Il crescente successo del grillismo, confermato anche dalle ultime elezioni in Sicilia, è in larga parte riconducibile alla diffusione, a livello mondiale, del fortissimo sentimento d’indignazione dei cittadini nei confronti della politica. Tutto italiano è, invece, un inedito genere comunicativo caratterizzato dalla commistione di politica dell’indignazione e show di intrattenimento, che mette in crisi le tradizionali griglie interpretative del fondamentale rapporto ragione/emozioni, per il quale sono auspicabili una riflessione e un ripensamento nuovi.
Con il ricorrere dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia il dibattito intorno agli ideali e al significato stesso del Risorgimento è tornato attuale, sconfinando spesso in una riflessione sul concetto stesso di identità nazionale. Tra i contributi più originali si colloca senz’altro quello di Alberto Mario Banti, uno tra i maggiori esperti del Risorgimento italiano, la cui ricca produzione, le cui riflessioni e il cui impianto teorico acquistano oggi nel dibattito un grande rilievo.
Con la parola famiglia si intendono cose diverse e solo in parte coincidenti: da un lato chiamiamo famiglia un gruppo di persone coresidenti, mentre dall’altro usiamo lo stesso termine per indicare un gruppo di parenti. Inoltre con famiglia si indica un’unità di lavoro e/o di consumo (talvolta formata anche da non parenti e/o non coresidenti).
In un’Italia in cui abbondano i “bamboccioni” e in cui emerge una tendenza ad “ereditare” anche gli incarichi pubblici tornano in auge le riflessioni sull’eccessivo potere assegnato alla famiglia nella sfera pubblica. Ad un familismo che avrebbe ormai assunto i caratteri dell’amoralità – se non dell’immoralità – viene imputato il mancato radicamento dell’etica pubblica nel nostro paese. Quanta realtà e quanta mistificazione vi sono nel delineare questa presunta antitesi fra familismo e civismo?
Nel dibattito politico italiano degli ultimi quindici anni, in parallelo con l’affermarsi di un bipolarismo imperfetto, si sono ripetutamente levate voci insistenti, da sinistra come da destra, per chiedere alla lotta politica di abbandonare la retorica bellicista del nemico, sostituendola con quella, democratica, dell’avversario, competitore di un gioco condiviso, in cui nessuno venga accusato di stare al tavolo illegittimamente, di barare o di voler far saltare il banco.