Il finanziamento pubblico ai partiti e il prezzo della democrazia

Di Ugo Sposetti Venerdì 14 Febbraio 2014 14:59 Stampa
Il finanziamento pubblico ai partiti e il prezzo della democrazia Foto: Tax Credits

Il decreto legge sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, a fronte di un risparmio di 1,51 euro all’anno per ciascuno, cambierà in peggio le regole della vita democratica del paese e minerà ulteriormente l’autonomia della politica. Qual è il prezzo della democrazia in Italia?


«Finanziamento esclusivamente privato, per un privato cittadino, equivale a contrarre un mutuo sui valori fondanti, sulle strategie politiche, sulle idee di un paese. Il partito in questo caso è solo formalmente proprietario delle proprie dinamiche, il finanziatore-padrone pretenderà la rata del mutuo e gli interessi (con tasso altissimo)». Ho riportato quanto scritto su un foglietto che mi è stato consegnato dopo un dibattito a una Festa de l’Unità il 10 luglio del 2013, dopo la presentazione da parte del governo Letta del disegno di legge sul tema oggi alla nostra attenzione (decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti – n.d.r.). Chi ha scritto questa riflessione è un giovane di 29 anni.

I padri costituenti, con l’articolo 49 della Costituzione («Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale»), hanno voluto porre l’accento sul libero associarsi, sul libero concorrere da parte dei cittadini e sul metodo democratico, libertà che potremo finalmente garantire solo attraverso la regolamentazione della vita interna dei partiti, dando cioè finalmente piena attuazione all’articolo 49.

Uno dei più illustri esponenti della vita politica del Novecento tenne un accorato discorso in quest’Aula (era in corso la discussione sulla fiducia al II governo Fanfani) nella seduta pomeridiana dell’11 luglio 1958, facendo un preciso riferimento all’urgenza di regolamentare i partiti politici e inserirli nella Costituzione, aggiungendo che è sempre «necessario ed urgente che una legge regoli le finanze dei partiti, ne proibisca i finanziamenti da parte di enti pubblici e di imprese private, ne renda pubblici i bilanci, fissi il massimo che ciascun candidato possa ricevere ed erogare per le spese elettorali, pena la decadenza del mandato. Se non si arriva ad affrontare con coraggio la situazione non solo le elezioni politiche, ma anche le municipali, le provinciali e le regionali saranno inficiate dalla corruzione. Non ci illudiamo; la libertà finirà con l’essere incatenata dalla corruzione dell’attività politica». Questo nostro collega – da parte mia uso l’aggettivo immeritatamente – era il senatore a vita Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare.

Fallisce la democrazia partecipata quando un partito diventa un comitato elettorale; fallisce quando un partito diventa espressione personale del leader di riferimento; fallisce quando la politica non è più la voce della comunità delle donne e degli uomini che la animano (la militanza si chiamava un tempo) e che hanno come obiettivo il bene comune. Fallisce la vita democratica, a mio avviso, se non saranno concesse pari opportunità economiche per produrre politica, per produrre cultura.

Qual è il dibattito nel mondo anglosassone, visto che il Parlamento si accinge a seguire il modello anglosassone?

Martin Wolf, editorialista del prestigioso “Financial Times”, in un dossier sul futuro del capitalismo del 2012, scriveva che uno dei sette punti fondamentali per riparare i difetti del sistema è porre un freno all’invadenza del mercato nella politica. Il rapporto tra ricchezza e politica viene visto con preoccupazione: proteggere la politica dalla plutocrazia è una tra le grandi sfide per la salvaguardia delle democrazie. Cosa si deve fare, dunque? La protezione della politica dal mercato si ottiene attraverso la regolamentazione, per legge, dei finanziamenti durante le elezioni e con la fornitura di risorse pubbliche a coloro che sono impegnati in esse. È perlomeno inevitabile un parziale finanziamento pubblico dei partiti e delle elezioni (siamo in Inghilterra).

Si guarda sempre più spesso agli Stati Uniti, dove il finanziamento pubblico è previsto solo durante le campagne elettorali per le elezioni presidenziali (anche per le primarie). Ebbene, il presidente Obama, durante la conferenza dell’8 ottobre del 2013 sul debito pubblico, dichiarava che non ci sono regole su come finanziare le campagne elettorali; non ci sono molte democrazie compiute che funzionano in questo modo, in cui puoi avere milionari e miliardari che finanziano chiunque vogliano, quanto vogliono, in qualche caso anche in modo segreto. Ciò significa che gli americani normali sono tagliati fuori dal processo. E concludeva che c’è qualche estremista ideologico che ha molta liquidità e che può deviare completamente il mondo politico. Questo diceva Obama.

(…) Noi non possiamo non riconoscere giuridicamente i partiti. L’articolo 51 della Costituzione recita: «Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge».

Il decreto-legge in esame si ripromette di riformare il finanziamento e con esso le regole che devono darsi i partiti per definirsi tali, «in tempi rapidi e certi». La fretta di correre più veloce dei sentimenti di antipolitica ci fa perdere di vista (…) che il nostro obiettivo come legislatori è di lavorare affinché ci sia una democrazia partecipata, ampliando, attuando, concretizzando questi articoli della Carta costituzionale che ci indicano la strada, e non stracciandoli a seconda delle necessità e delle convenienze. Il Parlamento farà risparmiare agli italiani 1,51 euro all’anno. Ecco il prezzo della democrazia italiana. Al termine dell’iter del decreto noi avremo riscritto l’articolo 49. «Tutti i cittadini hanno diritto a concorrere e a determinare la politica nazionale attraverso il proprio reddito». (…)

La democrazia è un valore? La democrazia è diventata un peso per i cittadini italiani? Come e dove si forma la classe dirigente italiana? La spinta e la forza dell’antipolitica, della demagogia, del qualunquismo hanno scritto – mi scuso della cattiveria – questo decreto. L’antipolitica, la demagogia, il qualunquismo non si accarezzano, ma si combattono con la politica e con le riforme, soprattutto con più politica, con la buona politica, con il recupero dei valori e con l’etica del comportamento. Tutte cose che non si raccontano, ma si praticano. Chi fa politica le deve praticare tutti i giorni.

I cittadini attendono che si aprano cantieri, che ci sia lavoro; le famiglie si attendono più risorse alla fine del mese. In queste settimane il Parlamento è impegnato lodevolmente a discutere e legiferare su questioni di assetto istituzionale del paese. Sono in ballo riforme come la legge elettorale, alla Camera, il finanziamento dei partiti, al Senato, il bicameralismo e il ruolo del Senato, la soppressione delle Province, l’aumento delle aree metropolitane, il Titolo V della Parte II della Costituzione. Il Parlamento e la politica si apprestano a ridisegnare una nuova Repubblica. Il generale De Gaulle per disegnare la V Repubblica si affidò a Maurice Duverger, uno dei migliori politologi dei suoi tempi. I francesi – diciamolo – sono stati, almeno in questo, più fortunati di noi.

Il Senato si accinge a votare un provvedimento che non ridà dignità alla politica, che non impedisce che ci siano cittadini che si ritrovano senza casa politica, che non recupera la sfiducia e la disaffezione verso le istituzioni e i partiti, che non ferma la crisi di rappresentanza, che non risolve la crisi della forma partito in Italia. È facile – lo so che è facile – cavalcare l’animale dell’antipolitica. In questi mesi ho incontrato molti giovani, come quello che mi ha scritto quel biglietto citato all’inizio, e ventenni che chiedono più politica, auspicano partiti moderni e trasparenti; chiedono etica, valori e moralità. Certamente chi come noi ha svolto questo lavoro – e io mi assumo tutte le responsabilità, naturalmente non penali – ha dato formidabili argomenti all’antipolitica. Mi sento responsabile. Non ci siamo controllati.  Noi abbiamo bisogno di soggetti che promuovano il recupero dei valori, non abbiamo bisogno del governo delle lobby: ce ne sono già troppe in giro.

Credo ancora al valore dell’adesione, al valore della tessera, a un’idea e a una famiglia politica. Ho letto da qualche parte che la politica è quella cosa che permette a un sognatore di aderire a una comunità di sognatori. Ebbene, sono un sognatore, ma continuerò a ragionare con pacatezza, a richiamare la mia attenzione per la democrazia e per i partiti.[1]

 



[1] Intervento svolto presso l’Aula del Senato l’11 febbraio 2014 in occasione della discussione del disegno di legge 28 dicembre 2013, n. 149, recante abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore.

 

 


Foto: Tax Credits

 

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