Todos somos Americanos

Di Gianandrea Rossi Lunedì 16 Febbraio 2015 18:29 Stampa
Todos somos Americanos Foto: Maju Rezende

Il riavvicinamento fra L'Avana e Washington, dopo oltre cinquant'anni dall'interruzione dei rapporti diplomatici, avrà certamente un impatto economico sul paese caraibico, anche se nel breve periodo di portata limitata. Importati tuttavia saranno anche gli effetti che esso avrà sugli equilibri politici del continente sudamericano, in cui negli ultimi anni sono emersi nuovi importanti player.


«Todos somos Americanos», con queste parole il presidente Obama lo scorso 17 dicembre ha dato l’annuncio del cambiamento di rotta delle posizione statunitense su Cuba, scaturito da una decisione congiunta: il rilascio da parte cubana di un agente dei servizi americani e di Alan Gross, funzionario di US-AID incarcerato dal 2009 perché riforniva di strumenti tecnologici una comunità ebraica a Cuba, e la liberazione da parte statunitense di tre agenti cubani (Gerardo Hernández, Antonio Guerrero e Ramón Labaniño) del gruppo La Red Avispa, in carcere dal 1998.

Raúl Castro, nel suo messaggio televisivo, molto più breve di quello di Obama, ha ribadito che la decisione di liberare i prigionieri detenuti negli USA rappresenta una svolta importante nelle relazioni fra i due paesi, e tuttavia ha ricordato che «la questione principale non è stata risolta», e ha sollecitato Obama a «porre fine al bloqueo che provoca enormi danni economici e umani». Raúl, inoltre, ha dichiarato che «verranno adottate misure per migliorare il clima delle relazioni bilaterali e per avanzare nella normalizzazione dei rapporti tra i nostri paesi, basati sul diritto internazionale e sulla Carta delle Nazioni Unite». Proseguendo il suo breve intervento televisivo, Castro ha dichiarato che «pur riconoscendo le molteplici differenze in materia di sovranità internazionale, democrazia, diritti umani e politica interna, confermo la volontà di dialogare su tutti questi temi». Infine, concludendo, Castro ha affermato che «i progressi fatti dimostrano che è possibile trovare le soluzioni ai problemi, si deve apprendere l’arte di convivere in forma civile, pur con le nostre differenze».

I due interventi, sono stati preceduti da una telefonata tra L’Avana e Washington, in cui i due presidenti hanno specificato i dettagli dell’accordo raggiunto.

A metà gennaio è arrivata a L’Avana la prima delegazione ufficiale del Dipartimento di Stato, guidata dal segretario di Stato aggiunto Roberta Jacobson, con l’obiettivo di preparare la riapertura dei rapporti diplomatici interrotti dal 1961. La missione segue di pochi giorni l’entrata in vigore del pacchetto di misure annunciate dal presidente Obama nello storico annuncio del 17 dicembre scorso, che segnano una netta e importante inversione di tendenza in tre capitoli dei rapporti bilaterali: rimesse, viaggi degli americani a Cuba, e commercio, con l’obiettivo di avviare una nuova fase dei rapporti, in cui la distensione diplomatica sia accompagnata da misure concrete volte a migliorare le condizioni di vita del popolo cubano e, nei limiti del possibile, la penetrazione degli interessi americani sull’isola.

Il comunicato della Casa Bianca specifica nel dettaglio i progressi nelle relazioni tra i due paesi. Il primo passo fondamentale prevede, come detto, la riapertura delle relazioni diplomatiche con l’isola e l’invio di un ambasciatore. Saranno successivamente programmate visite istituzionali del governo statunitense a Cuba e viceversa, che costituiranno una parte essenziale del percorso di normalizzazione annunciato dalle parti. Inoltre, secondo quanto dichiarato nel documento americano, non sarà mai trascurato il tema della democratizzazione dell’isola e del rispetto dei diritti umani.

Gli USA hanno inoltre deciso di intraprendere una serie di misure di carattere più tecnico in materia di viaggi e rimesse, finalizzate a migliorare le condizioni di vita del popolo cubano e a «offrire nuove opportunità di informazione, di accesso al lavoro autonomo, ai beni di proprietà privata, e a sostenere la società civile». L’apertura sui viaggi di fatto rappresenta un contributo essenziale per coloro che vivono negli Stati Uniti per poter aiutare i parenti cubani offrendo «una formazione commerciale alle imprese private cubane e ai piccoli agricoltori» con l’obiettivo più generale di offrire appoggio alla crescita del settore privato a Cuba. «Questi cambiamenti faranno in modo che i cittadini cubani abbiano più facile accesso a certi beni a prezzi più bassi, al fine di migliorare il loro livello di vita e ottenere una maggiore indipendenza economica dallo Stato».

Per quanto riguarda i viaggi, è stata autorizzata una decina di categorie, estendendo sostanzialmente a tutta la popolazione il diritto di entrare negli Stati Uniti. Saranno infatti permessi viaggi per le seguenti motivazioni: visite familiari, attività ufficiali del governo USA, altri governi e ONG, attività giornalistiche, ricerca professionale e riunioni di vario genere, attività educativa e di formazione, attività religiosa, spettacolo, cinema, sport, mostre, attività di sostegno al popolo cubano, progetti umanitari, attività di fondazioni private o enti di ricerca, esportazione, importazione di informazioni o materiale informativo, transazioni di esportazione conformi alle normative USA.

Per quel che concerne le rimesse è stato deciso di incrementare la soglia per l’invio da 500 a 2000 dollari a trimestre e di liberalizzare la procedura. Dal punto di vista commerciale, è stato stabilito di ampliare il ventaglio dei prodotti di esportazione commerciale di beni e servizi dagli Stati Uniti. I viaggiatori diretti a Cuba potranno importare 400 dollari di beni dall’isola caraibica, di cui non più di 100 di tabacco e alcol. Verrà inoltre autorizzata l’apertura di conti correnti di istituzioni finanziarie statunitensi presso istituzioni cubane con l’obiettivo di agevolare le transazioni finanziarie e sarà permesso anche l’utilizzo di carte di credito americane per i viaggiatori che si recano sull’isola. Sarà possibile esportare dagli Stati Uniti quegli articoli che potranno agevolare l’accesso alle reti di comunicazione per i cubani, inclusi dispositivi di tecnologia, software, hardware e i fornitori di servizi di telecomunicazioni potranno stabilirsi a Cuba con le infrastrutture necessarie per offrire servizi commerciali di telecomunicazioni e servizi di rete internet.

Anche, se le conseguenze di questi primi segnali di apertura sembrano essere piuttosto limitate, appare evidente la portata dell’impatto che queste misure avranno sul riavvicinamento tra i due paesi. Secondo alcune stime, queste nuove norme determineranno l’arrivo a Cuba di circa 500 milioni di dollari (appena lo 0,6 % del PIL cubano), confermando il fatto che senza una revisione delle politica del bloqueo (legata all’attuale assetto della maggioranza del Congresso), difficilmente si vedranno cambiamenti radicali. Non saranno da sottovalutare però gli effetti di queste prime aperture sulla vita dei cubani, che riceveranno direttamente queste centinaia di milioni di dollari, e dei cittadini americani che beneficeranno di questa apertura: potrebbero crearsi così nuove condizioni per una più rapida solida distensione tra i due paesi.

Inoltre, per meglio comprendere la ridefinizione dei rapporti USA-Cuba, non sono da sottovalutare gli effetti di questa novità sull’area e sugli equilibri dell’emisfero occidentale. Dietro alle ragioni del mutamento di posizioni tra i due nemici emergono infatti nuovi interessi reciproci. Dal lato cubano, la ricerca di nuovi orizzonti dopo il tramonto dell’idillio venezuelano, precipitato rapidamente dopo la morte di Chávez e determinato non solo dalla crisi politica interna del paese sudamericano, ma soprattutto da quella economica, esasperata negli ultimi mesi dalla crisi della produzione di greggio, che avrà certamente effetti sul flusso di 90 mila barili giornalieri inviati gratuitamente da Caracas a L’Avana.

Da parte statunitense, dopo anni di Amministrazione Obama, è emersa l’esigenza di riaprire “il cortile latinoamericano”, la cui porta di accesso non poteva non essere costituita dalla vicina Cuba: la distensione con L’Avana mostra con chiarezza l’obiettivo di Washington di riavvicinarsi a un’area troppo trascurata negli ultimi anni dall’agenda americana. «A un certo punto, questa politica di lungo periodo degli USA verso Cuba ha provocato l’isolamento regionale e internazionale del nostro paese, ha limitato la nostra capacità di influire nell’emisfero occidentale e ha impedito la messa in campo di tutta una serie di misure che gli USA avrebbero potuto usare per promuovere un cambiamento positivo a Cuba», ha dichiarato Obama.

Ciò è dimostrato dalla crescita dei nuovi organismi di interazione regionale (Unasur e Celac), che hanno sin dal loro nascere escluso la partecipazione degli Stati Uniti. L’assenza degli USA è stata colmata dalla Cina, destinata a scalzare il primato commerciale con la regione (nel 2014 la Repubblica Popolare è diventata il secondo partner commerciale dell’intera area), che, come recentemente annunciato da Xi Jinping nel primo vertice Cina-Celac tenutosi lo scorso mese a Pechino, investirà 250 miliardi di dollari in America Latina nei prossimi anni, puntando al raggiungimento di 500 miliardi di interscambio commerciale.

La distanza fra gli Stati Uniti e i paesi latinoamericani negli anni ha favorito la crescita e l’avvicinamento di nuovi player, che oggi guardano alla pari il governo di Washington. Primo fra tutti il Brasile, che non a caso, grazie all’appoggio dei governi Lula e Rousseff e all’azione dello storico consigliere per la politica estera di Lula, Marco Aurelio Garcia, hanno avuto sempre un occhio di riguardo per la vicenda cubana, guidato dalla convinzione che una soluzione alla situazione cubana sarebbe stata una condizione per l’integrazione dell’area, ma dettato anche dai propri interessi di investimento sull’isola.

Determinante sarà l’impatto sull’intero emisfero del megaprogetto della Zona speciale di sviluppo Mariel nell’area a nord di L’Avana (finanziato con circa 700 milioni di dollari brasiliani e costruito dalla più grande azienda costruttrice del paese) e destinato a diventare il primo hub logistico in grado di ospitare i cargo post Panamax, le meganavi che nei prossimi anni garantiranno il transito delle merci, anche americane, tra Oriente e Occidente, attraverso il nuovo Canale di Panama (che già da quest’anno potrebbe essere in funzione).

Insomma, Raúl e Obama hanno trovato un interessante punto di incontro, agevolato, dalla saggia e positiva mediazione del nuovo papa latinoamericano, che fin dal suo arrivo al Vaticanoaveva lasciato trapelare l’obiettivo di agevolare il processo di distensione nel quadro di una nuova “visione” latinoamericana che sarà probabilmente sancita nella prossima Cumbre de Las Americas di Panama, in cui per la prima volta Obama e Castro siederanno allo steso tavolo.

In questa fase di così intenso cambiamento, è emersa la lontananza dell’Europa. Alla vigilia dell’annuncio, il ministro degli Esteri spagnolo ha compiuto una visita a L’Avana, svelando l’estraneità di una delle capitali tradizionalmente più vicine all’isola a quanto stava accadendo tra Cuba e Stati Uniti (non a caso Raúl Castro aveva disertato pochi giorni prima della distensione, il vertice iberoamericano di Veracruz). Dopo l’avvio, lo scorso aprile, dei negoziati per un nuovo accordo di associazione con l’isola, mirato al superamento della “posizione comune”(vecchia ormai di dieci anni e ancora formalmente in vigore, nonostante le palesi violazioni di molti paesi membri, prima fra tutti la Spagna) si sono tenute due positive ronde negoziali. A marzo è prevista la terza (considerata decisiva), che era stata posticipata dai primi di gennaio, per una strana vicenda che ha visto i cubani bloccare il processo in concomitanza dell’accelerazione dei rapporti USA (giustappunto, dopo la distensione con gli USA).

Nel suo piccolo, anche l’Italia non è stata più rapida, anche perché ha con maggior rigore osservato i limiti imposti dalla posizione comune. Il governo italiano aveva previsto una missione lo scorso ottobre, che seppur in un quadro del tutto svincolato dai fatti avvenuti a dicembre, avrebbe rappresentato un importante momento di incontro tra Roma e L’Avana dopo 16 anni di assenza istituzionale di un ministro italiano. L’ennesimo cambio della guardia alla Farnesina, con l’insediamento di Federica Mogherini a Bruxelles, ha provocato un nuovo ritardo, che vedrà probabilmente il ministro Gentiloni recarsi a L’Avana solo a marzo: nella sua missione potrebbe invitare Raúl Castro a Milano, alla prossima VII Conferenza Italia-America Latina e Caraibi, accogliendo la proposta fatta dal suo coordinatore Donato Di Santo e dando un solido contributo alla riapertura del dialogo dell’UE con Cuba.

 

 


Foto: Maju Rezende