Romeo Orlandi

Romeo Orlandi

economista, sinologo, è presidente di Osservatorio Asia.

L’Asia oltre la grande muraglia

La politica estera di Pechino viaggia insieme a quella interna, soprattutto si muove in sincronia. Entrambe ovviamente marciano su binari paralleli, ma ora alla stessa velocità. L’andamento delle relazioni internazionali non è più soltanto strumentale perché ha acquisito forza e direzione. Il tragitto è unico, le traversine distanziate con criterio, ma lo chemin de fer offre vantaggi reciproci: per la prima volta dalla nascita della Repubblica Popolare, i due versanti della politica procedono congiuntamente. Si tratta di una novità sostanziale, dagli effetti dirompenti e imprevedibili, strategicamente comprensibile, pericolosamente impegnativa.
La Cina ha preso iniziative concrete che la proiettano fuori dai propri confini, o almeno da quelli che si pensava fossero immutabili. Lo ha fatto per una serie di motivi complessi, la cui reductio ad unum è semplice nella sua linearità: il paese intende riscuotere i dividendi politici dei suoi successi economici.

 

L’arpa birmana schiacciata dai carri armati

Quando i cingoli hanno attraversato le strade birmane, il 1° febbraio 2021, gli analisti che ondeggiavano tra realismo e pessimismo hanno mostrato un sorriso amaro. Le loro previsioni si erano avverate. Pur delusi, avevano ragione: Myanmar è ancora una democrazia imperfetta, uno Stato incompiuto, un paese non pacificato. I militari non hanno mai sostanzialmente lasciato il potere, ora lo riprendono anche nella forma. Il colpo di Stato ha trovato origine da un pretesto labile, un’accusa occasionale di frodi elettorali nelle consultazioni dello scorso novembre. L’affermazione della National League of Democracy (NLD), di Aung San Suu Kyi era stata dirompente, con la conquista di 397 seggi su 476. Il risultato migliorava addirittura il trionfo di cinque anni prima. Il secondo partito – lo Union Solidarity and Development Party (USDP), espressione politica delle stellette – aveva raccolto soltanto il 7%.

Xi Jinping, la Cina in una sola persona

Nell’ottobre del 2017 una famosa copertina de “The Economist” pubblicava un ritratto di Xi Jinping con la didascalia “The most powerful man in the world”. Rifletteva una percezione diffusa in Occidente, dilaniato dagli ondeggiamenti di Trump e dalla divisione europea. Xi sembrava veramente l’uomo più potente al mondo. Il titolo si è rivelato tuttavia iettatorio perché da allora la Cina ha inanellato una serie di infortuni gravi, pesanti, imprevisti.

La Cina in Africa

Per comprendere la relazione tra la Cina e l’Africa – alla luce dei risultati del VII summit della cooperazione svoltosi a settembre a Pechino – non è necessario scomodare i ricordi, alla ricerca di un legame storico oggi completamente rinnovato. Sarebbe dunque fuorviante rammentare i viaggi di Zheng He, l’ammiraglio eunuco e mussulmano che comandava la flotta imperiale dei Ming, la più grande al mondo. Forse le sue navi nel 1421 sono anche arrivate nel­le coste occidentali dell’America, certamente hanno toccato con la loro possanza le coste dell’Oceano Indiano, nelle spiagge dell’odierna Somalia. La Cina era allora al culmine della sua potenza imperiale, anche se la natura conservatrice e sinocentrica dell’impero fece bru­ciare le navi della flotta a Zheng, consegnando il proprio paese a un destino secolare di introversione e di arretratezza.

Cina e Taiwan a Singapore. L’unità nella diaspora

La stretta di mano tra il presidente cinese Xi Jin Ping e quello di Taiwan Ma Ying-jeou segna una svolta radicale nelle relazioni tra i due paesi e chiude, dal punto di vista formale, sessantasei anni di tensioni e contrasti. Si pone così un ulteriore e importante tassello nel processo di ridefinizione degli assetti strategici e di sicurezza nel Mar Cinese meridionale. Nuovi assetti incentrati su una Cina sempre più forte e temuta.

Dopo il timore, la grande paura della Cina

L’estate cinese è stata offuscata dal crollo delle Borse e dall’ombra del rallentamento dell’economia del gigante asiatico. La grande paura è presto rientrata, ma il paese non è uscito dalle sue difficoltà e contraddizioni politiche.

L’autunno del patriarca di Singapore. Una riflessione per la sinistra

Lo scorso 23 marzo si è spento Lee Kuan Yew, il quale, grazie a un mix di rigore e lungimiranza, di libertà concesse con il contagocce e di efficienti interventi pubblici, trasformò la piccola enclave cinese in una ricca, dinamica e moderna città-Stato.

La Cina di Xi Jinping

Xi Jinping è stato scelto per guidare la Cina perché ritenuto il più adatto a trovare una sintesi fra i tradizionali obiettivi strategici del paese e gli interessi della nomenklatura che lo ha nominato. Ma l’eredità che Xi ha raccolto dal suo predecessore è tutt’altro che semplice. Nonostante l’uscita dalla crisi, infatti, sono emersi con forza i limiti e le contraddizioni del modello cinese, soprattutto per quanto riguarda la sostenibilità del suo prodigioso sviluppo economico e il contemporaneo acuirsi delle diseguaglianze. Inoltre le tensioni internazionali, specie con i paesi vicini, dimostrano come la Cina pur essendo una potenza economica – peraltro ormai dipendente dai cicli internazionali– non possa ancora considerarsi pienamente inserita nella dimensione politica globale.

L'altra sponda del Pacifico: gli USA e l'ascesa asiatica

Come per l’Europa, le relazioni fra gli Stati Uniti e i paesi asiatici sono state dettate dagli equilibri scaturiti dal secondo conflitto mondiale e dall’ordine della guerra fredda. La revisione della strategia americana verso la regione comincia però già negli anni Settanta con la celebre diplomazia del ping pong che ha dato origine a quel rapporto, pragmatico e conflittuale, che ancora oggi lega Stati Uniti e Cina, e aperto le porte al travolgente inserimento di quest’ultima nella globalizzazione. Lo sviluppo economico e la crescente prosperità che ne sono seguiti non hanno messo un punto alle tensioni e alle rivendicazioni fra i diversi paesi dell’area. E Washington, che ha ben compreso le implicazioni dell’ascesa asiatica, deve trovare il modo di dialogare con questa parte di mondo che il successo economico ha reso meno arrendevole.

Il sorpasso cinese: size matters

Nel corso del 2014 il PIL della Cina supererà quello statunitense, capofila di una serie di paesi, dall’India alla Nigeria, che non possono più essere definiti emergenti. Ma se il PIL cinese sarà il più alto del mondo, questo non significherà né che la Repubblica popolare sarà anche il paese con la ricchezza pro capite maggiore né che il benessere economico porterà necessariamente più democrazia.