Chávez: altri sei anni

Di Gianandrea Rossi Venerdì 12 Ottobre 2012 17:03 Stampa
Chávez: altri sei anni Foto: Walter Vargas

Le elezioni del 7 ottobre hanno riconfermato il presidente uscente alla guida del Venezuela. Il dato forse più interessante, tuttavia, è costituito dalla crescita e dal consolidamento dell’opposizione della Mesa de Unidad Democrática. Chávez è dunque chiamato a governare per altri sei anni, nel corso dei quali, se il nuovo volto pluralista del paese dovesse affermarsi, il leader della MUD Capriles potrebbe prepararsi per la successione.


Dopo una delle campagne elettorali più tese della storia del paese sudamericano, lo scorso 7 ottobre i venezuelani hanno rieletto Hugo Chávez alla presidenza, con un record storico di affluenza alle urne: l’80,94% degli aventi diritto (oltre 14 milioni e 750 mila votanti). Il presidente uscente, al potere dal 1999, è riuscito infatti a convincere il 55,26% dei votanti, ottenendo così la rielezione per un mandato di sei anni. Ciò significa che rimarrà alla guida del Venezuela fino al 2019, quando compirà vent’anni consecutivi come capo di Stato.

Il suo rivale, il candidato della Mesa de Unidad Democrática (MUD), Henrique Capriles Rodonski, si è fermato al 44,13%, riscuotendo comunque un sostegno elettorale enorme che l’opposizione non era mai riuscita a conquistare negli ultimi quindici anni.

Il risultato elettorale mostra una sostanziale uniformità nella distribuzione territoriale dei consensi ottenuti dal presidente, che si afferma, con percentuali molto variabili, in 21 dei 23 Stati: viene sconfitto soltanto nello Stato di Merida e in quello di Tachira (in cui perde quasi 13 punti fermandosi al 43%), e sostanzialmente pareggia nello Stato di Miranda (49,84%, il suo vantaggio sull’avversario è di soli 10 mila voti).

Il chavismo, dunque, esce rafforzato dalle urne. Dopo quattordici anni di governo, l’alleanza tra la maggioranza dell’elettorato e il presidente continua a rimanere salda, grazie anche al sistema economico e sociale e nonostante le molte difficoltà in cui versa il paese (soprattutto dal punto di vista dell’economia e della sicurezza) .

Rispetto alle elezioni presidenziali del 2006 si conferma, infatti, la solidità del sistema di consenso sociale alimentato dai grandi proventi di PDVSA (Petróleos de Venezuela, la società petrolifera statale). Inoltre, il risultato elettorale, se da un lato, indica un indebolimento di Chávez in termini percentuali (nel 2006 vinse con il 62% contro Manuel Rosales), dall’altro evidenzia un rafforzamento in termini assoluti (circa 600 mila voti), anche in confronto alle più recenti elezioni legislative (settembre 2010). In quell’occasione il chavismo subì un forte calo dei consensi e il partito di governo, il PSUV (Partido Socialista Unido de Venezuela) si fermò a 5,4 milioni di voti (appena 100 mila in più della Mesa de Unidad Democratica).

Questi dati indicano, ancora una volta, il carattere “insostituibile” della figura di Hugo Chávez, che non è stata minata nemmeno dalla grave malattia, ma che al contrario è stata rafforzata dalla dilagante presenza mediatica e dal rilancio massivo delle misiones.

Storico è, come si è detto, anche il risultato dell’opposizione, che non era mai riuscita a compattare, in un unico blocco di consensi, oltre 6 milioni di voti. L’esperienza della MUD, che già era stata premiata con l’ingresso in Parlamento nel 2010 (con 65 deputati che, per la prima volta, avevano sottratto al PSUV la maggioranza assoluta), appare oggi definitivamente consolidata nello scenario politico venezuelano. È dunque possibile affermare che, rispetto ai primi dodici anni di potere di Chávez, il paese comincia ad assumere un nuovo volto pluralista.

La selezione della candidatura di Henrique Capriles attraverso le primarie interne alla MUD e, successivamente, la campagna elettorale hanno consentito all’opposizione di presentarsi unita a livello nazionale e di promuovere una forte mobilitazione sui territori, mettendo in discussione il modello chavista su molti temi critici, come quello della crisi economica e della sicurezza.

La rimonta è stata evidente in alcuni Stati chiave, come quello di Tachira, quello di Miranda, quello di Lara (in cui Chávez ha vinto per soli 19 mila voti) e nel Districto Capital[1] (in cui Capriles ha perso, ma per appena 130 mila voti). Alle elezioni del 2006, in questi stessi Stati (in cui il chavismo è più debole) l’opposizione aveva avuto risultati più contenuti (a Tachira aveva perso con il 48% circa; nello Stato di Miranda aveva perso per 170 mila voti, con il 43%; in quello di Lara lo scarto rispetto al partito di governo era stato di oltre 270 mila voti, fermandosi al 33%; infine, nel Districto Capital, il margine era stato di 260 mila voti). Questo confermerebbe, dunque, il ruolo portante della MUD nell’evoluzione recente del panorama politico venezuelano.

Nel complesso si tratta di un trend che rafforza le posizioni di Capriles come antagonista nazionale del presidente rieletto: «Non sentitevi persi» ha infatti dichiarato, parlando ai suoi sostenitori, poco dopo aver riconosciuto la sconfitta, e ribadendo che i voti presi costituiscono una “potenzialità” senza precedenti per il futuro del paese. Poi, rivolgendosi al presidente Chávez (di cui ha subito riconosciuto la vittoria elettorale, cancellando i timori di una crisi democratica, più volte paventata da entrambe le parti durante la campagna elettorale), ha chiesto «considerazione e riconoscimento per la metà del paese che non è d’accordo con questo governo». E lo stesso Chávez, dopo i toni violenti della campagna elettorale, ha dato alcuni segnali che sembrano indicare una presa d’atto dell’evoluzione dello scenario politico: «Ringrazio i dirigenti dell’opposizione per aver accettato la verità, questo è un passo molto importante nella costruzione della pace in Venezuela, della nostra convivenza, siamo fratelli nella patria di Bolivar», ha dichiarato davanti a una piazza del Bicentenario gremita di sostenitori. Nel corso dello stesso intervento, accanto alla nota retorica bolivariana, hanno trovato spazio inattesi momenti di invito al dialogo.

Immediate sono state anche le felicitazioni da parte di altri paesi latinoamericani: Chávez avrebbe avuto lunghe conversazioni telefoniche con Cristina Kirchner, con cui avrebbe discusso di «rafforzamento dell’integrazione latinoamericana», con Evo Morales, che avrebbe parlato di «trionfo dell’ALBA» (Alianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra América), e con il presidente dell’Ecuador, Rafael Correa.

Anche il presidente della Colombia Juan Manuel Santos è stato tra i primi a felicitarsi con il suo omologo, rivolgendosi con un messaggio al popolo venezuelano; infine, il presidente di El Salvador, Mauricio Funes, ha salutato “fraternamente” il suo omologo per il risultato ottenuto.

Sul piano regionale, preme qui sottolineare che la tenuta di Chávez significa la sopravvivenza dello schema di relazioni costruito attorno all’ALBA, in particolare con il governo di Cuba, strettamente dipendente dalle risorse venezuelane. La continuità del chavismo potrebbe inoltre significare il mantenimento dei buoni rapporti di Caracas con molti governi esterni all’ALBA e dunque il rafforzamento del recente orientamento impresso alla politica estera venezuelana in favore di relazioni con alcuni paesi strategici per lo sviluppo del Venezuela e del Sudamerica, come Brasile, Argentina, e Colombia.

Sul fronte europeo, l’Alto Rappresentante per gli affari esteri dell’Unione europea, Catherine Ashton, salutando la «trasparenza del risultato elettorale che conferma l’impegno del governo venezuelano a favore della democrazia», ha ribadito il monito che «la vittoria porti con se responsabilità (…) Nel suo nuovo mandato, il presidente Chávez dovrà dialogare con tutti i settori della società per rafforzare le istituzioni democratiche e promuovere le libertà fondamentali, l’inclusione e lo sviluppo sostenibile». Il portavoce del ministero degli Esteri cinesi, Hong Lei, ha ufficialmente trasmesso «i complimenti del governo cinese e ha auspicato che il Venezuela consegua nuovi obiettivi e si sviluppi con Chávez», ribadendo che le autorità di Pechino «sono pronte a continuare a collaborare con il Venezuela per rafforzare le relazioni bilaterali».

Il calendario politico venezuelano prevede le elezioni regionali già il 10 dicembre; queste, insieme alle elezioni municipali del prossimo anno e a quelle legislative del 2015, consentiranno di mappare più in dettaglio le novità del panorama politico del paese, in attesa delle presidenziali del 2019.

Nei prossimi anni, dunque, Capriles ha di fronte a sé la sfida di «mantenere unita l’opposizione e costruire un’alternativa credibile a un presidente che governa da quattordici anni»; inoltre, nel caso in cui Chávez soffra di un tumore mortale, il leader dell’opposizione «potrebbe arrivare a guidare il paese prima del 2019», ha scritto Andrés Oppenheimer dopo il voto, commentando l’importanza di queste elezioni per il futuro del paese.

In molti si interrogano sulle eventuali conseguenze della fine del chavismo (soprattutto a causa dell’incognita rappresentata dalla salute del presidente), in particolare per quel che concerne le relazioni regionali, quelle con il resto dell’emisfero e quelle globali che Caracas intrattiene per grazie alle sue riserve petrolifere.

È probabile, ha sottolineato Oppenheimer, che Henrique Capriles rappresenti, allo stato attuale, l’unico candidato in grado di presentarsi come antagonista al leader bolivariano o a suoi successori, visto che nel chavismo non è fino a oggi emersa una personalità in grado di sconfiggerlo, tenendo insieme la maggioranza del paese. La nomina del ministro degli Esteri, Nicolás Maduro, a vicepresidente al posto di Elias Jaua, per quanto rappresenti un segnale di cambiamento negli equilibri interni al chavismo, non sembra essere sufficiente a indicare chiaramente il successore Hugo Chávez.



[1] Il distretto federale che corrisponde alla città di Caracas, capitale del paese.

 

 


Foto: Walter Vargas

 

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