Michele Prospero

Michele Prospero

insegna Scienza politica e Filosofia della politica all’Università di Roma “Sapienza”.

Costruire le alleanze. L’errore di cercare uno scontro a due

A un anno dalla sua scalata ai vertici del PD, Elly Schlein è ancora alle prese con la predisposizione di una strategia efficace per rimediare alla grave sconfitta incassata a settembre del 2022. Oltre alla scelta di correre in solitudine, e quindi nella assoluta certezza di andare incontro alla umiliazione al cospetto di una destra che invece si presentava saldamente coalizzata, Letta ha impostato le scelte del PD attorno a due pilastri: la rivendicazione dell’agenda Draghi come bandiera del riformismo di governo e l’operazione di sdoganamento della destra radicale. Riguardo alla discontinuità con l’atlantismo radicale imposto da Draghi, il PD non ha mutato l’atteggiamento.

Il segno di Berlusconi sul sistema politico: non bipolarismo ma assenza della mediazione

Silvio Berlusconi è, a suo modo, un leader anticipatore che ha esercitato un influsso sistemico non congiunturale. Con le sue gesta di magnate che occupa d’intuito un vuoto politico, egli estrapola, sul cadavere della partitocrazia, le forme di un neopatrimonialismo postmoderno (il partito è una cosa, una proprietà d’azienda). Sul piano politico, Berlusconi non ha inventato però il bipolarismo. Egli ha solo affinato sul campo la tecnica coalizionale a maglie larghe con la quale sarebbe stato più efficace affrontare una competizione con la inedita formula maggioritaria. Un andamento bipolare il sistema politico italiano l’aveva mostrato anche nel tempo della prima Repubblica.

PD, i nodi arrivati al pettine con le elezioni del 25 settembre

Con tre tecniche elettorali diverse si sono svolte, dopo la crisi della Repubblica dei partiti, otto consultazioni. In quattro occasioni ha vinto la destra, in due il centrosinistra, altre due volte l’esito è stato un pareggio in un contesto di emergente tripolarismo sistemico. Una certa egemonia della destra sembra nel complesso caratterizzare gli orientamenti di voto della Seconda Repubblica. Tra il successo del 1994 e quello del 2022 c’è però una differenza sostanziale. L’alchimia originaria della destra di governo vedeva la componente postfascista in una posizione gregaria rispetto alla dominante regia aziendalistica berlusconiana. Ora, con l’eclisse politica del vecchio corpo del cavaliere, il vuoto che la follia estiva nella spiaggia romagnola del capitano leghista ha prodotto nella guerra di successione è stato riempito dal partito personale-identitario di Giorgia Meloni.

Il voto della volatilità

Il primo dato che emerge dal voto del 26 maggio è la elevata volatilità del consenso. Gli spostamenti di preferenza che si registrano rispetto alle consultazioni del marzo 2018 raggiungono nel complesso il 49% delle schede. Segno evidente, anche questo, che il sistema politico rimane ancora molto fluido, più nulla di organizzato è in grado di resistere. Il mutare rapido delle fortune elettorali dà la sensazione di un sistema incapace di consolidamento, sprovvisto di una forza di controllo e di direzione da parte dei movimenti politici.

Un antidoto alle narrazioni dominanti

Il trionfo dei due populismi nel 2018 non appartiene a una vicenda solo italiana. Il momento populista indica una tendenza alla dissoluzione della “forma politica” del secondo Novecento che riguarda le diverse democrazie occidentali. I due sovversivismi, malgrado le differenze su singole questioni simboliche, trovano nel “contratto di governo” la coincidenza degli opposti perché, oltre i dissidi, esiste un nucleo solido di comunanza. Il “governo del contrasto” regge le sfide contingenti per la condivisione di una declinazione totalizzante del potere (persino il metodo di designazione della canzone vincente a Sanremo diventa una questione politica dirimente), per una avversione ai soggetti classici del conflitto sociale della modernità (lavoro e grande impresa), per una inclinazione plebea al disprezzo verso la cultura elevata, l’élite, per una venatura sovranista ostile alla rappresentanza e agli obblighi internazionali ed europei.

La nuova politica e la scienza regia dell’incompetenza

I vaccini, l’Istituto superiore della sanità, l’Agenzia dello spazio, sono questioni che perdono ogni autonomia tecnico-scientifica per entrare nel campo degli appetiti politici del governo del popolo. Del resto, la peculiarità della strategia populista è proprio quella per cui al tempo stesso «depoliticizza e iperpoliticizza le relazioni sociali. Il leader po­pulista spesso si pone simbolicamente al di fuori del regno politico, sostenendo che non è un politico».1 Su questa mistica proclamazione di estraneità, il populista fonda l’escursione arbitraria in ogni ambito della convivenza. Dopo aver calpestato la complessità del governo politico, in nome del principio che uno vale uno, il populista invade ogni sfera della società per applicare in qualsiasi ambito che sfiora il dominio del senso comune che non riconosce limiti in nome della metafisica del cambiamento.

Sovranismo

Per sovranismo si intende una istanza affiorata con i nuovi movimenti euroscettici di protesta che puntano a recuperare margini di determinazione politica nazionale entro uno spazio economico sconfinato che ha fortemente ridimensionato gli attributi e le simbologie classiche del pubblico potere. Sul piano politico la richiesta di una riappropriazione dello scettro, secondo una riproposizione della legittimazione ascendente del potere che è considerato legittimo solo se promana dal basso, fa parte dell’agenda di soggetti politici, in senso lato populisti, che imputano all’alto, al tradimento dell’élite o a “un colpo di Stato sovranazionale” (Étienne Balibar), la perdita di autonomia decisionale dinanzi a processi finanziari, economici, migratori capaci di sgretolare i pilastri della convivenza civile. Non sono soltanto processi oggettivi dell’economia a restringere le prerogative delle autorità ma a espropriare le competenze del sovrano contribuiscono anche decisioni strategiche che impiantano i pilastri del liberismo come affrancato dalla copertura politica.

L’iperdemocrazia dei gazebo

Affidate come sono a una gestione “fai da te”, le primarie sono un espediente inefficace per rinvigorire i partiti e migliorare le procedure di selezione dei candidati. Rischiano anzi, al contrario, di svuotare ulteriormente, in nome di una malintesa idea di partecipazione, la funzione e il senso della politica organizzata.

 

Euroscetticismo

Quella di euroscetticismo pare una categoria onnicomprensiva che cammina con l’elmetto. In essa, cioè, l’obiettivo polemico, puntato verso movimenti e tendenze dati in caotica ascesa, si mescola con il proposito di classificare con una qualche attendibilità dei fenomeni reali che marciano nelle più disparate direzioni. La predilezione per raccogliere in un medesimo contenitore i più variopinti soggetti della protesta rende inservibile l’euroscetticismo come schema unico per comprendere un processo complesso di alienazione politica, che riguarda molti sistemi partitici continentali sfidati da ondate populistiche di natura sfuggente.

Si fa presto a dire presidenzialismo

Negli ultimi due anni, il capo dello Stato ha indubbiamente fatto un uso estensivo delle prerogative che gli sono attribuite. Eppure interpretare questi sviluppi come l’imporsi di una forma di presidenzialismo sarebbe fuorviante, perché il presidente non si è arrogato poteri che non gli spettano ma, in un quadro di crisi di sistema, ha agito da impulso per rimettere in moto il sistema politico.