Il dibattito sui beni comuni innescato dai referendum del 2011 ci obbliga a riflettere sulla necessità di superare schemi economici ormai obsoleti, fra cui il tradizionale binomio proprietà pubblica/proprietà privata. Parlare di beni comuni, oggi, significa includere nella riflessione anche l’accesso alla conoscenza, ai diritti, alla democrazia, agire nell’interesse delle generazioni future e svincolarsi dalle logiche del mercato e del profitto.
Nonostante la Costituzione affermi chiaramente il diritto di tutti i cittadini all’eguaglianza e alla dignità sociale, in Italia il riconoscimento delle coppie omosessuali stenta ad affermarsi. È tempo di superare pregiudizi ideologici e fondamentalismi: per quanto imperfetta, la sentenza 138/10 della Corte costituzionale rappresenta un buon punto di partenza per ripensare la questione delle unioni civili.
Il dibattito sui beni comuni innescato dai referendum ci obbliga a riflettere sulla necessità di superare schemi economici ormai obsoleti, fra cui il tradizionale binomio proprietà pubblica/ proprietà privata. Parlare di beni comuni, oggi, significa includere nella riflessione anche l’accesso alla conoscenza, ai diritti, alla democrazia, agire nell’interesse delle generazioni future e svincolarsi dalle logiche del mercato e del profitto.
La figura sociale introdotta dal costituzionalismo del secondo dopoguerra è quella dell’homo dignus, figura che il lavoratore, descritto nell’articolo 36 della nostra Costituzione, incarna in tutta la sua concretezza. Stefano Rodotà ne illustra le caratteristiche nella lezione tenuta lo scorso 6 ottobre all’Università di Macerata di cui pubblichiamo qui il testo integrale.
La figura sociale introdotta dal costituzionalismo del secondo dopoguerra è quella dell’homo dignus, figura che il lavoratore, descritto nell’articolo 36 della nostra Costituzione, incarna in tutta la sua concretezza. Stefano Rodotà ne illustra le caratteristiche nella lezione tenuta lo scorso 6 ottobre all’Università di Macerata di cui pubblichiamo qui il testo integrale.