Renzo Guolo

Renzo Guolo

insegna Sociologia dell’Islam all’Università di Padova.


Quel che resta del giorno

La scena non può essere che l’annunciato, ma non meno sorprendente, ritorno al potere dei Taliban e quella della precipitosa e drammatica fuga occidentale dall’Afghanistan. Due decenni di conflitto, migliaia di vittime, masse di profughi, gigantesche risorse investite. Poi, quei turbanti nel palazzo presidenziale di Kabul. Come se il tempo fosse trascorso vanamente. In realtà le cose non sono così semplici, ma l’epilogo afghano produce, comunque, un effetto straniante. E suscita interrogativi che non si possono eludere.
Cosa rimane della lunga stagione iniziata con l’attacco di al Qaeda all’America, proseguita con le guerre di Bush jr. in Afghanistan e Iraq, la teorizzazione dell’esportazione della democrazia con ogni mezzo, la violenta deflagrazione siriana, l’illusoria stagione delle cosiddette “primavere arabe”, la proclamazione dello Stato islamico, la campagna terroristica in Occidente come articolazione del jihad globale, il riposizionamento dei regimi autocratici della Mezzaluna in funzione di antemurale islamista?

Un ritorno diverso. L’America di Biden in Medio Oriente E Nord Africa

Come si manifesterà l’“America is back!” di Joe Biden nella regione del Medio Oriente e Nord Africa? Un mutamento ci sarà sicuramente, nel solco della discontinuità con le scelte di Trump; ma un ritorno alle politiche di Obama, del quale Biden era vicepresidente, non è ipotizzabile.
Come per i suoi due predecessori, anche per il nuovo presidente americano il MENA (Middle East and North Africa) non sembra essere in cima all’agenda di politica estera. Collassata la dimensione statuale dell’ISIS, lo jihadismo ha perso rilevanza come minaccia strategica, anche se la sua spinta ideologica non si è ancora esaurita. Altri attori, però, questa volta Stati, pongono problemi alla Casa Bianca. Russia e Cina, insediatesi nell’area attraverso la via militare ed economica, in primo luogo.

Mezzelune crescenti e calanti. Mutamenti di equilibri dal Medio Oriente al Nord Africa

L’attacco americano all’Iran, con l’eliminazione mirata del generale Soleimani, vero artefice della proiezione strategica esterna di Teheran, ha posto il gruppo dirigente della Repubblica Islamica davanti a una drammatica scelta: rispondere con la guerra a un atto di guerra o salvare la faccia, e lo stesso regime, con una rappresaglia poco più che simbolica. La scelta è stata, ovviamente, la seconda. Nonostante sia rappresentata come potenza ideologica, l’Iran ha sempre improntato la sua politica estera al realismo politico.

Dopo il califfato. Il Medio Oriente e la teoria del vero nemico

Con la conclusione dell’esperienza statuale dell’ISIS si delineano per il Medio Oriente scenari geopolitici imprevedibili. Molto dipenderà da quanto faranno i due schieramenti anti-jihadisti in campo, capeggiati rispettivamente da Stati Uniti e Russia, i quali, caduto l’alibi rappresentato dal califfato, dovranno ora confrontarsi con il “vero nemico”: più che gli jihadisti, considerati un elemento transitorio della scena, alcuni dei membri dell’altra coalizione anti-ISIS. Si riaprono quindi i grandi giochi per ridefinire i futuri assetti mediorientali e i nuovi rapporti di forza tra i veri protagonisti della lotta per l’egemonia politica e religiosa nella regione.

Islamisti o nichilisti? Il dibattito francese sullo Jihadismo

Una discussione, molto accesa, sulle cause che hanno prodotto lo jihadismo europeo coinvolge in Francia i più noti studiosi dell’Islam contemporaneo. Le principali tesi in campo sono quella dell’“islamizzazione della radicalità”, sostenuta da Olivier Roy, della “radicalizzazione dell’Islam”, proposta da Gilles Kepel, della “reazione terzomondista”, di cui è portavoce François Burgat.

Terrorismo

Il concetto di “terrorismo” è uno dei più problematici e controversi nelle scienze sociali. Le definizioni sono molteplici e nessuna si è davvero imposta sulle altre, a dimostrazione della difficoltà di produrre una teoria unificante e condivisa sul fenomeno. Il concetto fa riferimento a una miriade di oggetti, e soggetti, assai diversi tra loro. Tanto che, comunemente, viene confuso con altri fenomeni che comportano l’uso della violenza, come la guerriglia o l’insurrezione rivoluzionaria, indipendentemente dal numero degli aderenti ai gruppi che danno vita a queste ultime forme e dal consenso che hanno.

Dopo il golpe egiziano: l'Islam politico e la democrazia

La deposizione di Morsi, esito tanto dello strappo operato con il varo di una nuova Costituzione dalla marcata impronta islamista quanto della fallimentare prova di governo del partito Libertà e giustizia, segna un passaggio cruciale nel complesso processo di transizione delle primavere arabe, rimettendo in discussione ogni precedente considerazione circa il rapporto fra democrazia e Stato islamico.

Egitto: legittimità democratica vs. legittimità della protesta

Resistendo ai generali nelle convulse ore della deposizione, Morsi ha invocato la legittimità democratica della sua elezione, a cui gli oppositori rispondevano con la legittimità della protesta. In questo quadro, gli islamisti sono apparsi come i cantori della democrazia mentre i contestatori, che hanno salutato con gioia l’arrivo dei cingoli nelle strade, hanno loro contrapposto il primato della politica. È un golpe, quello egiziano, che rimette in discussione ogni considerazione circa il rapporto fra democrazia e Stato islamico e che è destinato ad avere ampie ripercussioni sugli equilibri politici dell’area.

Seconde generazioni tra aspirazione alla modernità e reazione identitaria

La mancanza di efficaci politiche di integrazione culturale e la retorica xenofoba del discorso pubblico alimentano reazioni antagoniste
nei giovani immigrati di seconda generazione, ostacolando la coesione sociale. Solo inclusione e cittadinizzazione possono evitare che simili sentimenti collettivi sfocino in conflittualità aperta.


I tempi lunghi della transizione araba

Le recenti manifestazioni di violenza scatenate in tutto il mondo arabo dal film sulla vita di Maometto hanno condotto in Occidente a
una riflessione su quale sia, a quasi due anni dalle prime proteste in Tunisia, l’esito delle primavere arabe. La vittoria elettorale dei partiti islamisti egiziano e tunisino hanno alimentato i sospetti di quanti ritengono che la democratizzazione di quei paesi sia sostanzialmente fallita. È, però, ancora troppo presto per giudicare dei processi di transizione che richiedono tempi molto più lunghi.