Le prove di forza del giovane leader

Di Romeo Orlandi Martedì 26 Marzo 2013 17:02 Stampa
Le prove di forza del giovane leader Foto: groucho

I lievi, seppure percepibili, cambiamenti che hanno caratterizzato la vita di Pyongyang negli ultimi anni non sono un riflesso di quanto accade nelle relazioni internazionali del regime di Kim Jong-un, che infatti persegue ancora quella strategia di chiusura e di esaltazione dell’orgoglio nazionale che da decenni contraddistingue la politica della Corea del Nord.


A prima vista Pyongyang sembra una città tranquilla, come Orano ne “La Peste” di Albert Camus. Nella capitale appaiono ridotte le bizzarrie del passato. Ancora fino a pochi anni era percepita come un posto unico, un palcoscenico del teatro dell’assurdo. Ragazze in uniforme dirigevano un traffico inesistente, giardinieri anziani tagliavano l’erba delle aiuole con le forbici; le vetrine erano vuote, computer e cellulari inesistenti, depositati alla frontiera per gli stranieri. Le ciminiere erano spente, torreggiavano invece i monumenti a Kim Il Sung, fondatore della Repubblica Popolare Democratica di Corea e capostipite della dinastia al potere.

Oggi è percettibile il cambiamento. I negozi offrono beni alimentari da quando il governo ha concesso ai contadini di vendere le eccedenze sul mercato libero. Le automobili in città e i camion sulle strade che attraversano il paese non sono più una visione rara. Tablet e iPhone concedono ai non coreani di collegarsi a internet, una possibilità ancora preclusa ai cittadini del paese, che possono tuttavia usare gli strumenti che arrivano di contrabbando dalla Cina.

La vita cittadina è cambiata perché trainata da un inedito dinamismo sociale. Gli standard degli altri paesi sono ancora ovviamente sconosciuti, ma le restrizioni estreme del passato hanno subito un allentamento. Nuovi soggetti stanno confusamente emergendo, nelle pieghe di un cambiamento timido. I militari non si occupano più soltanto della sicurezza, la polizia tollera traffici al confine della legalità, un nuovo ceto sociale è emerso, attivo nel commercio frontaliero, nella vendita di materie prime in cambio di beni consumo, nella gestione della valuta straniera. Di conseguenza, sta cambiando l’immagine della città. Fioriscono i centri commerciali, i ristoranti, i palazzi multipiano. Persino il grattacielo Ryugyong è in via di ultimazione; a forma di piramide, domina lo skyline cittadino dopo che i suoi lavori erano stati sospesi venti anni fa per mancanza di fondi, sintesi plastica e drammatica dell’andamento economico del paese.

A questo cambiamento di Pyongyang non fa riscontro un’apertura internazionale, neanche timida, del regime. Dopo un esordio meno ingessato, Kim Jong-un – il giovane leader che acconsentiva a farsi fotografare con la moglie – non ha esitato a lanciare un terzo missile a lungo raggio. Lo scopo è quello tradizionalmente perseguito: mostrare al mondo la capacità militare e la determinazione a usarla. Ne sono stati corollari la retorica antistatunitense e la denuncia dell’armistizio del 1953 (le parti belligeranti della guerra di Corea ufficialmente sono ancora in conflitto, poiché la pace non è mai stata firmata) a seguito delle recenti manovre militari congiunte Stati Uniti-Corea del Sud.

I discorsi infiammati contro i “fantocci di Seoul” hanno chiuso ogni spiraglio di riavvicinamento con i fratelli al di là del 38° parallelo. La Sunshine Policy ha ormai lasciato il campo – almeno all’apparenza – a una pericolosa confrontation. La speranza di una riconciliazione basata sull’aiuto alimentare e umanitario in cambio dell’arresto del programma nucleare appare impraticabile di fronte ai toni che ricordano una guerra fredda che da queste parti non è mai terminata. La preoccupazione riguarda gli aspetti sempre inscrutabili delle segrete stanze di Pyongyang, da dove filtrano pochi messaggi e la possibile debolezza del regime potrebbe condurre verso scorciatoie disperate.

In questa cornice la Cina sembra avere perso il controllo di Pyongyang, avviata sul crinale rischioso dell’orgoglio nazionale. La condanna delle Nazioni Unite per il lancio missilistico nordcoreano, concertata tra Pechino e Washington, ha effettivamente delineato una situazione nuova, imprevista e pericolosa per la Cina. Se l’(ex?) alleata Pyongyang proseguisse nel suo isolamento, la situazione rischierebbe di divenire incontrollabile. La Cina potrebbe dover respingere l’afflusso di milioni di profughi alle sue frontiere oppure trovarsi – nel caso di una riunificazione sotto la guida di Seoul – con truppe sudcoreane e statunitensi ai suo confini nordorientali. Sono incubi da evitare con l’ampio spettro delle soluzioni diplomatiche, anche se la via delle trattative si è inaspettatamente ristretta.

 

 


 

Foto: groucho

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