La crisi ucraina: quali opzioni per la Russia e per l’Occidente

Di André Gerrits Mercoledì 09 Aprile 2014 16:45 Stampa
La crisi ucraina: quali opzioni per la Russia e per l’Occidente Foto: Sasha Maksymenko

USA e UE sono già rassegnati all’annessione della Crimea da parte di una Russia evidentemente intenzionata ad assicurare la propria influenza sul proprio vicinato dopo anni di frustrazione geopolitica, mettendo questo obiettivo al di sopra delle relazioni con l’Occidente e delle ripercussioni su un’economia già in stagnazione. Occorre però assicurare l’integrità del resto dell’Ucraina ed evitare che l’aggressività russa si rivolga anche ad altre regioni. A tal fine bisognerà dialogare con Mosca, non escludendo però il riscorso alla minaccia dell’uso della forza.


L’annessione della Crimea da parte della Russia è un evento senza precedenti, le cui conseguenze sono dunque alquanto incerte.

Per la prima volta dalla fine della guerra fredda un paese ha formalmente e unilateralmente annesso una parte di un altro Stato sovrano. Questo fa della Crimea un caso diverso, dal punto di vista legale, da altri simili, quali il Kosovo, l’Abhazija e l’Ossezia Meridionale. La Russia considera l’annessione della Crimea notevolmente più urgente e importante che coltivare pratiche e costruttive relazioni con l’Unione europea e gli Stati Uniti. Putin aveva previsto che lo smembramento dell’Ucraina avrebbe seriamente messo a repentaglio i suoi rapporti con l’Occidente, ma sapeva anche che avrebbe rafforzato la sua posizione interna. E, in effetti, il suo atto di aggressione ha goduto del sostengo di una maggioranza senza precedenti fra la popolazione russa. Mai mi è capitato di osservare un singolo atto politico che abbia ottenuto un’approvazione paragonabile a quella dell’occupazione e annessione della Crimea. Le voci dissidenti sono state poche e marginali – l’unica eccezione, in pratica, è stata quella di Aleksandr Navalny.

Possiamo adesso riconoscere con sicurezza che l’Unione europea e la Russia sono in competizione per l’influenza sul loro comune vicinato. E le affermazioni secondo le quali Politica europea di vicinato e Partenariato orientale costituiscano esclusivamente un “gioco win-win” hanno perso di credibilità (la avevano del resto persa agli occhi dei leader russi già un bel po’ di tempo fa). La Russia si è alla fine risvegliata dal suo coma postsovietico.

Nella sua mancanza di precedenti, l’annessione della Crimea è da considerarsi come il punto di partenza di una nuova era della politica globale, come Putin e suoi esperti vogliono farci credere? Quali sono le conseguenze immediate e di lungo termine della crisi ucraina? Quali le opzioni per la Russia, per l’Europa e, naturalmente, per l’Ucraina?

Il precedente del Kosovo

La leadership russa ha usato tre diverse motivazioni per legittimare l’annessione della Crimea. È interessante notare che l’argomento più soft, ovvero il riferimento ai vincoli indissolubili, ai legami storici e culturali fra Crimea e Russia, è anche quello più convincente. C’erano, e ci sono tuttora, solide connessioni fra la Russia e la Crimea, che sono state interrotte da un bizzarro incidente storico. Nel febbraio del 1954 la “Pravda” pubblicò una breve notizia, che passò largamente inosservata, secondo la quale il Presidium del Soviet Supremo dell’URSS aveva decretato il trasferimento della regione della Crimea dalla Repubblica socialista sovietica russa a quella ucraina – questo a causa delle «caratteristiche economiche comuni, della vicinanza territoriale, della comunicazione e dei legami culturali» tra Crimea e Ucraina.

Il Cremlino ha poi usato un argomento politico per giustificare l’annessione, ovvero la responsabilità percepita di proteggere le vite e il benessere dei russi che vivono al di là dei confini della Russia. Questa ambizione è stata parte del vocabolario politico russo sin dalla scomparsa dell’Unione sovietica. Anche se va sottolineato che la leadership russa non ha quasi mai usato questa motivazione. Tranne poche eccezioni (soprattutto per quanto riguarda l’Ossezia Meridionale), i leader russi – Eltsin e Putin – si sono astenuti dal mobilitare per fini politici un nazionalismo ispirato da ragioni etniche. Da questo punto di vista il caso della Crimea è nuovo. Ed è inquietante.

La terza ragione utilizzata è di natura legale. I russi fanno appello a una decisione del 2010 sul Kosovo della Corte internazionale di giustizia dell’Aia, che stabilì che separazione territoriale e indipendenza non sono necessariamente in conflitto con il diritto internazionale. Nessuna iniziativa internazionale da parte dell’Occidente ha mai frustrato e irritato di più la Russia dei raid aerei della NATO contro la Serbia nel 1999, preludio dell’indipendenza del Kosovo, che gettarono un’ombra sulla Russia. Sia la guerra contro la Georgia che l’occupazione militare della Crimea sono stati, infatti, ispirati e legittimati dalla crisi del Kosovo.

La guerra contro la Georgia è interessante anche per un’altra ragione: l’annessione di fatto di Ossezia Meridionale e Abhazija costituisce il caso più simile a quella della Crimea. Dal punto di vista russo, la situazione attuale nel Caucaso meridionale è lungi dall’essere ideale. Abhazija e Ossezia sono stati riconosciuti formalmente sono da una manciata di paesi insignificanti. Persino gli alleati russi nella regione (come la Bielorussia) non hanno riconosciuto queste regioni come Stati indipendenti. Mosca ha trasformato le due regioni secessioniste in protettorati, ne controlla i confini, acquista i loro prodotti, e finanzia i loro bilanci. E ciononostante, la frustrazione a causa dell’interferenza russa aumenta, soprattutto in Abhazija. La piena dipendenza non comporta la lealtà.

La Crimea non è l’Abhazija né l’Ossezia. Eppure, l’ultima acquisizione territoriale della Russia potrebbe creare più problemi a Mosca di quanti i leader russi, e i loro ugualmente entusiasti concittadini, possano immaginare. Le conseguenze più evidenti sono i costi economici che l’annessione comporterà. Non mi riferisco alle sanzioni, i cui effetti saranno limitati, ma ai costi effettivi per integrare la Crimea nella Federazione russa.

La stagnazione economica che già affliggeva il paese si è rafforzata nei giorni subito dopo la crisi. La fuga di capitali, la svalutazione della moneta e il crollo degli investimenti ne sono i segni più visibili. Più seri saranno gli effetti di lungo termine. L’integrazione della Crimea avrà, infatti, dei costi considerevoli. Se la Russia adeguerà gli stipendi degli impiegati pubblici ai livelli russi, che sono molto maggiori (12.500 rubli, ovvero circa 340 dollari, in Ucraina, 30.000 rubli, cioè 800 dollari, in Russia), pagherà pensioni e altri servizi sociali ai nuovi cittadini, modernizzerà le fatiscenti infrastrutture della regione, costruirà un ponte sullo Stretto di Kerč, coprirà i costi per i servizi pubblici dall’Ucraina o per la costruzione di nuove linee di approvvigionamento dal resto del paese, altri 3-5 miliardi di dollari all’anno si aggiungeranno al già sovraccarico bilancio russo. La popolazione della Crimea nutre già grandi speranze dall’accessione alla Russia. Stanca delle difficoltà economiche, della corruzione, del malgoverno, si aspetta più di quanto la nuova madrepatria possa effettivamente garantire.

Le conseguenze internazionali

L’annessione della Crimea fa parte di una più ampia strategia russa? E se lo è, dà il via a una nuova era nella politica globale, come molti analisti russi sostengono?

L’aspetto più inquietante, forse, è che la crisi della Crimea e prima ancora la guerra in Georgia hanno mostrato alla leadership russa che la forza militare può essere uno strumento molto efficace per ottenere dei risultati, specialmente nel proprio vicinato. L’Occidente non è né capace né disposto a fermare le avventure militari russe, per vie militari.

L’intervento in Crimea è stato un atto di machismo geopolitico – rischioso, dal punto di vista russo, ma accettabilmente rischioso. Putin ha “mostrato le palle” agli ucraini, all’Occidente, e naturalmente al suo stesso popolo. Ma, come spesso capita con i comportamenti da macho, l’effetto immediato è maggiore delle conseguenze di lungo termine. L’annessione della Crimea ha significato la fine di più di tre decenni di ritiro geopolitico per la Russia. Questo costituisce un evento di primaria importanza, ma non ha trasformato improvvisamente la Russia in un paese diverso, in una nuova potenza. L’annessione della Crimea è espressione della rabbia e della frustrazione repressa della Russia (fortemente sottovalutate dall’Unione europea), non del suo repentino aumento di influenza o di forza. Più di qualunque altra ambizione internazionale, la Russia aspira a giocare un ruolo dominante nel suo stesso ambiente geopolitico, cioè in un’instabile regione di paesi per lo più poveri e governati da leader corrotti. Ma persino nel suo stesso vicinato, nel suo “Near Abroad”, la Russia è stata per qualche tempo sulla difensiva. E la Crimea non cambia questo fatto.

Europa e Stati Uniti si sono rassegnati all’annessione della Crimea. Una combinazione di cattiva coscienza (Kosovo ecc.), una certa comprensione – sebbene celata con cura – per il caso russo (la sua affinità storica e culturale con la Crimea), e la sgradevole presa di coscienza che la Russia li ha messi di fronte a un fatto compiuto, hanno spostato le nostre preoccupazioni dalle avventure russe in Crimea alle possibili ambizioni nella regione orientale dell’Ucraina, o persino peggio, nei Paesi Baltici. In fin dei conti, l’Europa deve affrontare due questioni il cui significato va al di là dello status della Crimea: il futuro dell’Ucraina e delle relazioni con la Russia. Nel loro approccio alle relazioni internazionali Europa e Russia possono forse venire da due secoli diversi, come ha scritto una volta lo storico americano Robert Kagan, ma continuano a dividersi lo stesso continente. La principale sfida per la sicurezza dell’Europa non è cambiata sin dalla fine della guerra fredda: come trattare con la Russia, come integrare la Russia in un accordo che possa assomigliare a uno “European security order”? Quali sono le nostre opzioni?

Lo scherno per l’incapacità dell’Europa di adottare sanzioni adeguate contro la Russia è sbagliato. Le sanzioni possono essere politicamente efficaci, ma solo nel lungo periodo e, sfortunatamente, inizialmente porteranno svantaggi alla stessa Unione. A differenza del periodo della guerra fredda, l’interdipendenza economica tra la Russia e l’Unione europea ha raggiunto un tale livello che le sanzioni colpiranno l’Europa tanto quanto la Russia. E il loro effetto di lungo periodo potrebbe essere considerevole.

Per quanto riguarda le ripercussioni sulla posizione di Putin, bisogna considerare che questa è fondata su due condizioni: la sua capacità di dividere le spoglie di un’economia dominata dallo Stato tra le elite, e di assicurare livelli di welfare accettabili ai cittadini russi. Qualora Putin non fosse in grado di garantire questi beni, la popolazione diventerebbe impaziente e, ancora più importante, le elite comincerebbero a calcolare i benefici della propria lealtà. Questa situazione si verificherà comunque negli anni a venire, a causa della stagnazione economica. Ma sanzioni serie potrebbero accelerare questo processo.

Tuttavia, per l’Unione europea di gran lunga più preoccupanti della questione delle sanzioni sono gli interessi nel futuro dell’Ucraina. Come garantire la sopravvivenza economica di questo grande e povero paese? L’Ucraina rischia di diventare un enorme fardello per l’Europa, politicamente e finanziariamente. Non c’è sostegno in Europa per offrire all’Ucraina la prospettiva di entrare a far parte dell’Unione. Non c’è sostegno per fornirle le risorse finanziarie necessarie per produrre un immediato sollievo economico. L’Ucraina costituisce un enorme peso per l’Europa, e sembra esserci solo una via d’uscita praticabile: condividere questo peso con la Russia.

La Russia, da parte sua, detiene un interesse fondamentale nell’economia ucraina. Il paese dipende, infatti, interamente dall’energia russa. A causa di decenni di cattiva gestione e leadership incapace, ogni singola misura economica introdotta dal governo ucraino produrrebbe dolorose conseguenze sociali. Con o senza le truppe russe ai propri confini, il governo ucraino dovrà tener conto seriamente degli interessi dei suoi cittadini di lingua russa. La decisione dello scorso 23 febbraio di togliere al russo lo status di seconda lingua ufficiale del paese è stata fatale. Nel lungo periodo, non si potrà far altro che garantire che il russo ritorni a essere la lingua ufficiale della minoranza. E, in realtà, non c’è alternativa nemmeno riguardo a un’altra richiesta russa, ovvero la federalizzazione dell’Ucraina, che conceda autonomia formale alle sue regione orientali.

Non intendo propugnare un “condominio” Est-Ovest sull’Ucraina. La mia posizione si fonda su due ragioni: il dato di fatto che gli Stati Uniti (e l’Europa) e la Russia stanno già negoziando il futuro dell’Ucraina, e la convinzione che l’Unione europea e l’Ucraina abbiano più da guadagnare dalla collaborazione con la Russia che dal lavorare contro di essa.

In sostanza, l’Occidente dovrebbe seguire oggi una doppia strategia: lavorare con la Russia per il futuro dell’Ucraina e al contempo mobilizzarsi contro la Russia per prevenire altri atti di aggressione. Come detto, la forza è l’unica lingua che i leader russi non hanno difficoltà a capire. La de-escalation del conflitto è un’opzione saggia, ma lo è anche il messaggio che l’Europa e gli Stati Uniti sono pronti a considerare lo strumento militare per difendere i loro interessi geopolitici, specialmente nel Baltico. Non si tratta di guerra; si tratta di dialogo. Se interpreto correttamente la psicologia politica della leadership russa, cooperazione e confronto possono andare d’accordo perfettamente.

 


Foto: Sasha Maksymenko

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