Cosa dovrebbero costruire gli egiziani? Legittimità o democrazia?

Di Muhammad Abushaqra Venerdì 21 Dicembre 2012 11:46 Stampa
Cosa dovrebbero costruire gli egiziani? Legittimità o democrazia? Foto: Gigi Ibrahim

I decreti recentemente promulgati dal presidente Morsi, per essere poi ritirati sotto la spinta delle rivendicazioni popolari, hanno rivelato la natura fondamentalmente conservatrice del regime dei Fratelli Musulmani e la sua mancata osservanza dei principi della rivoluzione.


Stanchi di leggere sui quotidiani la notizia che gli egiziani stanno di nuovo manifestando? Vi domandate se la rivoluzione egiziana sia in grado di portare stabilità e pace alla sua gente? Ebbene, poniamoci questa domanda e, senza farci sopraffare dalla noia, vi invito alla riflessione.

Quando Mubarak decise di fare un passo indietro, affidò l’amministrazione dello Stato al Consiglio supremo delle forze armate (SCAF). Secondo la Costituzione del 1971, si è trattato di un atto illegale, poiché in caso di impedimenti – di qualunque genere – del presidente, le sue funzioni devono essere esercitate dal presidente del Parlamento o da quello della Corte suprema. La decisione di Mubarak prova dunque come l’intero periodo di transizione sia stato gestito in modo caotico.

Successivamente, con un Parlamento già dissolto e un’Assemblea costituente non rappresentativa, Mohamed Morsi è diventato il primo presidente civile democraticamente eletto dell’Egitto. Durante la dura e competitiva campagna elettorale, Morsi promise di affrontare le sfide politiche e quelle relative allo sviluppo del paese nei primi cento giorni al governo. Inoltre, si impegnò a riformare l’Assemblea costituente al fine di garantire la coesione nazionale nella fase di stesura della Costituzione.

Come in qualunque nuova democrazia, i cittadini egiziani hanno sperato con forza che tali promesse fossero mantenute. Ciononostante e paradossalmente, i cento giorni sono passati, ma la drammatica situazione dei poveri sta peggiorando, così come i servizi, in un contesto economico spaventoso che non mostra alcun segno di miglioramento, mentre la mano del paese si tende verso l’esterno per chiedere aiuti e prestiti. Intanto, l’Assemblea costituente continua a stilare una costituzione molto debole, sbilanciata e unilaterale.

Oltretutto, e contrariamente al suo impegno al rispetto dello Stato di diritto, il presidente, in più di un’occasione, ha mostrato una personale inclinazione a sfidare il sistema giudiziario, chiedendo al disciolto Parlamento di re-insediarsi, oppure cercando di “licenziare” il pubblico ministero attraverso una sua mozione. Questi tentativi sono stati denunciati e ricusati dal sistema giudiziario.

Malgrado ciò, a sorpresa e senza alcun segnale d’allarme, il presidente Morsi ha emanato un decreto costituzionale attribuendosi poteri faraonici e vestendo le sue decisioni di un’immunità a prova di appello; questo in aggiunta alle misure che assicurano l’Assemblea costituente contro ogni annullamento da parte della magistratura. Dopo aver promulgato questo decreto, il presidente ha fatto un discorso di fronte ai suoi sostenitori della Fratellanza Musulmana e ha dichiarato che la ragione della sua decisione era “assicurare” la rivoluzione e prevenire una seria cospirazione contro la nazione, senza però corroborare le sue affermazioni con prove tangibili.

La mossa del presidente è stata politicamente molto prematura e ha provocato la forte reazione di una folla oltraggiata. Al contrario di quanto affermato dai sostenitori di Morsi, il popolo egiziano ha visto in questo decreto la nascita di un nuovo dittatore. Per di più, per mostrare il proprio disappunto, i giudici egiziani hanno deciso di proclamare uno sciopero e di astenersi dal presentarsi nei tribunali fino alla cancellazione del decreto. Infine, la maggior parte dei consiglieri e degli assistenti dello stesso presidente hanno rassegnato le proprie dimissioni, lamentando il fatto che il presidente non aveva consultato nessuno di loro, nemmeno il vicepresidente, prima della promulgazione del decreto.

Anche i sostenitori del presidente sono scesi in massa per le strade a protestare, sostenendo che gli oppositori del presidente sono atei e non credenti, e che la loro intenzione è mettere in discussione la legittimità di un presidente legalmente eletto. A ciò si aggiunga che lo stesso presidente ha descritto i manifestanti come una minoranza cospiratrice, che coinvolge ciò che rimane del regime di Mubarak. I Fratelli Musulmani e i salafiti hanno persino attaccato i dimostranti che stavano scioperando davanti al palazzo presidenziale, causando la morte di alcuni di loro e il ferimento di altri.

Dopo questo incidente, con una mossa che dimostra fino a che punto il regime sia lontano dal capire le vere rivendicazioni della popolazione, il presidente ha deciso di cancellare il suo decreto e di indire un referendum sulla Costituzione per il 15 dicembre. Il giorno successivo, il presidente ha anche promulgato una riforma fiscale che prevede un aumento delle imposte su oltre cinquanta beni di consumo. Poche ore dopo, su consiglio dell’organo responsabile della sicurezza nazionale, la legge è stata ritirata.

La maggior parte dei magistrati si sono rifiutati di fungere da osservatori nel referendum, il cui primo turno si è concluso con il 56% degli elettori in favore della nuova Costituzione e il 44% contro. In assenza di osservatori locali e internazionali sarebbero stati osservati ampie violazioni e brogli elettorali.

Da quanto detto, se si analizza il comportamento sia del regime che della popolazione, si giunge alle seguenti conclusioni:

1) l’interpretazione che il regime dà del sistema democratico è distorta. I Fratelli Musulmani pensano che il regime di Mubarak sia stato rovesciato solo perché l’ex presidente non era mai stato liberamente eletto dalla popolazione. Non riconoscono inoltre che il credo della rivoluzione fosse “Cibo, libertà e dignità umana”, che non concede ad alcuna autorità – nemmeno a quelle elette – il diritto di rendersi immuni dall’obbligo di rispondere di fronte al popolo e alle altre istituzioni;

2) i Fratelli Musulmani non sono per loro natura riformisti. I loro obiettivi sono: appropriarsi del potere a fronte di deboli riforme e correggere le mancanze della precedente struttura statale, perché sono in grado di avere a che fare solo con quella e non hanno la capacità di crearne una nuova. Non hanno afferrato il messaggio della rivoluzione secondo il quale il popolo ha bisogno di trasformazioni radicali e non di riforme;

3) gli egiziani stanno costruendo qualcosa di nuovo, genuinamente nuovo. Hanno cominciato a unificare l’opposizione creando un fronte di salvezza nazionale che ha lavorato per gestire la crisi e organizzare le proteste;

4) è in corso un reale ed evidente cambiamento nella cultura dell’elettore egiziano che per gli ultimi sessanta anni è stato educato a dire sempre “sì” in qualunque referendum, persino dopo la rivoluzione, ritenendo che i “sì” conducessero alla stabilità. Ciononostante, devono ancora imparare a capire che talvolta sono i “no” a portare stabilità;

5) gli egiziani hanno cominciato a denunciare l’uso dei discorsi religiosi in politica, in quanto questi ultimi hanno indotto il regime a usare dichiarazioni piene di mezze verità e di affermazioni paradossali, come la seguente: se il presidente avesse realmente voluto cambiare il pubblico ministero, il che in effetti costituisce una richiesta rivoluzionaria, avrebbe potuto affidare tale compito al Consiglio giudiziario supremo, piuttosto che fare uso di misure al di fuori della legge, mettendo in tal modo in pericolo la rivoluzione e i suoi principi, tra i quali ci sono lo Stato di diritto e l’indipendenza della magistratura.

La situazione al momento è del tutto precaria, ma richiede ancora pazienza e perseveranza. La democrazia è in fase di costruzione e sta attraversando il suo primo vero esame. Sarà l’esito di questo esame a determinare il futuro di questa nazione.

È dunque meglio dare una chance e credere nelle rivendicazioni di questa rivoluzione. Rivendicazioni che provengono da lavoratori innocenti, studenti universitari e casalinghe ormai stanchi di versare una parte consistente dei loro salari per ripagare prestiti che sono stati utilizzati male. Il popolo egiziano si sta auto-educando e sta eroicamente scrivendo il proprio futuro. Il futuro che sogna per i propri figli.

 

 


Foto: Gigi Ibrahim