“L’errore di chi crede che l’esperienza religiosa sia un fatto residuale nella modernità comporta spesso, in chi lo ha commesso, l’idea sbagliata che le religioni contino per ciò che fanno (di progressista o di conservatore) e non per ciò che sono”. Per non indugiare anche noi nell’errore abbiamo voluto interrogarci su cosa sia il cristianesimo oggi, sul senso del coinvolgimento della Chiesa e dei cattolici nella costruzione della convivenza civile e nella vita politica nel nostro paese e in Europa, su quale sia la visione dell’uomo sottesa alla più recente evoluzione della dottrina sociale della Chiesa, sull’influenza che la Chiesa conserva in una società secolarizzata quale quella europea di oggi.
Nel Novecento ci furono generazioni di intellettuali che dalla storicità di un pensiero laico videro nel cristianesimo una risorsa dell’Europa. Perché oggi quella lezione sembra così remota? Perché il cristianesimo è “imbarazzante” nelle molteplici radici d’Europa ed essa, a sua volta, si forma per rimozione, cancellazione, rasura di ogni tratto distintivo (dal credere cristiano al velo islamico)?
Discutere di Chiesa e condizione femminile significa interrogarsi su come la Chiesa percepisca la differenza sessuale, il rapporto degli esseri umani con il proprio corpo, le molteplici modalità in cui può essere declinata la femminilità e che solo parzialmente possono essere ricondotte agli stereotipi della donna-madonna e della donna-maddalena – o della donna-Ipazia, nei rari casi in cui è concesso farvi ricorso. Quanti modi di essere donna, e quanti modi di essere Chiesa si stagliano all’orizzonte del nostro futuro?
In un’Italia in cui abbondano i “bamboccioni” e in cui emerge una tendenza ad “ereditare” anche gli incarichi pubblici tornano in auge le riflessioni sull’eccessivo potere assegnato alla famiglia nella sfera pubblica. Ad un familismo che avrebbe ormai assunto i caratteri dell’amoralità – se non dell’immoralità – viene imputato il mancato radicamento dell’etica pubblica nel nostro paese. Quanta realtà e quanta mistificazione vi sono nel delineare questa presunta antitesi fra familismo e civismo?
Il massimalismo si potrebbe definire una forma singolare della disperazione politica. Consegue, infatti, allo stato d’animo di colui che non trova uscita alla situazione, si sente del tutto sopraffatto dal rapporto di cose e di uomini che lo circonda, da cui è dominato e ossessionato, e perciò cerca lo scampo in qualcosa di straordinario, di eccezionale, da cui dovrebbe scaturire un miracoloso radicale arrovesciamento. La via di uscita che viene proposta non è però reale, non è una tappa che possa essere coperta con uno svolgimento razionale dell’azione, adeguata alla realtà, e non è nemmeno un salto possibile, da cui siano mature condizioni oggettive e soggettive».