismo – in uno dei più ascoltati e influenti commentatori politici? E, infine, perché il mondo liberal ha scelto di rispondere a ciò con una sorta di versione light di Fox, quella MNSBC assai populista, dove il livello di qualità è di poco superiore rispetto a Fox.

Questo deterioramento del confronto politico può essere ricondotto a quattro cause principali. La prima, più generale, si lega alla storia stessa della democrazia statunitense. Che non è – come pretendono alcuni commentatori nostrani – la storia di un civile confronto tra visioni e progetti diversi ma in ultimo conciliabili in nome dell’interesse nazionale, quanto uno scontro aspro e partigiano, fatto di divisioni profonde sulle scelte di politica interna così come su quelle di politica estera. La bipartisanship, negli USA, è stata tanto rara quanto storicamente determinata; ha costituito più l’eccezione che il paradigma.

Alla radicalità della partigianeria odierna contribuiscono però anche le nuove forme della comunicazione e della discussione politica. È questo il secondo fattore da tenere in considerazione. Nell’onnivoro ciclo continuo di news prevalgono frammenti e urla, estremismi e semplificazioni. Lo spazio per la riflessione e la complessità sembra venir meno; ai Tim Russert di “Meet the Press”, leggendario momento settimanale di confronto politico di NBC, subentrano i Keith Olbermann di MNSBC e, appunto, i Glenn Beck di Fox. Un comico intelligente come Jon Stewart appare oggi più sofisticato e preparato della larga maggioranza dei commentatori politici.

Terzo: la natura dei temi che ha concorso in modo cruciale a definire sia il perimetro del confronto politico sia la stessa identità dei due principali partiti. Temi non di rado “etici” – l’aborto, l’omosessualità, il ruolo della religione nella vita pubblica, e altri ancori – che assolutizzano le posizioni, alzano il tono della contrapposizione e rendono ancor più complesso il dialogo e le mediazioni conseguenti. Non è che manchino altri argomenti: la discussione recente su tasse e libertà è lì a mostrarcelo. Ma i temi “etici” sembrano avere acquisito una valenza quasi identitaria per partiti altrimenti lacerati e divisi.

Infine la difficile situazione in cui l’America, e in particolare alcune sue parti, si trova ormai dal 2008. È, quella odierna, un’America in sofferenza: impoverita, preoccupata, spaventata. Un’America dove domina un clima di profondo rigetto delle istituzioni e della politica, accusate a torto o a ragione di essere le principali responsabili della crisi odierna. Un clima che incattivisce il dibattito, legittima il populismo, alimenta le paranoie, abbruttisce.

È questo un problema serio che affligge il paese, come si è ben visto nell’ultima campagna elettorale per le elezioni di metà mandato. Perché abbassando la qualità e la profondità del confronto politico si facilita l’ascesa dei demagoghi e degli incompetenti, la governabilità diventa ancora più complicata e aumenta l’instabilità. Che un pazzo possa assassinare sei persone purtroppo può accadere, è già accaduto e presumibilmente accadrà ancora. Che Sarah Palin possa essere una candidata credibile alla presidenza è invece molto più difficile da comprendere e spiegare.

 

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