Italianieuropei 5/2014
Italianieuropei 5/2014

Agenda

Rimettere in moto l'industria

Focus

I dilemmi del Brasile al voto

In questo numero

Senza un’industria competitiva non è possibile alcuna ripresa economica. Su questo fronte, sia a livello europeo che nazionale, scontiamo l’assenza di una moderna e organica politica industriale che si ponga obiettivi di  medio-lungo periodo e che sappia rispondere alle sfide di una economia sempre più globalizzata.

il Sommario

gli Articoli

Agenda. Rimettere in moto l'industria

Una politica industriale per la crescita

di Ferdinando Nelli Feroci

I pur incoraggianti segnali di ripresa sono ancora insufficienti per far riassorbire gli alti livelli di disoccupazione che affliggono l’Europa. È quindi giunto il momento di spostare l’attenzione sull’economia reale e sulle imprese e promuovere un Rinascimento industriale europeo. Per far ciò bisogna però agevolare l’accesso delle imprese ai mercati e ai fattori di produzione, a partire dal credito, investire nell’innovazione come fonte di competitività e migliorare il quadro normativo specifico. Tutto ciò non può ovviamente prescindere da aggiustamenti nella governance microeconomica per evitare politiche contraddittorie tra gli Stati membri. Un’industria competitiva è il presupposto essenziale per ridare all’Europa il suo ruolo di protagonista sulla scena globale.

Agenda. Rimettere in moto l'industria

Come gli investimenti possono rilanciare l'Europa

di Giovanni Cozzi e Stephany Griffith-Jones

Negli ultimi decenni il sistema finanziario privato non è riuscito ad assolvere bene alle sue funzioni, generando anzi rischi e situazioni di crisi. Ciò ha attirato sempre più l’attenzione sul ruolo positivo che possono svolgere le banche pubbliche per lo sviluppo, le quali, come nel caso della Germania, si sono mostrate in grado di elargire finanziamenti anticiclici e di supportare una strategia dinamica di crescita. Il ricorso alle risorse pubbliche permetterebbe inoltre significativi effetti moltiplicatori in Europa. Accrescendo, ad esempio, il capitale versato della BEI e riorganizzando il bilancio dell’Unione europea si otterrebbe un significativo aumento dei prestiti e degli investimenti in Europa, cui corrisponderebbe non solo la crescita dell’occupazione, ma anche un declino importante del debito pubblico.

Agenda. Rimettere in moto l'industria

Un patto per la manifattura in Europa

di Salvatore Tomaselli

In Europa la ripresa economica, pur iniziata, è ancora debole. Ciò è vero soprattutto nel nostro paese, che ha subito negli ultimi anni una massiccia erosione della base produttiva, tanto da scendere nel 2013 all’ottavo posto nella classifica dei principali paesi manifatturieri, superato dal Brasile. Eppure la nostra industria manifesta una notevole capacità competitiva in settori altamente innovativi e tecnologici. Quello che però manca, in Italia come in Europa, è una moderna e organica politica industriale che si ponga degli obiettivi di medio-lungo periodo e che sappia rispondere alle sfide di una economia mondiale sempre più globalizzata. Da questo punto di vista l’Industrial Compact, promosso dalla Commissione europea nel gennaio scorso, sembra andare nel verso giusto. L’auspicio è che l’Italia, nel corso del semestre di presidenza dell’Unione, sappia favorirne al massimo l’attuazione.

Agenda. Rimettere in moto l'industria

Politiche locali per l'industria

di Giuseppe Berta e Chiara Casalino

L’universo della manifattura contemporanea italiana ospita presidi produttivi di alto valore, realtà d’avanguardia che realizzano standard tra i più avanzati. Sono però esempi virtuosi che non generano effetti sistemici e non riescono a trasmettere sollecitazioni innovative a soggetti con cui non siano direttamente collegati. Cosa fare per provare a correggere questo stato di cose e impedire che il distacco tra le componenti del mondo produttivo che funzionano e quelle che stentano a sopravvivere si accentui ancora di più?

Agenda. Rimettere in moto l'industria

Per il rilancio dell'industria serve un'azione coordinata

di Antonio Andreoni

Di fronte ad alcune significative trasformazioni dell’industria – come la delocalizzazione delle attività manifatturiere in paesi emergenti e la conseguente perdita di importanti patrimoni di competenze produttive –, alla crescente competizione di Stati come la Cina e alla necessità di uscire da una lunga fase di recessione, alcune economie avanzate hanno avviato politiche industriali volte a ristrutturare e rimettere in moto il sistema produttivo nazionale e ad agganciare le nuove traiettorie tecnologiche. Nonostante la loro eterogeneità, tali politiche presentano alcuni assi di intervento comuni, come la creazione di nuovi istituti di ricerca e tecnologia, l’incremento dell’efficienza e sostenibilità dei processi produttivi, la formazione di ingegneri e tecnici specializzati e l’aumento degli investimenti, ma esse richiedono soprattutto un’azione sinergica fra gli attori coinvolti e la definizione di una chiara visione politica.

Agenda. Rimettere in moto l'industria

Una via italiana per l'Industrial Compact

di Giuseppe Surdi

La produzione industriale del nostro paese è ormai scesa a livelli precedenti al 1990, dimostrando così il carattere inequivocabilmente strutturale della crisi economica che l’Italia sta attraversando. È pertanto necessario spostare l’attenzione dalle riforme strutturali alle riforme della struttura, cercando nella capacità di trasformare le risorse a disposizione, nella ridefinizione del modello insediativo e nell’esportazione dello stile di vita italiano nuove strategie di politica industriale. L’opzione green e la costituzione di una rete di città di media dimensione come base per la generazione di competenze e capacità imprenditoriali da diffondere su tutto il territorio sono in questa ottica due ambiti molto promettenti per ridare finalmente lustro e visibilità al made in Italy.

Agenda. Rimettere in moto l'industria

Come i servizi stanno riqualificando l'industria

di Valentina Meliciani

I modelli industriali più virtuosi sono caratterizzati da una sempre maggiore interdipendenza tra servizi e manifattura, che contribuisce a migliorare le prestazioni economiche e innovative di entrambi i comparti. Migliori servizi alle imprese e un loro maggiore utilizzo contribuiscono inoltre a incrementare la capacità complessiva dell’intero sistema economico di innovarsi. Alla luce di ciò, le politiche industriali dovrebbero adottare un approccio trasversale alla manifattura e ai servizi che, in un’ottica di sistema, sia volto a innalzare la quantità e la qualità delle interdipendenze tra il settore dei servizi alle imprese e i settori utilizzatori.

Agenda. Rimettere in moto l'industria

Back-reshoring e near-reshoring: due opportunità per la rinascita manifatturiera dell'Italia

di Luciano Fratocchi
I vantaggi di localizzare le attività di produzione e fornitura della manifattura in paesi a basso costo del lavoro, come ad esempio la Cina, si sono rivelati meno consistenti di quanto si credesse. Sono pertanto molti i paesi che hanno deciso di far rientrare le produzioni all’interno dei loro territori. Le esperienze di USA, Francia e Gran Bretagna sono in tal senso molto positive e, in particolare negli Stati Uniti, hanno fatto già registrare un sostanziale equilibrio fra posti persi a causa di delocalizzazioni e creazione di nuova occupazione. Anche l’Italia non è da meno. A sorpresa, infatti, il nostro paese si colloca al secondo posto, dopo gli USA, per singole decisioni di ritorno. Il dato è molto incoraggiante perché questo fenomeno potrebbe contribuire a riassoribire gli esuberi delle aziende e agevolare i rientri in fabbrica dei cassintegrati.

Agenda. Rimettere in moto l'industria

Un nuovo welfare per la reindustrializzazione

di Tiziano Treu

I sistemi di welfare che si sono sviluppati nel Novecento erano basati su presupposti di crescita stabile che ne hanno determinato le caratteristiche principali. La crisi, le trasformazioni economiche e produttive in atto – dalla globalizzazione alle innovazioni tecnologiche, ai cambiamenti demografici – hanno fatto venir meno tali principi fondanti, rendendo necessario e urgente, in tutti i settori, ma soprattutto in quello manifatturiero, un adeguamento del welfare che coniughi l’universalità delle regole novecentesche con l’esigenza di adattare gli istituti di sicurezza sociale a un contesto in continuo mutamento e a forme di lavoro sempre più diversificate e flessibili. In particolare, si dovrebbero prevedere delle regole volte a incoraggiare il ricambio generazionale, ad ammortizzare i rischi connessi alle trasformazioni industriali e ad accompagnare i lavoratori nei periodi di transizione. Una politica del lavoro e del welfare adeguata deve però essere anche coerente e organica, caratteristiche delle quali sono privi gli ultimi provvedimenti italiani in materia.

Agenda. Rimettere in moto l'industria

Innovazione e sviluppo industriale: limiti e opportunità per il sistema Italia

di Marco Grazzi

Il settore manifatturiero, nonostante la contrazione registrata negli ultimi anni, continua a essere essenziale per lo sviluppo economico di un paese. Alcuni aspetti critici, come la propensione all’esportazione, la produttività, la dimensione aziendale e l’innovazione tecnologica incidono profondamente sulla sua evoluzione. In particolare, in Italia l’alto numero di PMI rischia di influire negativamente su questo settore e sulla sua predisposizione a investire nella ricerca e nell’innovazione, soprattutto in quella radicale, che comporta cioè un vero e proprio cambiamento del paradigma tecnologico. L’Industrial Compact e Horizon 2020 rappresentano, da questo punto di vista, delle strategie positive che, se ben attuate e accompagnate da finanziamenti adeguati, potrebbero portare grandi vantaggi alle nostre imprese.

Focus. I dilemmi del Brasile al voto

Sulle conquiste di ieri si costruisce il Brasile di domani

di Italianieuropei intervista Luiz Inácio Lula da Silva

Dei temi che saranno al centro della campagna presidenziale di ottobre, dei progressi economici e sociali del gigante sudamericano, dell’esperienza dei mondiali di calcio, delle sfide che attendono il Brasile e, in particolare, il Partido dos Trabalhadores, Italianieuropei ha discusso con l’ex presidente brasiliano Lula da Silva.

Focus. I dilemmi del Brasile al voto

Fame zero: come si sono sottratti alla miseria milioni di brasiliani

di José Graziano da Silva

Malgrado lo stabile sviluppo economico, alla fine del secolo scorso il Brasile era ancora caratterizzato da un’enorme diseguaglianza nella distribuzione delle risorse, tanto che addirittura un quarto della popolazione soffriva ancora la fame. Il programma Fame zero, avviato dal presidente Lula nel 2003, è però riuscito in pochi anni a ridurre della metà malnutrizione e miseria. Questa esperienza ha inoltre fornito importanti lezioni per elaborare successivamente efficaci strategie di sicurezza alimentare e redistribuzione del reddito. Perché questo o simili programmi risultino fruttuosi, bisogna però eliminare dall’ambiente politico rischi sempre possibili, come fragilità istituzionali, carenza di fondi e corruzione.

Focus. I dilemmi del Brasile al voto

Le forze in campo nelle elezioni in Brasile

di Fabio Porta

Le elezioni presidenziali del prossimo ottobre – che, secondo una consuetudine ormai inveterata per la quale in Brasile politica e futebol si incrociano sempre, si terranno pochi mesi dopo i recenti mondiali di calcio – vedono la contrapposizione dei candidati dei due principali schieramenti, la presidente uscente Dilma Rousseff, erede di Lula e sostenuta da otto partiti, fra i quali il PT, e Aécio Neves per il PSDB. Sembra invece restare ai margini dei rilevamenti elettorali quella che è l’unica vera novità di questa tornata, la candidatura del leader del PSB Eduardo Campos, già ministro nei governi Lula, che potrebbe però assumere un peso rilevante in caso di ballottaggio. Sebbene Dilma continui a essere in testa nei sondaggi, la situazione rimane incerta, perché il rallentamento dell’economia degli ultimi anni e l’insoddisfazione di una nuova classe media che chiede qualità della vita e servizi pubblici adeguati potrebbero influenzare l’esito del voto.

Focus. I dilemmi del Brasile al voto

Brasile: luci e ombre sulle prospettive di sviluppo

di Antonella Mori

Nonostante gli enormi progressi compiuti, soprattutto per quanto riguarda crescita economica, lotta alla povertà e inclusione sociale, il Brasile rischia di non colmare, neppure entro il 2050, il divario che lo separa dai paesi avanzati in termini di benessere, reddito pro capite e sviluppo. Anzi, il paese corre il pericolo di rimanere incastrato nella cosiddetta middle-income trap. Il rallentamento della crescita registrato negli ultimi anni è dovuto a diversi fattori strutturali, dalle difficoltà connesse all’avvio di un’attività alle carenze infrastrutturali, e alla congiuntura internazionale meno favorevole. Al prossimo presidente toccherà dunque l’arduo compito di avviare la ripresa economica anche al fine di preservare la stabilità sociale.

Focus. I dilemmi del Brasile al voto

Riforme sociali: oltre Bolsa Família?

di Francesca Bastagli e Andrea Goldstein

Il Brasile, che negli ultimi dieci anni ha assunto un ruolo di primo piano sulla scena geopolitica mondiale, è riuscito a ottenere considerevoli risultati anche in campo sociale. Alla notevole riduzione della povertà e della disuguaglianza hanno contribuito riforme di politica sociale come Bolsa Família. Restano però ancora importanti traguardi da raggiungere. Occorre infatti migliorare la qualità del sistema dell’istruzione e dei servizi sanitari e risolvere in maniera definitiva la questione razziale, che, nonostante sia trascorso oltre un secolo dall’abolizione della schiavitù, rimane un problema tuttora moltoavvertito nell’economia e nella società brasiliane.

 

Focus. I dilemmi del Brasile al voto

La singolarità del plurale. Immagini da un paese "senza nessun carattere"

di Ettore Finazzi-Agrò

Il Brasile è un paese che sfida ogni abitudine e consolidata certezza. La grandiosità naturale e la matrice indigena, cui i brasiliani si affidano nella ricerca di una impossibile omogeneità, aiutano a nascondere, sotto un alone leggendario di coerenza, le sperequazioni sociali e le differenze culturali e territoriali. Si manifesta così la difficoltà del paese ad adattarsi alla sua intrinseca disomogeneità, che è tuttavia la cifra essenziale di una realtà che oscilla tra il non essere e l’essere altro, tra l’essere semplice e complesso, misero e opulento, disomogeneo e coeso, arcaico e, allo stesso tempo, modernissimo.

Focus. I dilemmi del Brasile al voto

Il futuro sarà oggi? Trasformazioni sociopolitiche e cultura brasiliana

di Roberto Vecchi

La sovraesposizione mediatica dovuta alla Coppa del mondo, un’occasione non sfruttata per rendere più comprensibile un paese tanto lontano come il Brasile, ha distolto l’attenzione dalle ultime fasi della campagna elettorale in corso, campagna che dura da alcuni mesi e che ha visto un attacco straordinario da parte della stampa nazionale e internazionale contro il presidente in carica. La sensazione è che si voglia demolire il progetto di Brasile sviluppato durante le presidenze post neoliberali di Lula e della Rousseff, che del primo è la continuatrice. Eppure il lulismo ha condizionato fortemente il paese e la sua cultura, modificando il ruolo e la percezione dello Stato e facendo dell’inclusione sociale una pietra angolare della politica brasiliana.

Focus. I dilemmi del Brasile al voto

Oltre lo splendido isolamento: il Brasile e i suoi vicini

di Donato Di Santo

Durante la presidenza di Lula il Brasile, che per decenni si è fregiato del poco invidiabile titolo di società più ingiusta e diseguale del mondo, è riuscito a ottenere straordinari risultati economici e politici. Le misure volte a promuovere una certa redistribuzione del reddito e assicurare inclusione sociale e stabilizzazione democratica hanno prodotto esiti importanti, come significativi sono stati gli sforzi per avviare un fondamentale processo di integrazione con il continente sudamericano, culminato nella nascita dell’Unasur. Se le prossime elezioni confermeranno l’attuale presidente Rousseff, però, occorrerà che essa si discosti dalla politica attendista del suo primo mandato per poter affrontare al meglio la sempre più incalzante agenda emisferica del paese.

Il caso italiano. La crisi dei corpi intermedi

Declino della rappresentanza e disintermediazione degli interessi

di Stefano Zan

Sebbene abbiano radici profonde, i segnali del declino delle forze sociali si manifestano oggi in tutta la loro chiarezza. Da un lato, alcuni dei provvedimenti più significativi dell’attuale governo rivelano la volontà di rapportarsi direttamente con i cittadini e di rendere la disintermediazione degli interessi una prassi comportamentale consolidata. Dall’altro, le associazioni di rappresentanza paiono frastornate e incapaci di leggere il nuovo contesto in cui si trovano a operare. Incapaci, soprattutto, di dotarsi di una maggiore chiarezza identitaria e di valorizzare il loro prezioso ruolo di strutture di servizio a sostegno dell’attività imprenditoriale e dei lavoratori.

Il caso italiano. La crisi dei corpi intermedi

Oltre la retorica dei corpi intermedi: i costi sociali dell'associazionismo forte

di Paolo Feltrin

La retorica tradizionale, sia di destra che di sinistra, ha sempre sottolineato il ruolo positivo svolto dai corpi intermedi, considerati fattori di stabilizzazione politica del paese e cinghia di trasmissione tra classi dirigenti e cittadini. E se invece la realtà delle cose fosse diversa? È possibile avanzare l’idea che alcuni dei grandi problemi del paese siano, almeno in parte, diretta conseguenza della cristallizzazione di una congerie di interessi organizzati in solide associazioni di rappresentanza, tutte protese a difendere il loro particolare, senza responsabilità reale verso le sorti del paese e senza verifica di qualsiasi tipo di compatibilità generale?

Il caso italiano. La crisi dei corpi intermedi

Declino o rideclinazione: i sindacati alla prova

di Mimmo Carrieri

La crisi dei sindacati in Italia non riguarda tanto la loro tenuta numerica quanto piuttosto la perdita della capacità di influire sulle scelte concernenti il lavoro. I sindacati contano sempre meno e sono sempre più spesso esclusi dall’accesso al sistema politico. Per recuperare il terreno perduto è quindi essenziale che essi cambino il baricentro della loro azione, provando ad accumulare rappresentanza a partire dalla società anziché dalle istituzioni, ed escano dalle secche della sola difesa del lavoro per far emergere il loro potenziale di aiuto alle riforme, accettando così la sfida di conciliare democrazia e ricchezza della vita associativa.

 

Il caso italiano. La crisi dei corpi intermedi

Le due anime di Confindustria

di Innocenzo Cipolletta

La perdita di sovranità legata alla globalizzazione e all’adozione della moneta unica ha ridotto notevolmente il peso delle parti sociali nella determinazione delle scelte di politica economica nazionale. Questo impone loro non di rinunciare a svolgere un ruolo nel nostro paese, ma di adattarlo alle nuove circostanze. Per Confindustria, in particolare, ciò significa scegliere tra le sue due anime: quella di associazione di imprenditori, ossia di persone con una loro storia e le loro idee politiche, che finiscono per influenzare anche l’associazione, e quella di associazione di imprese, spersonalizzata e professionalizzata, dove si cerca di tutelare il mondo delle imprese e il mercato libero attraverso una trasparente collaborazione con le istituzioni. Se vuole recuperare una posizione di primo piano, Confindustria deve farsi espressione più delle imprese e meno degli imprenditori.

 

Il caso italiano. La crisi dei corpi intermedi

I partiti tra personalizzazione della politica e disintermediazione dei rapporti sociali

di Marco Almagisti e Alessandra Zanon

Personalizzazione della politica e disintermediazione dei rapporti sociali hanno entrambi contribuito, negli scorsi due decenni, a trasformare il sistema delle relazioni tra istituzioni, corpi intermedi e individui. Quali conseguenze possono avere, allora, le trasformazioni in atto riguardo al ruolo di quel particolare tipo di corpi intermedi, specifico della democrazia moderna, che sono i partiti politici? Come si può, alla luce dei cambiamenti che caratterizzano la partecipazione, non far venir meno l’esigenza di integrare idee e interessi entro un quadro di compatibilità con il sistema democratico?

Dizionario Civile

Flessibilità

di Ronny Mazzocchi

Sebbene da ormai parecchi anni la flessibilità sia diventata un elemento centrale nei dibattiti economici e politici, non esiste ancora una definizione chiara e univoca di questo termine. Sotto il suo nome si nasconde infatti una gamma estremamente vasta ed eterogenea di concetti e soluzioni che dipendono dagli attori coinvolti e dal contesto in cui essi si collocano. Storicamente la parola “flessibilità” è entrata nel lessico inglese intorno alla metà del Quattrocento. Essa veniva inizialmente utilizzata per indicare il movimento dei rami di un albero che, pur essendo piegati dal vento, erano capaci di tornare alla posizione di partenza. In tale accezione la parola veniva utilizzata sia per descrivere la capacità dell’albero di resistere alle forze del vento sia per rappresentare la sua abilità nel tornare alla situazione precedente.

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